IL NODO
di carlozanzi
Ho
un nodo in gola e un nodo di cravatta da confezionare. E non ci riesco. Ho due
mani pesanti, gonfie, sudate che tremano. Oltre le persiane un sabato di giugno
luminoso e accaldato attende il mio nodo, la mia vestizione. La camicia azzurra
è stirata, nessuna piega, ma rischia di macchiarsi dove il sudore ha più agio.
E
lei arriva, bella e impaziente. Si avvicina. Mi quieto. E vorrei correre subito
con l’indice, far scivolare il dito lungo il profilo del suo naso che si
incurva, lo facevamo spesso, ricordi? Come lo sciatore che scappa giù dal
trampolino e spicca il volo; come tu, bimba, sullo scivolo della Villa.
Ti
aiuto, mi dici, e sento il suo profumo di sposa. E tutto ciò che è stata sino a
quel momento mi viene addosso come un tir: il bello e il brutto, la pazienza
sua e la pazienza mia, i suoi pianti notturni, le sue vittorie, le rabbie e la
capacità di chiedere scusa, la vivacità di mente e di corpo, le sue delusioni nell'arrivare seconda, sempre qualcuno davanti, ma oggi davanti a lei non c’è
nessuno, o forse solo un padre e un nodo che non si compone.
Lei
ride e io rido. Tutto è così semplice, basta pazienza, quiete, mani ferme e
lunghi respiri.
Oltre
le persiane siamo attesi da un sole imponente, le giovani ortensie stanno
mettendo colore, c’è chi soffre nella porta accanto ma anche la sofferenza si
inchina quando passa una sposa.
Il
nodo alla gola si è sciolto, le damigelle ridono, tante donne, belle donne si
agitano, raccontano con l’euforia del momento solenne ciò che andrebbe fatto,
riassettano il prezioso vestito, si sincerano che nulla è stato dimenticato in
quella casa che non sarà più il suo nido.
Ecco…così…bene….può
andare, dici e te ne vai, chiamata altrove. Io ti seguo con lo sguardo, i
pensieri ricamano ricordi. Non mi toccherà più fare provviste di acqua
naturale, di latte scremato…no, mio dio, niente più telefonata verso le
diciannove, il tuo pensierino della sera, mi mancherà quella telefonata. Mi
mancherai.
Mi
giro sulla destra, dal divano raccolgo la giacca, pesa, fa caldo, non la voglio
indossare, quella giacca significa l’eleganza che accompagnerà il distacco. Mi
sto già commuovendo senza musica di sottofondo. Basta la prospettiva.
Allunghi
il tuo viso in sala. Sorridi. Noi andiamo, mi dici. Ti ammiro, ancora goffa in
quel lungo abito bianco di regina dell’amore.
Mi
trattengo ancora un attimo.
So
di non poterti più seguire.
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