LA
RISALITA
di carlozanzi
Rientrò
a casa con un gran sonno, piegato in due da un crampo allo stomaco in
progressione dolorosa. Colpa della cena o dello stress? Entrambi, e comunque
sufficiente a fargli abbandonare la compagnia di amici, dispiaciuti della sua
prematura dipartita dal ristorante ‘L’anatra all’arancio’.
Salendo
le scale immaginò che avrebbe regalato alla moglie il suo fastidio.
Abbracciandosi nel letto, con il suo seno caldo alla bocca dello stomaco,
avrebbe dimenticato quella disgrazia, raggiungendo la pace e la consolazione
del sonno. Con la mano sulla fredda maniglia, notò che la tele era spenta.
Aprì. Luce in camera da letto. La immaginò seduta, concentrata nella lettura di
un romanzo, probabilmente Baricco. Lungo il corridoio sentì un vociare
inimmaginabile, fruscii sospetti, rumori inusuali.
Il
suo naso si inoltrò e gli occhi videro lei, Maria, in piedi, piegata verso il
letto, nuda, nell’atto di cercare qualcosa. Non si era voltata verso il marito.
Seduto
nel letto, dalla parte che spettava al legittimo proprietario, con le gambe
sotto le lenzuola e un petto virilmente peloso stava un uomo: teneva gli occhi
bassi, colorati di contrizione, di paura, incerti nell’attesa di una reazione
comunque da temere.
Lui
capì al volo ma non comprese la sua reazione. Dopo il momentaneo stordimento,
una quiete inadatta al caso lo assalì. Arrivarono subito il perdono, la
comprensione, l’accettazione, il desiderio di passarci sopra. In fondo –pensò-
ho anch’io le mie colpe. Chi è senza peccato?
Maria,
sempre ritta in piedi, con il culo bello che adocchiava le mosse del suo uomo
inanellato, cercava di rimettersi il reggiseno, un’operazione resa complicata
dall’ansia.
“Ti
aiuto io, Maria” disse lui, con la gentilezza che segue i primi rapporti
d’amore di una giovane coppia innamorata.
La
donna si girò verso il marito, incerta sul da farsi. Quella sua reazione le regalò
coraggio, e così all’amante, che iniziò a rivestirsi senza fretta.
Ma
per il tremore delle mani e il sudore, nemmeno il marito tradito riusciva ad agganciare
il reggiseno, e allora lei divenne beffarda, crudele. “Lascia fare a me,
incapace” e lo allontanò, spingendolo con il movimento ad ariete delle natiche,
sode e ancora calde di letto.
Una
botta di rabbia potente gli fece alzare le mani: ora l’avrebbe strangolata. Ma
ebbe la forza di trattenersi e tornò una indecifrabile disponibilità a lasciar
correre, a lasciar fare al tempo.
“Va
bene, fate con comodo” disse, “torno fra qualche minuto. Rifatemi almeno il
letto” e lasciò la camera nuziale. Pensò di uscire a respirare l’aria nera
della notte. Lo stomaco era una morsa dolente. Giunto all’ultimo gradino venne
catturato dal seguente pensiero: ‘Ho toccato il fondo, non si discute. Non si
può che risalire’ e spinse con le gambe, per propiziare simbolicamente, con un
gesto atletico, l’ascesa verso una vita più dignitosa. Non considerò la
presenza minacciosa dello stipite di cemento. Ma il rumore della capocciata non
salì sino al secondo piano, dove sua moglie e l’amante, increduli e vergognosi,
si dibattevano in grovigli di sensi di colpa.
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