PREGHIERA
BRUCIATA
Ho riposto
l’auto in garage. La porta metallica si è chiusa, sbrodolando sull’asfalto del
mio cortile un rumore di ferro e un cigolio di ruggine. E’ inverno ma la notte
è mite. E’ buio ma non ho voglia di risalire in casa. Mi fermo davanti alla
porta che apre la via agli appartamenti. Alzo gli occhi alla volta stellata. E’
sereno, nessuna nuvola a coprire le stelle, che traforano la notte con la loro
punta colore dell’oro. I rami spogli dei platani s’allungano verso il niente
che è il buio e si perdono nella notte. Poche auto parcheggiate sulla via, tre
lampioni mandano una tenue luce color arancio, nessuno per strada, un aereo nel
cielo, piccole luci intermittenti giallorosse che scivolano verso le stelle.
Rumori di vetture in lontananza, un cane abbaia, altri gli fanno eco. La notte
nella mia via periferica brulica di rumori lontani e di pensieri vicini: i
miei.
Guardo le
stelle da qualche minuto, il collo in tensione fa male, è tempo di tornare con
gli occhi alla terra; resisto perché ho bisogno del cielo stellato di questa
notte tiepida. Ho bisogno che il cielo mi parli. Non mi basta la voce
intossicata del mondo qui in basso. Una fettina di luna galleggia con la gobba
non a ponente non a levante: guarda verso di me, guarda verso le nostre
tristezze che si comunicano. La chiamano luna che ride.
La nera
vastità mi parla di Dio. Un Dio necessario. Lo immagino lassù, grande come il
cielo, lo sento, lo vedo nel manto che mi protegge senza soffocarmi.
Ma stanotte
la protezione non basta. Vorrei parole chiare, vorrei che sollevasse quel suo
mantello colore petrolio e apparisse nel cielo la luce, un sole coi raggi
capaci di scrivere parole convincenti. Perché la mancanza che provo deve essere
spiegata. Perché il soffrire che sento non è adatto a chi si considera pronto
per la felicità. Perché il dolore lavato dal pianto non può reggere a lungo,
non sono adatto all’incomprensione di un mistero di privazione. Ma la notte
incombe e Dio non risponde. Eppure lo sento, lo immagino e il desiderio di Lui
alimenta la speranza che la notte darà un senso al mattino che già si prepara,
verso oriente.
‘Dio del
cielo stellato e delle mie paure, spalanca il tuo manto e parla al mio cuore’
urlo in silenzio alla luna. E piango, poche lacrime che sostano al limitare
degli occhi, per pudore non scivolano verso la bocca, sostano in attesa di una
risposta.
Ma la
risposta tarda a venire. Arrivano invece lungo la via fari abbaglianti e il
fastidio di un rumore che frigge e tossicchia. Luce violenta che incendia e
brucia la mia preghiera della sera. Rumore che impedisce di ascoltare.
E Dio,
forse, proprio in quel momento ha parlato.
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