domenica 30 marzo 2014

Herbert 50



herbert
di franco hf cavaleri


Racconto romantico: una coppia in giallo

Ferma, stai ferma, non respirare, non ti muovere, non tremare, può vederti e allora…
Era rimasta così, accosciata dietro a uno dei cespugli del lungolago, non riuscendo a frenare i brividi di terrore che l’attraversavano, sforzandosi d’essere statua.
Era come calamitata, le era impossibile non sbirciare, non vedere tra i rami verdi dove aveva cercato rifugio quando aveva compreso l’orrore di quel che stava avvenendo pochi metri davanti a lei.
Non si mosse neppure quando vide la fine, sentì avviarsi il motore e l’automobile andarsene in direzione di Arona, a fari spenti nel buio di quell’inizio d’autunno.
Soltanto quando al tremore della paura si unì il fresco dell’ultima notte riuscì a muoversi, le calze strappate alle ginocchia, mille aghi ad attraversarle i piedi rattrappiti nelle scarpette di boutique. Scappò via ansimando verso casa, la sua villetta lontana dai grandi alberghi, frugò le chiavi, sbattendo il portoncino alle sue spalle. Si buttò nel letto così com’era, il volto affondato nel cuscino di seta.
“Forse non mi ha visto, non mi ha visto. Io non ho visto niente.”
Il cabinato era ancorato a pochi passi dalla riva, illuminato dai riflessi delle luci di strada, in una posizione come se volesse arenarsi, dirimpetto al piazzale dove s’inizia la passeggiata che unisce la stazione di valle della funivia del Mottarone al lungo viale che scorre tra la riva e i grandi alberghi stresiani.
La bambola di donna galleggiava lenta, come se volesse guardare il primo sole nascente, solo una camicetta aperta sul seno nudo, come se per capriccio giocasse sui sassi umidi della riva, che le sue gambe rigide toccavano nel flusso ritmato della leggera risacca. Così la scorsero alle prime luci del mattino la coppia di anziani stranieri usciti dal loro albergo per l’abitudinario passeggio sul lungolago.
Richiamarono urlando il loro barboncino, lasciato senza guinzaglio per correre verso l’acqua e che stava scodinzolando frenetico davanti alla figura inerte.
Un’ora dopo la riva, isolata dai nastri biancorossi, luccicava per i lampeggianti blu delle gazzelle dei carabinieri, con i primi curiosi fermi lì a sbirciare.
Un’ambulanza stazionava in attesa del viaggio alla morgue, dopo i rilevi fatti dal magistrato, tirato giù dal letto e già sul posto. Un’altra si era da poco diretta a sirene spiegate al pronto soccorso, trasportando un uomo in stato di incoscienza che i barellieri avevano portato via dalla barca.
Guardati come sei conciata, sei disfatta. Che t’importa proprio ora, con quello che hai passato, con quell’uomo crudele che hai visto. Che hai riconosciuto.
Pierangela era davanti allo specchio nella sua camera da letto, non aveva chiuso occhio da quando era rientrata stravolta in casa, ora fissava la sua immagine, tremava ancora, sapeva che non era stato un incubo. Le sembrava di essere brutta.
Eppure si era sempre tenuta con cura e per quanto ora si avviasse ai quarant’anni il tempo non le aveva potuto far danno. Era una donna bellissima, come da ragazza.
Al tempo di scuola avrebbe potuto avere tutto, un codazzo adorante di maschi e l’invidia gelosa delle sue compagne.
Il suo era però uno splendore algido, emanava una naturale freddezza che la faceva irraggiungibile. Non che questo le pesasse, tutt’altro.
Solo quell’attimo di follia, dopo la Maturità, le aveva acceso quell’uomo ben più grande di lei prima di scomparire e che aveva così deciso il suo destino.
Pierangela era scesa dall’altare dei sogni e s’era avviata al ruolo di magnifica accompagnatrice, di escort d’altissimo bordo nel mondo diamantato dei vip.
Era rimasta però se stessa, la sua anima e il suo corpo le appartenevano, per nulla scalfiti dal denaro per il quale solamente concedeva attimi di illusione.
