domenica 16 marzo 2014
Herbert 36
Herbert
di franco hf cavaleri
Fiore
Gli sguardi di Fiore lo stuzzicavano, Herbert non riusciva quasi a stare dietro al suo lavoro estivo, monotono e ripetitivo, per l’assemblaggio degli interruttori elettrici da cui ricavare qualche soldino per i suoi capriccetti da studente.
A quell’età, appena fuori dalle esplosioni ormonali dell’adolescenza, trovarsi certi inviti allusivi… che ci si poteva fare.
Erano gli anni Sessanta, tempo di grande progresso economico in una Varese culla pulsante di così numerose attività industriali. Grandi imprese non solo, ma anche un indotto notevole, a cui era comodo affidare all’esterno alcune fasi della lavorazione, che so, cucire il rivestimento delle pipe, inscatolare un prodotto, fare interruttori...
Non poteva che essere un lavoro a cottimo, ma ideale per giovani studenti, ai quali il pur scarso ricavato appariva di grande utilità.
Anche Herbert ci si provò un anno durante le vacanze estive assieme a un amico, più o meno alla collina dei “miogni”, nel laboratorio di una donna in accordi con una azienda di gran fama.
Ci avevano trovato una ragazzina, forse un anno più giovane di loro. Fiore era piccolina, capelli corti e bruni, nulla che la rendesse particolare, se non il carattere estroverso e sempre allegro, cosa molto apprezzabile nel tran tran del lavoro.
Passati i primi giorni, giusto per conoscersi tra una battuta di spirito e qualche risatina sottovoce, Fiore cominciò come a svelarsi, a presentarsi strana, a “inzigare” sia Herbert e sia l’amico Enrico con colpettini di ginocchio, con delle occhiate tanto insistenti quanto malandrine.
Non appena la padrona si fosse distratta, o meglio ancora allontanata dal laboratorio, il lavoro si interrompeva e il gioco proibito s’iniziava, come fosse un allegro e innocente trastullarsi.
Le mani di Herbert cominciavano a trascurare gli attrezzi, a corrispondere alle bottarelle del ginocchio di Fiore, a scoprire quali fossero i limiti.
Il lavoro, ahimè, ne risentiva, vincolato com’era alla presenza intervallata della signora e del resto anche gli approcci dei ragazzi con Fiore andavano a spizzichi e bocconi, cosa non proprio ideale.
L’invito non tardò a giungere dalla voce sussurrata di Fiore: “perché non ci vediamo prima questo pomeriggio? Che importa se anche arriviamo tardi al lavoro?”
Cosa volete che potesse fare Herbert, accettare? Accettò.
Si incontrarono tra Biumo e viale Aguggiari, cercando passo passo verso il centro un luogo appartato dove fermarsi.
Più Fiore gli si micionava allegramente addosso e più in Herbert cresceva la frenesia.
Un posto, qualunque posto…
Al primo portone socchiuso di un condominio, Herbert la spinse dentro, scorse la porta a vetri che scendeva nel buio delle scale verso le cantine…
Erano ritornati in strada, il lavoro li attendeva.
Fiorenza gli sorrise: “mi paghi il gelato?”
L’estate passò e ciascuno prese la propria strada, per Herbert era la scuola.
Un freddo pomeriggio che lui se ne tornava dal minigolf verso i Giardini Estensi la vide scendere da uno dei vialetti più celati della torre di Villa Mirabello.
L’incontro casuale tra le foglie ingiallite rinverdì in Herbert quella certa idea.
Combinare con Fiore, perché no? Farlo in qualcuno degli angoli più nascosti e dopo, non era più tempo di gelati, ma offrirle una buona cioccolata non sarebbe stato male.
Si incamminò con lei, cercando di farla tornare verso la torre e di tenerla nella parte nascosta dei giardini, abbracciandola allusivo.
Fiore era espansiva come sempre, un po’ scarmigliata, a ben vedere forse il suo viso era fin troppo accaldato.
Più che allegra sembrava euforica, Herbert tentò il discorso prendendola alla larga.
“A stare lì dov’eri alla torre, chissà che tranquillità...”
Fiore ammiccava stuzzicante, come a fargli capire che era d’accordo, camminandogli vicina parlò quasi sottovoce.
“Sai, anche prima ero lì e non ero proprio sola, ero con un tizio, un matusa.”
Mise le mani in un taschino dei jeans e ne tirò fuori qualcosa.
“Hai visto? Guarda qui cosa mi ha dato.”
“Che cavolo, ma pensa te”: le idee in testa a Herbert svaporarono, comprese in un lampo quello che Fiore ora intendeva e non era certo in quel modo che avrebbe voluto, altro che cavarsela con una cioccolata... la salutò brusco e accelerò il passo tornandosene verso il Palazzo.
Lasciò dov’era Fiore che nella mano aperta ancora esibiva due lucenti monete da cinquecento lire.
36-continua
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