Dopo aver visto il film da Oscar 'La grande bellezza' ho pensato a questo mio raccontino, che valorizza una delle tante bellezze della vita.
Bellezza di cartone
di carlozanzi
Era un pomeriggio d’aprile, cielo azzurro, nuvole
bianchissime sfilacciate, allungate, sfrangiate da un vento risoluto e tiepido.
Metà pomeriggio, una luce forte, gli ultimi petali dei fiori di alberi che non
conosceva volteggiavano prima di finire a terra per essere schiacciati con
noncuranza. Una bellezza maltrattata.
Stava andando dal medico per un dolore sospetto
all’addome ma era in anticipo e procedeva con passo da perditempo. Una zona
mediana fra il centro e la periferia, traffico a far rumore e impestare l’aria,
a disturbare i suoi pensieri senza rigidità di logica, pensieri sguinzagliati
in libertà, immagini che iniziavano e si perdevano, si diluivano in altre
immagini, scatti di intuizione che non completavano il percorso e morivano
dentro ricordi di episodi e ricerche del modo per stare meglio. Più che altro
voleva scacciare l’ansia del terrore che nel profondo del suo addome ci fosse
un cancro. Il vento strappava dal suolo cartacce, polvere, immondizia, agitava
i rami, sollevava capelli ma non dava fastidio. Una giornata d’aprile fatta per
incasellarsi nella primavera.
La vide da lontano, un cartellone
pubblicitario di grosse dimensioni, in bianco e nero, ai piedi del quale
stavano ritti tre giovani con una borsa sportiva appoggiata alla spalla. Si
avvicinò aumentando la lunghezza del passo. Dalla scritta della borsa capì che
si trattava di giovani promesse della squadra di calcio della sua città.
La vide, si fermò, esitò,
attraversò la via dopo aver atteso che la coda di auto glielo permettesse. Era
la pubblicità di una marca di biancheria intima, lei era una bellissima
modella, enorme come quella parete di cartone che la reggeva sdraiata. Si
affiancò ai giovani, uno lo guardò, i tre dopo qualche istante se ne andarono
commentando. Non capì il senso delle loro parole. Restò solo, ammaliato da una
bellezza formidabile, inverosimile, disumana. Una beltà angelica, che lo rapì
facendolo scivolare dentro un’estasi gioiosa. E insieme malinconica: era una
stupenda donna di carta che non avrebbe mai potuto accarezzare, baciare,
abbracciare, possedere. Ma fra la disperazione e le lusinghe della vista le
seconde ebbero il sopravvento.
La guardò con un’attenzione
vorace e romantica: era distesa, in equilibrio sul fianco destro, il braccio
destro si perdeva oltre i margini del cartellone, il braccio sinistro si
allungava adagiato sul corpo, con la mano che cadeva dolcemente sopra la
coscia. Era vestita della sola biancheria intima, nera, reggiseno, mutandine,
lunghe calze scure con reggicalze. Ma delle gambe si vedeva solo l’ultimo
tratto della coscia, non le ginocchia né il resto. Seni né piccoli né grandi,
conformi al suo canone di bellezza. Una coincidenza che lo stupì. Ben lontana
dall’anoressia, la ragazza della pubblicità distava anni luce dall’avere
qualche chilo di troppo: le forme giuste, equilibrate, calibrate al grammo. Era
la sua donna ideale. Se avessero chiesto a lui i parametri e lo avessero
accontentato, non avrebbero ottenuto risultato migliore. E il viso…..lunghi
capelli mori che cadevano dietro le spalle, il volto leggermente reclinato
all’indietro che permetteva di gustare tutto il collo, i neri, indecifrabili
fori delle narici, basi di un naso alla francese, labbra dischiuse. Sostò a
lungo sulla bocca, la immaginò respirare, la vide respirare, le labbra
frementi, l’impercettibile apertura della bocca e il movimento del torace,
segni di vita. Gli occhi, scuri, lo fissavano; il gioco delle labbra e degli
occhi parlavano di un desiderio d’amore, di una voglia di abbraccio che lui
avrebbe potuto cogliere, abbandonandosi alla fantasia. E in quella fantasia
precipitò, annullando ogni altro pensiero.
La ammirava, scivolava con lo sguardo su di lei, immaginava le sensazioni che avrebbe potuto regalargli
quella ragazza di una bellezza impareggiabile, esaustiva, assoluta. E davanti a
quell’immagine si perse.
***
“Povero cristo, che fine” disse
il dottor Mario Portaluppi, medico di primo pelo, dopo aver saputo che
quell’uomo, ricoverato al Pronto Soccorso in codice di priorità assoluta, era
morto.
“Povero cristo? Povero fesso”
disse il più anziano dottor Giorgio Fogli. “Avevano urlato che stava venendo
giù il cartellone. Con quel vento. Dicono che pareva in trance.”
“A me fa pena lo stesso. Morire
così….”
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