Quasi vent’anni di mestiere, un bel gruzzoletto da parte, aveva deciso di smetterla e si era ritirata in quella casetta sul Lago Maggiore, con i suoi mobili, i quadri e i tappeti, gli oggettini cercati a uno a uno: il rifugio dove rinchiudere il suo vero mondo e discreta nasconderlo agli altri, in quella quieta provincia di bellezze fiorite e altre celate, dove il vivere può essere gradevole a chi ci abita.
Donna sconosciuta trovata morta nelle acque del lago, tragico incidente o suicidio? Il mistero di un uomo piantonato in ospedale. Tutti i particolari in cronaca…
Nella caserma di Stresa l’anziano maresciallo era davanti al Pubblico Ministero.
“Signor giudice, sembrerebbe come se avesse cercato di morire, ma non si può escludere la disgrazia, a meno che il giovanotto che abbiamo ricoverato non sia stato lui a combinare il pasticcio con questa donna più grande di lui…”
“Ma lei, caro maresciallo, non me ne pare convinto. Sappiamo almeno chi sono?”
“Su questo ci stiamo lavorando, ma i dubbi sono tanti a cominciare dal motivo di un suicidio, come mai lo avrebbe fatto così invece di cercare un luogo al largo, senza neppure lasciare due righe, un segno, un messaggio qualunque. Vedremo di capirne qualcosa non appena identificati, abbiamo diramato le fotografie. In ogni caso l’autopsia sulla donna ci potrà aiutare, anche se proprio ora il nostro patologo è in ferie e si dovrà attendere che rientri in sede.”
Non tutti i propositi vanno a buon fine.
L’indomani obbligò gli inquirenti a una istantanea accelerazione delle indagini, un fonogramma giunto dal capoluogo aveva svelato il nome della donna, era la moglie di un big della finanza internazionale, che si stava già precipitando a Stresa.
E’ quello che il comandante stava raccontando per telefono al giudice: “Ma allora chi è il giovanotto che era con la donna? Era una tresca?”
“Bene maresciallo, anzi male. Se c’è di mezzo un gigolò dovremo fare le cose alla svelta, cominciando da un controllo discreto, molto discreto delle persone. Intanto l’uomo va interrogato non appena riprende conoscenza e ora partiamo dall’autopsia e questa bisogna averla all’istante, ferie o non ferie.”
Erano rimasti un attimo alla cornetta, in silenzio, poi l’idea: “Se lei, signor giudice, mi autorizza, io farei venire da Milano un mio vecchio amico, un compagno di scuola. Di lui mi fido e non solo come patologo. E’ appena andato in pensione ma potrebbe essere incaricato come esperto esterno.”
“Benissimo maresciallo, lo convochi al più presto e nel frattempo controlli se qualche telecamera in strada ci racconta qualcosa di interessante.”
“Intanto cercheremo di tenere alla larga la stampa, per i cronisti che mi trovo dietro la porta darò la versione ufficiale della disgrazia, ammesso che non si accorgano che li sto prendendo per il naso.”
L’esperto arrivava nel pomeriggio con il Porta Garibaldi-Domodossola, fuori della stazione lo attendeva la macchina dei militari per accompagnarlo in caserma.
Marcello aveva risposto senza esitare alla chiamata del suo vecchio compagno di scuola, forse l’unica persona alla quale si era sentito vicino negli anni di gioventù.
Oggi era un sessantenne elegante, un uomo indecifrabile che fendeva la vita comune senza esserne toccato, né interessato. Vivere da solo non gli era mai pesato, ci stava bene ora, come ai tempi della scuola. Pochi rapporti, nessuna vera amicizia, con le ragazze poi… Chissà, forse gli facevano paura e forse non gli interessavano, non aveva semplicemente voglia di avere una ‘storia’.
Nessuna complicazione, nessuna distrazione sulla strada degli studi e poi nel lavoro. Le camere mortuarie, le autopsie che narravano la vita segreta di uomini e di donne erano il suo mondo, ancora adesso che era andato in pensione.
