La
mosca
di carlozanzi
Sì,
ce l’aveva, il racconto breve era già scritto in testa, l’illuminazione era
giunta, l’idea buona, l’intuizione. Si sedette, prese carta e matita, iniziò.
Trovò il suo incipit una figata.
Correva
in discesa, il miracolo della buona scrittura si srotolava davanti ai suoi
occhi, la mano si coordinava con le idee, non aveva bisogno di premere la mina
contro il foglio. Tutto leggero, tutto meritevole di lettori, di consensi, di
fama. Di gaudio intellettuale.
Ma
entrò in sala una mosca. E cominciò a fare il suo mestiere: ronzare. Cioè
distrarre. Il rumore e quel volo inatteso e sgradito mozzarono l’incanto. Guardò
la mosca, il foglio, l’animale alato e
sporco di cacca, la matita, sentì la rabbia salire e l’intuizione
svanire. Si alzò, corse in cucina, tornò con un canovaccio e prese ad agitarlo
in aria alla caccia del minuscolo disturbatore.
La
mosca stava ora silenziosa sopra una tenda. Si avvicinò, menò il fendente ma la
tela s’ammosciò e la mosca ripartì, ronzante più di prima, forse persino
sghignazzante. A quel pensiero –essere derisi da un nero e volgare insetto- la
rabbia prese consistenza di vendetta. La mosca, incauta, si posò sul tavolo,
vicino al foglio con il raccontino interrotto. Si avvicinò guardingo, cercando
di scansare lo sguardo degli sferici ommatidi della mosca perditempo. Partì la
raffica, la mosca la scansò, il foglio di carta si sollevò mosso dal vento,
cadde a terra, lui si imbestialì, inseguì l’animale, tranciò alcune fogliette
di azalea, quindi una grossa foglia di ficus, la mosca si incollò al soffitto
ma, suicida, discesa verso di lui, quasi volesse farla finita, pentita di aver
interrotto la colata di creatività che aveva invaso quel locale di periferia.
Lo schermo del televisore fu il suo Golgota. La stordì, la fece cadere a terra
con poco ronzio, la vide sbattere le alucce, sobbalzare, la schiacciò con tutta
la forza del suo piede e dei suoi chili. La appiattì sul legno. Con calma andò
in cucina, recuperò scopa e paletta, la fece accomodare senza rimorsi, la fece
volare, morta defunta, giù dal balcone.
Raccolse
il foglio da terra, si risedette. Prese la matita. Cominciò a succhiarla come
uno studente svogliato.
Il
racconto era svolazzato via. Come la vita della mosca. Che –racconterà in
seguito al dio degli insetti- ci era rimasta male, perché era entrata nel
locale per far compagnia a quello scrittore: lo aveva visto solo, triste, curvo
sul foglio, senza idee.
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