martedì 25 marzo 2014

Il racconto del mercoledì



LE FIGU
di carlozanzi 

Sopra un ruvido muro è appoggiata, di taglio, una figurina dei calciatori Panini. Attaccato alla figurina un ragazzo di seconda elementare. E’ una incerta mattina di aprile del millenovecentosessantaquattro. Di fianco un altro ragazzo, stessa età. Sono le sette e quaranta. Giocano a muro, con le figu. Nel debole vento primaverile svolazza la figu e si appiattisce sul marciapiede. Tocca all’altro, altri svolazzi, altre prove a vuoto poi Kurt Hamrin, della Fiorentina, finisce sopra Nenè della Juve.
“Ho vinto io” dice nel sorriso il ragazzo che tiene al Milan. E quello che tiene all’Inter ci rimane male. Si va avanti a muro, per un po’, vince uno e vince l’altro, poi una mano balorda, che non finisce, le figurine per dispetto volano senza sovrapporsi. Per terra la carta colorata, con facce e maglie, si fa spessa. L’interista, che chiameremo Carlo (nome di invenzione) bacia il portiere Giuliano Sarti, dell’Inter. Vola l’uomo nero e si posa delicatamente sopra Fortunato, del Milan. Il milanista (che chiameremo Gigi, sempre inventando) si arrabbia, fa considerazioni poco elogiative su quel cognome rossonero che ha portato sfortuna. Dice: “Basta muro, facciamo a lungo.” Carlo è felice e ci sta, mentre raccoglie le figu e le impacchetta, dopo aver notato che sono tutte doppie: ce le ha già. Non tappano buchi sull’album.
Lungo: chi va più lontano vince, al massimo una figu alla volta. Qui, a conti fatti, vincerà di poco Gigi ma Carlo si consola: ha messo nel suo mazzo Paride Tumburus, del Bologna, e così di quella squadra gli manca solo Marino Perani.
Sono le sette e cinquanta, i ragazzini delle elementari hanno ancora dieci minuti scarsi a disposizione, poi più niente sino all’intervallo nel cortile.
“Padella?” domanda Carlo.
“Padella, e ti sbolletto” ride Gigi, contento perché un po’ ha recuperato, dopo la disfatta del muro.
Ai due si sono aggiunti altri, qualcuno ha chiesto di unirsi alla coppia ma è stato emarginato. Quei due non si toccano, le figu sono, in quell’attimo, la loro totalità. Nessun pensiero per la maestra, i compiti, la fatica dello studio, la noia, la paura.
E via, si lancia, lontano ma non troppo, bisogna calibrare sperando nell’aiuto del vento e del caso. Gigi si prende la prima mano, non più di dieci facce, grazie al bolognese Bulgarelli che soffoca in volo Anzolin, portiere della Juve. E Gigi vince anche la seconda sfida, questa volta una quindicina di figu, con Trapattoni del Milan che spiaccica a terra il compagno di squadra Mora. Ma la fortuna è giusta e cambia il vento, sicché Carlo vince le altre due partite, e nella seconda ha un moto di giubilo: nel mucchio è compreso Carlo Dell’Omodarme, della Juve, quello che gli mancava per completare la squadra. Gigi ci resta male due volte. L’invidia, brutta bestia. Anche a quell’età.
“L’ultima?” dice Carlo, che ha tutto l’interesse di continuare. Non sa ancora che la fortuna ti frega e ti volta le spalle. A volte.
“Ma adesso suona” dice Gigi.
“Cinque minuti.”
“Va bene” e si riparte.
E si capisce che è una di quelle volte che la padella diventa lunga, e ogni figurina che vola e atterra sul nudo asfalto rende la sfida più appassionante, la vittoria esaltante, la sconfitta umiliante. Suona la campanella, si sente anche da fuori ma i due non la avvertono, né vedono i compagni che li salutano e seguono la via del dovere. Volano figurine e attese.
Carlo bacia Sandrino Mazzola, due volte, sul viso e sulla maglia nerazzurra, stringe la figu fra indice e medio e via, si vola. Volteggia il pezzo di cartoncino, un volo infinito, atterra sull’asfalto ma non solo. I due amici corrono alla verifica. Mazzola non ha coperto il volto di un sorridente Rivera, ma la maglia sì.
“E’ mia, è mia!” e Carlo ramazza le figu come fossero fiches al tavolo verde.
Gigi è uno straccio. E il male porta male, oltre alle figu smarrite ora appare la maestra e tutto il resto. Ma sa essere umile. Ha notato che Carlo ha lanciato Menichelli, della Juve, che gli completerebbe la squadra. E lo chiede, per non piangere.
“Mi dai almeno Menichelli?”
Carlo fa scorrere il mucchio ingrassato, veloce veloce, ecco lo juventino. “Tieni, è tuo.”
“Grazie” e i due corrono.
Il cancello è già chiuso ma il bidello Venzin, alto, magro, con un lungo naso che lo farebbe cattivo, sa che hanno giocato alle figu, è un buono, ama il futuro che corre dentro quei pantaloni a mezza gamba. Non dice nemmeno: “Su, in fretta!”
Apre il cancello.
Sorride.
E basta. 


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