sabato 1 marzo 2014

Herbert 27

Herbert
di franco hf cavaleri


“Perché parlate sottovoce, voi intorno al mio letto, perché ce l’avete con me?”
“Maledetto orologio lì sul muro, è fermo, i minuti non passano mai.”
“Dovrebbe essere il nuovo giorno… no, è tornato indietro, l’orologio ricomincia daccapo, sono intrappolato in un tempo senza fine.”
“Il fuoco mi acceca, il muro si anima, i demoni mi ghignano addosso.”
“Ecco, sì, mi tengono qui per usare il mio corpo, mi toglieranno un pezzo dopo l’altro, mi faranno pagare quello che ho avuto, dando i miei pezzi agli altri.”
“Ho fatto del male a qualcuno? Forse è così, ora si scoprono parole che non ho detto, forse che ho pensato, forse scritto, con cui ho rovinato a qualcuno la vita.”
“Ora pagherà per questo la mia famiglia, a mia moglie toglieranno il lavoro, i miei figli andranno in rovina per colpa mia. Ma io non volevo far del male.”
“Ecco, sono un bambino, ho paura degli uomini cattivi, no, non fatemi del male, non fatemi del male… no, assassini, assassini, assassini…”
Vaneggiato, lento, arriva il primo lieve chiarore.
Il giorno sta arrivando, un giorno ancora, in un mondo sbiadito nelle nebbie della non-vita, senza colori. Nessun colore, solo bianco e nero.
Anzi no, neppure il nero messaggero del nulla terreno, bianco solamente.
Il chiarore dell'alba, il biancore di un altro giorno in cui ci sei, ancora stordito, a lottare per la vita. Comunque vivo. Comunque pronto a vivere la tua nuova esistenza.
“Dunque è questo, che mi toccherà?”
Herbert si riscosse ancora intontito, gettando lo sguardo al foglio bianco appoggiato sul tavolino, nella sua camera d’albergo, mentre il primo sole incendiava di rossi riflessi il vetro della finestra.
“In che modo ci potrò arrivare? Sarà poi davvero così?”
No, non c’era nulla da scrivere, soltanto tornare a casa, prendere Grace per mano, abbracciarla, parlare come tutte le volte che insieme avevano dovuto affrontare i problemi, stabilire gli obiettivi. Come quando avevano dovuto fianco a fianco lottare quella lotta senza fine per una esistenza che da ragazzi avevano sognato, voluto.
Non sarebbe stato facile, per Herbert, anche se si era abituato a mascherare i propri sentimenti, le sensazioni, le paure in una immagine di normalità.
Perché cerchi di svegliarti tutte le mattine, la spossatezza sempre più assillante, ti sforzi di andare al lavoro, di fare tutte le cose che tutti i giorni la gente fa, di nascondere il tarlo che ti rode dentro.
Pensare ogni istante alla “scommessa” che il destino ti ha messo davanti.
Trapianto sì, trapianto no.
Eppure lo sai che di carcinoma si muore, eppure non sai deciderti su cosa sia peggio.
Forse lo è il lento progredire verso una morte inesorabile preceduta da cure su cure, da ospedali, da crisi che ti portano via dalla gente. Forse e al contrario fa più terrore il mettersi in gioco tutto in una volta, entrando in una sala operatoria da cui esci all’istante forse vivo, oppure no.

27-continua

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