Era davanti all’uomo in divisa.
“Il fatto lo abbiamo inquadrato ufficialmente come una disgrazia, però potrebbe essere il tragico gesto di una donna molto in vista. Abbiamo anche un giovanotto di cui non sappiamo nulla, pensiamo che sia un amante occasionale. Molte cose non ci convincono e qualcosa di più la vorrei sapere da te, con discrezione assoluta.”
“Su questo stai tranquillo, già ti fidi di me altrimenti non mi avresti certo chiamato. Troviamoci domani mattina alle sette alla morgue e ora lasciami andare, mi sistemo in un albergo e faccio finta di essere un turista.”
Non era facile tenere alla larga i cronisti, men che meno tener loro celato il nome della donna e in modo particolare di chi fosse moglie. Le cronache radiotelevisive e della carta stampata ne parlarono, con tanto di fotografie di lei e di suo marito. Misteriosamente nessuno citò l’altro, il ragazzo era come se non esistesse più. Forse furono quelle telefonate a editori e direttori di notiziari a far sfumare certi contorni.
Pierangela non era più uscita di casa, la paura non l’aveva ancora lasciata, ancora di più dopo che aveva visto in televisione le immagini e le fotografie. Viveva l’incubo, terrorizzata al pensiero che l’assassino l’avesse vista mentre passeggiava per il lungolago e stava nascosta a pochi metri da lui, temeva per la sua vita.
Ancor di più avrebbe tremato se avesse saputo che nel suo correre verso casa più di una telecamera l’avesse inquadrata e che un solerte appuntato l’avesse segnalato al suo superiore: “Signor maresciallo, dalle immagini è tutto quello che abbiamo, questa donna che se ne corre svelta più o meno a quell’ora. L’ho già attenzionata, vive da queste parti, una donna molto discreta e direi molto bella, eccezionale.”
“Allora cosa aspettiamo? Convocatela immediatamente, io l’aspetto nel mio ufficio oggi stesso, verso le undici, intanto andiamo a vedere l’autopsia.”
Marcello non l’aveva atteso, quando il maresciallo arrivò lui era già al lavoro.
“Scusami, ma ho il sonno leggero e allora sono arrivato qua presto. Per farla breve la donna ha consumato un rapporto sessuale, se è stato con quell’uomo trovato in barca il DNA ce lo confermerà, mentre all’esame tossicologico lei è positiva, ipotizzo che ci abbiano anche messo sopra un mucchio di alcolici. Per quanto riguarda il resto, l’esame non ci dice nulla di anormale, tutte cose compatibili con l’età di lei. Non vedo segni di violenza o di una qualche colluttazione.”
“Il mio istinto mi diceva che potrebbe non essersi uccisa, ma che invece lui l’abbia ammazzata. Mi stai spiegando che il mio fiuto ha fatto cilecca?”
“In un certo senso sì, avresti sbagliato, ma anche no perché la logica in questa storia proprio non c’è. Fammi dare ancora un’occhiata.”
Fu allora che un particolare gli diede da pensare.
“Guarda qui, non saprei dirti che significato abbia, ma attento a questo livido tra il collo e il petto della donna, potrebbe essere niente ma anche il segno di un colpo, di una spinta leggera, di una pressione non violenta. Perché? Non lo so proprio.”
“Guarda Marcello che una certa ideuzza questa cosa me la fa venire, per come l’abbiamo trovata potrei pensare che sia stata tenuta a forza sott’acqua e che perciò sia stata affogata, magari dal suo stesso amante in preda a un raptus. Ma non abbiamo trovato nulla che giustifichi questo che ti dico.”
L’appuntato, che era presente all’autopsia, tossì discretamente: “Veramente qualcosa ci potrebbe essere, signor maresciallo lei lo sa che a me piace andare in barca.”
“Non stare a raccontarmi la tua vita, cerca di spiegarti.”
“Ecco, faccio subito. A parte che se ci fosse stato qualcun altro avrebbe fatto sparire qualunque cosa di compromettente, ma non è vero che sulla barca non c’era nulla, c’era il mezzo marinaio che potrebbe lasciare un segno del genere.”
