martedì 18 novembre 2014

Il pensiero del mercoledì

                                                                                          foto carlozanzi

Sono stati giorni di grande pioggia e di molte disgrazie, anche vicino a casa mia. Desidero accostarmi a questi lutti con un mio Pensieri & Parole, pubblicato su La Prealpina il 2 novembre del 2006. Anche in quel caso l'acqua (non dal cielo) provocò un dolore grande. Sotto la nebbia della foto (sullo sfondo il Monviso) riposa il lago assassino. 

Onde assassine
di carlozanzi

Sono padre. Sono cosa significa l’angoscia per il destino di un figlio. Sono un nuotatore con una certa pratica, e mi sono trovato un paio di volte in mezzo ad un lago (quello di Como e il Maggiore) con il timore d’annegare. Un panico che ti annichilisce, nonostante nel mio caso vi fossero a disposizione mezzi di soccorso, trattandosi di una gara. Per questo credo di intuire una briciola di ciò che hanno vissuto Renzo e Livio Visintini, figlio e  padre, annegati nel lago di Varese il giorno di Ognissanti. Mentre il percorso seguito da quasi tutti i media locali si è indirizzato verso la disamina delle inadempienze (erano morti che si potevano evitare) io, da subito, ho pensato ad altro. Ho cercato di rivivere il dramma di questi miei concittadini, di stare accanto a loro, di immaginare gli attimi che hanno preceduto una morte indescrivibile. E perché mai? A che serve ripercorrere istanti di dolore? Molto meglio partire da quel dolore per coglierne l’insegnamento: ci vogliono più prevenzione, più mezzi di soccorso, più lavoro d’equipe, più competenza. E poi certe sequenze sono improponibili. Non possiamo sostare più di qualche attimo sulle immagini di un bimbo di sette anni, solo, nel lago diventato, fra soffi di tramontana, un nemico invincibile. Non le reggiamo. Ritardando la chiusura degli occhi, arriveremmo a non poter perdonare più Dio. Livio Visintini aveva più o meno la mia età. Mi auguro che sia annegato subito, senza avere il tempo di pensare troppo al figlio Renzo, di avvertire in fondo allo stomaco la morsa di una seppur minima colpevolezza. O, forse, nella certezza che il suo ragazzo non ce la poteva fare, ha preferito non lottare più. O forse se n’è andato convito che almeno lui, Renzo, col giubbotto, ce l’avrebbe fatta. So che era assai esperto sui monti, ma ignoro quanto avesse dimestichezza con l’acqua. I funerali in San Vittore, solenni, hanno radunato sabato scorso nel cuore di Varese tutta la nostra povertà di uomini, coinvolti nel rapporto con la natura (matrigna o benigna secondo i casi) tanto quanto i nostri progenitori. E’ giusto, dobbiamo fare il possibile perché non si anneghi più, così, nel lago di Varese; il fatalismo non è una virtù, tutto l’umanamente possibile va messo in campo, contro una natura che giganteggia. Ma a capo chino, con la pazienza (e il coraggio) di sostare sul nostro limite: per pregare, non solo per prevenire.

2 novembre 2006


                                  


Nessun commento:

Posta un commento