martedì 24 giugno 2014

Il racconto del mercoledì



LA RISALITA
di carlozanzi

Rientrò a casa con un gran sonno, piegato in due da un crampo allo stomaco in progressione dolorosa. Colpa della cena o dello stress? Entrambi, e comunque sufficiente a fargli abbandonare la compagnia di amici, dispiaciuti della sua prematura dipartita dal ristorante ‘L’anatra all’arancio’.
Salendo le scale immaginò che avrebbe regalato alla moglie il suo fastidio. Abbracciandosi nel letto, con il suo seno caldo alla bocca dello stomaco, avrebbe dimenticato quella disgrazia, raggiungendo la pace e la consolazione del sonno. Con la mano sulla fredda maniglia, notò che la tele era spenta. Aprì. Luce in camera da letto. La immaginò seduta, concentrata nella lettura di un romanzo, probabilmente Baricco. Lungo il corridoio sentì un vociare inimmaginabile, fruscii sospetti, rumori inusuali.
Il suo naso si inoltrò e gli occhi videro lei, Maria, in piedi, piegata verso il letto, nuda, nell’atto di cercare qualcosa. Non si era voltata verso il marito.
Seduto nel letto, dalla parte che spettava al legittimo proprietario, con le gambe sotto le lenzuola e un petto virilmente peloso stava un uomo: teneva gli occhi bassi, colorati di contrizione, di paura, incerti nell’attesa di una reazione comunque da temere.
Lui capì al volo ma non comprese la sua reazione. Dopo il momentaneo stordimento, una quiete inadatta al caso lo assalì. Arrivarono subito il perdono, la comprensione, l’accettazione, il desiderio di passarci sopra. In fondo –pensò- ho anch’io le mie colpe. Chi è senza peccato?
Maria, sempre ritta in piedi, con il culo bello che adocchiava le mosse del suo uomo inanellato, cercava di rimettersi il reggiseno, un’operazione resa complicata dall’ansia.
“Ti aiuto io, Maria” disse lui, con la gentilezza che segue i primi rapporti d’amore di una giovane coppia innamorata.
La donna si girò verso il marito, incerta sul da farsi. Quella sua reazione le regalò coraggio, e così all’amante, che iniziò a rivestirsi senza fretta.
Ma per il tremore delle mani e il sudore, nemmeno il marito tradito riusciva ad agganciare il reggiseno, e allora lei divenne beffarda, crudele. “Lascia fare a me, incapace” e lo allontanò, spingendolo con il movimento ad ariete delle natiche, sode e ancora calde di letto.
Una botta di rabbia potente gli fece alzare le mani: ora l’avrebbe strangolata. Ma ebbe la forza di trattenersi e tornò una indecifrabile disponibilità a lasciar correre, a lasciar fare al tempo.
“Va bene, fate con comodo” disse, “torno fra qualche minuto. Rifatemi almeno il letto” e lasciò la camera nuziale. Pensò di uscire a respirare l’aria nera della notte. Lo stomaco era una morsa dolente. Giunto all’ultimo gradino venne catturato dal seguente pensiero: ‘Ho toccato il fondo, non si discute. Non si può che risalire’ e spinse con le gambe, per propiziare simbolicamente, con un gesto atletico, l’ascesa verso una vita più dignitosa. Non considerò la presenza minacciosa dello stipite di cemento. Ma il rumore della capocciata non salì sino al secondo piano, dove sua moglie e l’amante, increduli e vergognosi, si dibattevano in grovigli di sensi di colpa.




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