“Ma che bravo! Il tuo ragionamento fila, ma se non troviamo qualche altro aggancio tutto resta sospeso nel nulla. Ne parlo subito con il magistrato, ora comunque dovrei vedere la famosa signora delle telecamere, Marcello che ne dici di venire anche tu?”
Ti sei seduta davanti alla scrivania, le gambe lunghe accavallate. Hai dato fondo a tutto il tuo vecchio mestiere per farti vedere impeccabile, per celare la tua preoccupazione di essere messa in mezzo, perché tu hai visto come sono andate le cose e sai fin troppo bene il potere di quell’uomo, uno dei tuoi ricchi clienti di allora.
Guardandola al maresciallo non restava che pensare due cose, primo che avesse ragione il suo appuntato a dire che la donna era bellissima e per secondo che lei era sull’orlo di una crisi di nervi, per quanto si sforzasse di non darlo a vedere.
Cercò di fare breccia sfruttando quello che il suo intuito e il mestiere di così tanti anni di indagini gli avevano suggerito: “Questa qui sa qualcosa, me lo sento.”
Non ci riuscì, per quante domande e pressioni lui facesse la donna era rattrappita in un unico diniego, ripetuto come una penosa litania: “Non so niente, non so niente. E’ vero che ero in giro quella sera, lo faccio sempre da quando vivo qui, ma non ho visto niente. Se correvo è perché era tardi e volevo rientrare a casa al più presto.”
Mezz’ora dopo il ritornello non era cambiato e il graduato non poteva fare altro che lasciarla andare via nonostante i suoi dubbi, ma non avrebbe saputo in che modo trattenerla e non c’erano prove di un suo coinvolgimento nel fatto.
Pierangela non appena congedata era schizzata via verso la porta e così in subbuglio che non si accorse di Marcello, se non quando andò a sbattergli contro.
Si guardarono, si fissarono come se si fossero all’improvviso accorti l’una dell’altro, come un inaspettato avvertire una sensazione confusa, irresistibile.
Marcello comprese come lei fosse scioccata, fece un qualcosa di cui mai e poi mai si sarebbe creduto capace, le sorrise come per incoraggiarla: “Se mi promette di non agitarsi di più, io la porterei da qualche parte a bere un buon caffè, le farebbe bene.”
Pierangela lo guardò, lui le diede d’istinto sicurezza, i suoi occhi erano limpidi, non avrebbe avuto di che temere, accennò un timido sorriso: “La ringrazio, accetto, mi sta bene ma niente bar, a casa da me, vedrà che come casalinga il mio caffè non è male.”
Ti sei quasi pentita non appena pronunciate quelle parole, ma non ti riuscì di fare marcia indietro, non lo volevi, perché e inspiegabilmente quell’uomo ti piaceva o forse pensavi, speravi che una persona in casa ti potesse dare più sicurezza.
Marcello non aveva esitato un istante per accettare l’invito, il suo mondo di certezze si stava sbriciolando davanti a Pierangela. Non era per la sua bellezza, ma vedeva in lei qualcosa di più profondo, che proprio ora che stava invecchiando lo stravolgeva, era un desiderio fortissimo di starle vicino. Così, all’improvviso.
Non avevano bevuto il caffè una volta giunti a casa di Pierangela, si erano guardati, si erano abbracciati, erano sul letto a fare l’amore. I loro corpi si erano trovati come per un’antica conoscenza, una esaltante abitudine.
Marcello, il distaccato Marcello era ora l’impetuoso e vigoroso amante, come se volesse riscrivere tutti in una volta i suoi anni di monastica solitudine.
Pierangela ne aveva compreso l’inesperienza, ma era così bello e magnifico, si sentiva sopraffatta dal senso inesprimibile di beatitudine che le dava quell’uomo, uno sconosciuto che le stava facendo vivere l’amore, quel sesso che non era per mestiere e che non aveva mai avuto prima, vergine anche lei nei sentimenti.
Era di nuovo mattina, stavano facendo colazione quando Pierangela parlò a Marcello.
