giovedì 27 marzo 2014
Herbert 47
Herbert
di franco hf cavaleri
Racconto romantico: una coppia
Dal finestrino appannato scorgeva l’ovatta esterna della nebbia, quell’autunno, nel tornare a casa dopo il lavoro, gli occhi come assopiti per il caldo del vagone e la sopraggiunta stanchezza. Impiego importante a Milano, pendolare sulle Nord.
Un uomo elegante, un uomo misterioso che fendeva la vita comune senza esserne toccato. Né interessato.
A Malnate il muro di nebbia svanisce. La via fino a Varese si staglia nitida. In stazione non prendi il solito bus, c’è l’auto pronta. Ogni tanto in questi anni di brillante carriera stacchi la spina per il fine settimana. Vivere da solo non ti pesa, ci sei abituato. Ci stai bene oggi come ai tempi di scuola. Pochi rapporti, nessuna vera amicizia. Con le ragazze poi…
Chissà, forse ti facevano paura e forse non ti interessavano, o semplicemente non avevi voglia di avere una “storia”. Ti bastava cercarne una, di quelle donne già fatte, disposte a darti quello che ti serve, quel che ti è sufficiente.
Nessuna complicazione, nessuna distrazione sulla strada degli studi e poi nel lavoro.
Oggi, a quarant’anni, stai bene così. Cambiare? In che cosa e perché?
Trent’anni e qualche mese. Lei si teneva con cura. Più di dieci anni di mestiere, discreto e potendo scegliere, non avendo di che lamentarsi, come quelle disgraziate sbattute a forza sul marciapiede.
Il lungolago pieno di luci, il clima sempre ben accettabile, passeggi tranquilla.
Senza amore e senza odio, così ti guadagni la vita. Vivere da sola non ti pesa, ci sei abituata. Hai la tua casetta, dove rinchiudere il tuo vero mondo, nasconderlo agli altri.
Sulla strada ci vai libera. Pensare che a scuola eri inavvicinabile, algida figura vanamente bramata. Oggi è svaporata la follia improvvisa che nell’anno della Maturità ti accese quell’uomo di fuori, prima di scomparire. Scesa dall’altare dei sogni, la tua anima e il tuo corpo ti appartengono, per nulla scalfiti dal denaro, per il quale solamente tu concedi pochi attimi di illusione.
Era tra loro cominciato così, un incontro, uno dei molti possibili.
Ora lo aspettava, come ogni venerdi sera da qualche tempo.
Già la prima volta, non che ci fosse stato un che di preciso.
Era, però, come se si fossero accorti l’una dell’altro, un avvertire “qualcosa” di indistinto.
Senza volerlo, senza saperlo lui era tornato in riva al lago, non gli sarebbe dispiaciuto di ritrovare quella ragazza. Lei lo aveva scorto subito, un vago desiderio d’essere di nuovo avvicinata.
Man mano che si andava verso la primavera, sempre più spesso lei lo vedeva arrivare, con gli occhi cercandola.
Lei s’era accorta di rifiutare quelle sere gli altri uomini.
Lui aveva deciso che quella donna fosse la preferibile.
La riviera del Verbano fioriva di colore e di bellezza.
Lei sentì di chiedergli: “se vuoi, a casa mia staremmo più comodi.”
Non passò molto tempo quando lui le propose di passare l’intera notte insieme, nella comoda villetta alle spalle del lungolago.
Quell’estate vide una nuova coppia vivere per il Lago Maggiore.
Parlavano poco, per lo più qualche sguardo a confermare una vicinanza fisica, un confuso star bene che ripagava entrambi dell’altra vita, della routine. A passeggio tra i turisti, nei ristoranti, qualche cinema, un’uscita qui o là, sulle isole, fino a quando non si ritiravano a casa. A casa.
Era ritornato l’umido profumo dell’autunno, il treno aprì le porte e scese
la fiumana stanca della gente, lui aveva già pronte le chiavi dell’auto.
Si stava ancora bene per le strade del lago, lei uscì dal parrucchiere tra i passanti.
Lui guidava tranquillo sulla “provinciale” quando l’idea lo folgorò.
Potrei spostarmi sul lago, andare a Milano la strada è più o meno la stessa, potrei chiederle di vederci sempre, pagare per vivere nella casa insieme con lei.
Lei girava per le botteghe, faceva la spesa per l’arrivo di lui. Un pensiero la infastidì. Questa storia sta diventando troppo stretta, impegnativa, forse è meglio smetterla, tornare libera a quegli uomini che ti chiedono solo pochi momenti.
L’automobile scivolava vicino al “ponte di ferro” e via a risalire il lago.
Forse è meglio piantarla lì, che motivo c’è di impegnarmi così?
Donne ne trovo quante ne voglio e posso fare come mi pare e piace.
Entrò in cucina, aveva voglia di stare ai fornelli. Per lui: sì, mi sto innamorando, forse l’amore è proprio questo. Dovrei chiedergli di venire a vivere con me.
Potrebbe spaventarsi, andarsene. Mi impaurisce questo, non voglio soffrire di nuovo.
Stava parcheggiando al solito posto. No, non è questione di soldi, lei mi piace,
vorrei amarla davvero. Potrebbe rifiutarmi, dovrei a quel punto smetterla con lei.
Aveva acceso le candele sulla tavola apparecchiata, stava alla finestra con la mano tenendo scostata la bella tendina di pizzo. No, lasciamo le cose come stanno.
Chiuse a chiave la portiera e si avviò: questa sera le parlo.
Lasciò cadere la tendina e si ritrasse: bisogna che ne discuta con lui.
Solo un attimo ancora, il suono del campanello.
47-continua
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