TRE
La loro
storia cominciò come inizia un temporale buono, che arriva dopo la siccità e
porta umido e fresco, nuvole nere che non annunciano danni ma una momentanea
privazione del sole, per un vantaggio maggiore.
“Ciao” e
quello fu il primo fulmine, dentro il vernissage
della mostra di un’artista dal futuro di probabile insuccesso.
“Ciao” disse
Romano.
“Sei l’amico
di Giorgio?” disse Roberta.
“E tu sei
l’amica di Giorgio?”
“Giorgio ne
ha tante di amiche.”
“Già, e tu
delle tante chi sei?”
“Roberta.”
“Romano” e
fermò al nome la presentazione.
“Allora sei
tu.”
“Cioè?”
“Il
giornalista.”
“Diciamo
così.”
Cominciò
quella sera in via Giambellino, galleria Novelle
Vouge, una sera di primavera, a Milano.
“Roberta la
studentessa.”
“Coi libri
sono alla fine, per fortuna.”
Romano le
stava di fronte, un calice nella destra, un pasticcino nella sinistra. C’era
gran ressa in quel paio di locali senz’aria, luce forte e un fastidioso rumorio
di sottofondo. Dovevano urlare.
“Alla fine?”
“Laurea
magistrale in lettere, due esami e la tesi.” Anche Roberta teneva un calice in
mano.
“Alla
laurea” e Romano alzò lo stretto bicchiere, qualcuno lo urtò, gocce gli
finirono sui capelli: “Cazzo” disse.
Roberta
sorrise e alzò il calice.
“Senti, ci
spostiamo? Si soffoca.”
“E dove?”
“Che buco di
galleria. Ci vieni spesso?”
“Mai.”
“Però
Giorgio ti ha trascinata?”
“E’ un
amico, sa quando ho bisogno di uscire.”
“E ti porta
qui?”
“Mi ha detto
che avrei incontrato gente interessante.”
Romano la
studiava, ogni nuovo dato confermava la prima impressione, la rendeva sempre
più vera. Gli era piaciuta al primo sguardo. Una dolce emozione che cresceva
lentamente. E non capiva come Giorgio avesse potuto parlare di Roberta (a lui,
più volte) come di una ragazza solo interessante, solo carina, in crisi per la
fine di un amore durato anni. Quella sua bellezza senza eccessi, che Giorgio
aveva definito trasandata, gli entrò dentro come una lama. In piedi, con il
calice a mezz’aria e in bocca un sapore dolciastro di vino e di ansia, Romano
era intimidito.
“Là c’è un
po’ di spazio” disse Roberta.
“Va bene,
spostiamoci.”
Era tutto un
gran parlare; pochi, in silenzio, allungavano sguardi interessati verso i
quadri. Un tale, che ostentava un vezzo da intenditore, sfilò gli occhiali e
andò con la punta del naso a sfiorare la tela, ma i convenuti stavano per lo
più ammassati nel mezzo, lasciando sottili corridoi ai lati. Due camerieri si
incuneavano nella ressa alzando vassoi e offrendo vino e dolci.
Trovarono un
angolo libero, almeno un paio di metri fra lo spigolo e i quadri. Si
appoggiarono di schiena, per guardarsi dovevano girare la testa.
“Allora,
Giorgio ti avrebbe parlato di gente interessante.”
“Già.”
“E anche di
un giornalista.”
“Non di uno
solo.”
“E di Romano
cosa dice?”
Roberta
abbassò lo sguardo, appoggiò il lungo tacco dello stivale destro contro la
parete, tacco e suola, rigirò lo spumante nel calice e ne bevve un sorso. “Che
è un tipo interessante.”
“Tutto qui?”
“Ti sembra
poco?”
Con i tacchi
era alta come lui, un metro e ottanta scarso. I capelli erano tinti con
moderazione, un rosso castano che gli regalarono un’immagine nota, Angelina
Jolie: labbra carnose, occhi limpidi come il mare di Villasimius. Ma a
differenza dell’attrice, Roberta li aveva scuri, e forse la scelta del colore
dei capelli era per star bene con quegli occhi. “Conosci Alison Krauss?” disse
Romano.
“No. Chi è?”
“Una
cantante americana. Le somigli.”
“Di solito
ricordo la Jolie, almeno così dicono.”
“Sì, ma sei
identica a Alison Krauss.”
“Se lo dici
tu. Mi informerò.” Roberta si guardò la punta dei piedi, allungò il bicchiere:
“Me ne porti un altro? Ti scoccia?”
“Vado,
aspettami.”
Tornò ma
Roberta non stava più contro il muro, all’angolo. Si era spostata di un paio di
passi, parlava con Giorgio e due altre ragazze.
“Ecco” disse
Romano.
“Grazie.”
“Romano è un
mascalzone” disse Giorgio a Roberta. “Se ti chiede l’amicizia su facebook non ci cascare.”
Romano pensò
che se Giorgio avesse cambiato aria insieme alle due amichette, avrebbe trovato
in seguito il modo per ringraziarlo. Lavoravano per lo stesso giornale.
“Ricordati
le cinquanta righe” disse Giorgio.
“Devo?”
“Devi.”
“E cosa
scrivo?”
“Hai parlato
con l’artista?”
“No.”
“Vacci.
Aspettano il pezzo prima delle dieci.”
“Mi tocca” e
guardò Roberta.
“Buon
lavoro.”
Si
salutarono.
(3 - continua)
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