“Te lo dico così, con semplicità. Vai in albergo e prendi le tue cose. Ti ospito io, vieni a vivere con me intanto che sei qui.”
“D’accordo, mi fai felice, ma questa mattina devo completare il mio lavoro con i carabinieri per quella brutta storia del cadavere nel lago, io sono qui perché sono un medico, un patologo, uno che tratta con i morti, se la cosa non ti impressiona.”
In caserma si erano ritrovati il Pubblico Ministero e il maresciallo, per gli inquirenti era il momento di fare il punto definitivo, o presunto tale. C’era anche Marcello.
Il giudice era nervoso, troppe interferenze, troppi consigli all’apparenza bonari per fargli chiudere le indagini in fretta e ‘salvaguardando una famiglia per bene’.
Si era rivolto all’uomo in divisa.
“Avete fatto tutto bene, lo vedo dal dossier e mi congratulo. Ora mettiamoci una parola definitiva. Me l’aspetto da lei, comandante.”
Il maresciallo lo guardò perplesso, certo non gradiva che dopo tanti anni di onorata carriera gli facessero fretta, che era quanto coglieva dallo sguardo del Pubblico Ministero. Rispose professionalmente.
“Abbiamo torchiato il ragazzo ma non è mai caduto in contraddizione. Lui giura e spergiura di non saperne niente di cosa possa essere accaduto, ma di essere stato semplicemente ingaggiato per il fine settimana, che i suoi ricordi si fermano al festino e che è felicissimo di essersi ritrovato vivo in ospedale. D’altra parte è pur vero che l’abbiamo recuperato per i capelli, senza l’allarme dei due turisti ancora pochi minuti e sarebbe morto di overdose.”
“Dunque? Andiamo al punto.”
“I fatti certi sono che abbiamo due persone, una donna di mezza età e un uomo molto più giovane che su una barca di lusso hanno fatto un festino a base di sesso, di alcol e di eccitanti. Ipotesi ne possiamo fare a mucchio, almeno due. O erano così fuori di testa che lei è uscita e cadendo in acqua è annegata, mentre lui era mezzo in coma in cabina. Oppure si potrebbe dire che mentre erano incoscienti qualcuno ha fatto in modo che lei cadesse in acqua e ci restasse, lasciando inguaiato il giovanotto. In questo caso dovremmo anche indirizzarci sul marito, capire se c’entri ovviamente per gelosia. Che sia stato questo o quello a spingerla fuori dalla barca, ma non abbiamo trovato niente di niente per dirlo.”
Marcello non potè fare a meno di intromettersi.
“Lasciamo stare la mancanza di segni sul corpo, a parte il livido da pressione che aveva sul petto e che in ogni modo non è così forte da essere un vero colpo. Faccio comunque fatica a credere che dopo che i due hanno avuto un rapporto sessuale e il DNA dello sperma ce lo conferma, mentre sono nello sballo la donna riesce a salire in coperta e a cadere o a buttarsi giù. Non vi pare minimamente illogico?”
Le parole del maresciallo e del patologo per il giudice equivalevano a un attacco d’ulcera, decise di farsi valere, di chiuderla lì per il bene di tutti e soprattutto del suo.
“Parole ne ho sentite tante, ma ora ascoltate me. Noi chiudiamo l’inchiesta con una donna che cade in acqua e annega, con il suo marinaio che dorme e non se ne accorge. Punto. Che vadano al diavolo pure i giornalisti, se non si accontentano.”
In quei pochi giorni di metà autunno la riviera del Verbano era ancora rigogliosa, in fiore, mentre si vide una nuova coppia vivere per il lago.
Pierangela e Marcello parlavano poco, per lo più qualche sguardo a confermare una vicinanza fisica, un confuso star bene che ripagava entrambi dell’altra vita, di una routine in quei momenti lontana, dimenticata.
Di giorno se ne stavano a passeggio tra i turisti, un’uscita qua e là, sulle isole, acquisti nei negozi più di classe, i ristoranti più intimi, qualche cinema, fino a quando non si ritiravano a casa, da lei.
