OTTO
Intimorita, Roberta entrò nell’appartamento di Romano.
Carlo non c’era. Fu colpita dall’odore di fumo, un sapore cattivo di aria senza
ricambio, di avanzi di cibo. Ma di quello tacque.
“Carino.”
“Un buco, ma
ci basta. Vieni.”
Glielo aveva
anticipato, sapeva dove sarebbero andati, non credeva così in fretta.
Entrò in
camera da letto.
“Siediti
qua” e Romano le indicò quale parte del
letto avrebbe dovuto occupare; avrebbe fatto da sedia ad una piccola scrivania,
un tavolino appeso alla parete. Romano lo abbassò come un ponte levatoio, ci
appoggiò sopra il notebook, lo accese.
“Non è un po’
piccolo per te?” disse Roberta, battendo le mani sul materasso.
“Ci sto, ci
sto…Vuoi un caffè? »
“Un bicchiere
d’acqua.” Aveva la gola secca.
“C’è solo
quella del rubinetto.”
“Ottima.”
Andò, tornò,
si sedette di fianco a lei. “Tieni” e le allungò il bicchiere. “E’ da cambiare,
troppo lento questo pc. Mi fa perdere un mare di tempo.” Romano schiacciò il
pulsante sulla destra, si accese la piccola luce arancione, partì un fruscio e
la porticina si aprì con uno scatto. Infilò il cd.
“Siediti” e
la prese in braccio. Ora le sue ginocchia picchiavano contro il tavolino.
“Metti queste” e le passò le cuffie.
“Finalmente
scopro il segreto.”
“Zitta” le
disse, con un tono troppo impositivo.
“Ma tu così
non senti.”
“La conosco a
memoria.”
Partirono le
immagini, Romano le regolò nel punto che aveva pensato per lei: una grande sala
di un ristorante, gente ben vestita ai tavoli, un palco, musicisti e l’applauso
per l’ingresso di due artisti, lei col violino e lui con una strana chitarra,
che teneva in posizione insolita. La riconobbe subito: Alison Krauss.
“Ma che strumento
è?” chiese.
Romano non
rispose.
Iniziò la
musica. Non era una delle canzoni che aveva visto su Youtube, ma la conosceva
cantata da James Taylor. Un brano molto noto. Alison aveva i capelli dello
stesso colore degli occhi, le sopracciglia curate, un trucco perfetto, pareva
il volto finto di una bambola. Ai lobi due orecchini pendenti, che dondolavano
ai lievi movimenti del capo, ondeggiare che seguiva il ritmo del canto.
Indossava un vestito color nocciola, discutibile, a coprire un corpo con seni piccoli
e cadenti, addome come una bassa collina che degradava verso gambe non esili,
allungate dai tacchi, almeno un otto. Ma Alison Krauss era la sua voce, che
aggraziava le imperfezioni estetiche. Stupenda, angelica ancor più che nelle
altre canzoni che aveva sentito decine di volte. E si chiedeva Roberta come
fosse possibile, con uno sforzo in apparenza risibile, con un soffio minimo,
regalare un suono senza un graffio. Un vento soave e vorticoso che le entrava
dentro.
Chiuse gli
occhi. Sentì Romano che la abbracciava appena sotto il seno, che appoggiava
l’orecchio sulla sua schiena, che tremava, che le dava piccoli baci, che la
stringeva.
Le sue
braccia, la musica, quella voce e la loro storia d’amore: cominciava a crederci. E se lui avesse voluto, se solo
l’avesse stretta ai seni e fatta scendere dalle sue ginocchia, regalandole i
suoi occhi d’incanto e il suo timore….ma lui non disse nulla fino al termine
della canzone, poi le tolse le cuffie dalle orecchie, le chiese “Che ne dici?
E’ fantastica” e lei rispose “E’ un angelo” e lui aggiunse “Senti questa”.
Roberta allora capì che Alison stava diventando una sua rivale in amore. E si
insospettì: Romano conservava qualcosa solo per sé.
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