C'è stato un periodo assai limitato, qualche anno fa, che mi ha visto intento a scrivere racconti brevissimi, fatti di oggetti e soggetti parlanti, un divertimento letterario che ho presto lasciato, essendo uno scrittore 'serio'. Eccone un esempio.
LA FETTA
di carlozanzi
Sono quella fetta che nasce
torta e poi, di fetta in fetta,
s’assottiglia, il cerchio si svuota, spicchio dopo spicchio aumenta il vuoto e
diminuisce il buono…mezza torta…un quarto di torta…..fette sempre più sottili e
allora, solo allora arrivo io: larghezza un paio di centimetri, anche meno,
visto che il soggetto che mi cura mi ha da poco privata di una fettarella di
mezzo centimetro. Resto sola. In quell’attimo giunge la mia gloria. Sono, a
quel punto, per defezione o ‘defunzione’ delle altre, la più preziosa,
desiderabile, foriera di golosità.
Il soggetto goloso, incurante di essere alla frutta, mi
guarda di striscio e intanto parla, sorseggia dell’altro vino o la residua
porzione di caffé. Mi soppesa, mi valuta, fa un sommario conto delle calorie,
guarda altrove, mi vorrebbe gettare dalla finestra, vorrebbe che altri mi
violentassero (e in effetti sento addosso il peso di sguardi carichi di quella
finta fame finale inutile e dannosa, di quel languore appetitoso che arriva ben
oltre la sazietà, di quel vizio da cibo), vorrebbe potermi evitare ma nessuno
mi vuole, quando tutti mi vorrebbero.
Così lui non
può fare a meno di me. Preferirebbe forse consumarmi a fettine millimetriche,
nella pia illusione che tante piccole porzioni siano meno caloriche di una sola
fetta. Tenta allora di dividermi a metà ma goffamente, così mi sbriciolo, lui
che avrebbe voluto dire “Chi si fa l’ultima fetta?” a quel punto, complice il
mio disfacimento, mi prende e mi addenta. Già in quell’ultima ingordigia si sta
pentendo, perdendo così, e stupidamente, almeno un cenno di piacere finale.
Pentito, ma ormai la fetta è fatta.
Sono l’ultima
fetta di una torta. Quella, per intenderci, che tutti vogliono e che tutti,
infine, dopo il peccato, disprezzano.
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