Quando finirono i giorni che Marcello si era concesso, Pierangela ebbe una stretta al cuore, mentre lo vedeva prepararsi la valigia. Temeva un commiato e lo svanire di un sogno. Lui le diede un bacio.
“Devo sistemare delle faccende a Torino, poi andare a Milano per un impegno che ho da tempo, ma per fine settimana torno da te. Ora passo in caserma a salutare.”
Il maresciallo lo abbracciò, tirandolo da parte.
“Guarda Marcello, orso come sei chissà come hai potuto combinare con quella gran bella donna. Il mio obbligo è però di metterti sull’avviso. Durante le indagini lei poteva essere una testimone e abbiamo approfondito la sua posizione. L’unica cosa che ti dico è di stare attento. Da quando è qui non risulta nulla, ma prima… prima faceva il mestiere, insomma era una escort, una accompagnatrice. Mica una di strada, esercitava ai piani alti, con gente danarosa, quindi te lo ripeto da amico, attento!”
Povera Pierangela, ora te ne giri per casa, guardi il tuo letto dove hai trovato una insperata felicità, ma ora lui non c’è e i fantasmi, i demoni ritornano.
Era davanti a un film che non avrebbe mai voluto vedere e che ora riappariva, come lo scaricarsi incontrollabile delle diapositive di un caricatore impazzito. Era lì sulla passeggiata a godersi la sua solitudine, guardando con pigrizia quella barca con le luci ancora accese in cabina. Aveva sentito il rumore di un’automobile giungere sul piazzale, un uomo scendere. Si era nascosta dietro il cespuglio, lo aveva riconosciuto pur nella penombra, era stato un suo cliente importante, un uomo cattivo, che godeva a farle del male. Era il vigliacco che ora recitava la parte di vedovo sconsolato.
Con un salto era andato sulla barca, scendendo sotto coperta.
Pochi minuti, poi l’aveva visto risalire a fatica trascinando il corpo incosciente di una donna. L’aveva fatta scivolare nell’acqua bassa, aveva impugnato il mezzo marinaio e sporgendosi fuori bordo l’aveva tenuta sotto per interminabili minuti, guardandola impassibile mentre lei debolmente si agitava.
Solo quando fu immobile, lui si sollevò, si guardò in giro.
Poco dopo la sua macchina si allontanava.
Una settimana è passata. Uscendo con la sua auto dalla grande città Marcello sentiva già l’umido profumo dell’autunno. Si stava ancora bene per le strade del lago, mentre Pierangela usciva dal parrucchiere tra la gente.
Non aveva preso l’autostrada, lui guidava tranquillo sul Sempione e scivolava lento sul ponte di ferro, l’idea che avrebbe rivisto la sua donna lo prendeva alla gola, la voglia di lei era forte, troppo grande.
Lei girava per le botteghe, faceva la spesa per l’arrivo del suo uomo, un pensiero la rendeva irrequieta perché la riportava alle paure della tragedia e forse sarebbe stato meglio smetterla, dirgli di andarsene via, per sempre.
L’automobile scivolava sotto il San Carlone e via a risalire il lago, forse per lui sarebbe stato meglio piantarla lì, perché impegnarsi così?
Entrò in cucina, aveva voglia di stare ai fornelli, per lui sì, era innamorata e allora non avrebbe dovuto mentire, nascondergli nulla, anche del delitto di cui era l’unica testimone, dirgli: ‘io ero là’. Poi lasciare che le cose succedessero.
Stava parcheggiando davanti alla casa, avrebbe dovuto dirle che sapeva del suo passato e che questo un po’ lo disturbava, o che forse non gliene importava niente.
Aveva acceso le candele sulla tavola apparecchiata, stava alla finestra con la mano tenendo scostata la bella tendina di pizzo, no, lasciamo le cose come stanno.
Che serata sarebbe stata?
Chiuse a chiave la portiera e si avviò: le devi dire che sai di lei o tenertela così?
Lasciò cadere la tendina e si ritrasse: vuoi rischiare, raccontargli tutto del delitto?
Solo un attimo ancora, il suono del campanello.

50-continua

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