mercoledì 14 novembre 2012

Quel giorno che tremò la notte 30



TRENTA

Don Marco se ne rendeva conto: più i giorni passavano, più sarebbe stato difficile per lui tornare indietro, tradire la sua promessa, come un nuotatore, certo di poter raggiungere l’altra riva, ma questa non arriva e le forze scemano ma il punto di partenza si allontana e ogni metro in avanti rende meno probabile il successo di un ritorno al punto di partenza. E allora si continua, si guarda l’approdo e si spera, perché altra strada è stata fatta e ora sarebbe impossibile rientrare e non restano che due ipotesi: annegare o arrivare sulla sponda che ci sta di fronte. Così si procede, non è più possibile tradire l’idea che ci aveva buttati in acqua, resta solo l’affidamento alla nostra volontà.
Don Marco aveva nuotato molto in avanti nei giorni, era diventato per gli uomini della tendopoli il prete venuto dal nord, che si era affezionato agli abruzzesi e alla loro sciagura. Per chi frequentava l’ospedale cittadino, invece, dove ancora sopravviveva nel coma Roberta, quel sacerdote era colui che aveva contribuito ad estrarre la ragazza dalle macerie e che non aveva voluto più abbandonarla, con un gesto che qualcuno giudicava miracoloso, segno della possibilità di una rinascita, frutto della caparbietà umana e di un aiuto divino.
Don Marco ogni giorno, nel tardo pomeriggio, dopo la celebrazione della Messa nella tenda, entrava in ospedale e si metteva seduto lungo il corridoio, a metà fra la camera di Roberta e la piccola chiesa. Si alzava, chiedeva notizie della ragazza, quando glielo consentivano entrava in camera, usciva, si sedeva di nuovo, leggeva, scriveva, si rialzava e andava nella cappella a pregare. Era in confidenza con i genitori della ragazza, con molti medici e infermieri, con il cappellano dell’ospedale, con il quale aveva avuto più di una discussione di natura teologica. La vedevano diversamente su molte faccende che avevano al centro Dio e, come corollari, la morte, il dolore, il senso di un terremoto, la sofferenza dei bambini.  Era benvoluto da molti, ammirato da qualcuno, criticato dagli invidiosi che ipotizzavano chissà quali interessi dietro quella dedizione, comprensibile solo se Roberta fosse stata sua figlia. 
Ma nessuno di costoro (genitori, medici, infermieri e preti) sapevano che don Marco era incollato a quella sedia e a quel destino perché aveva avuto l’ardite di sfidare Dio. Ora Lo attendeva al varco.
Un segno. Un segno proprio per lui, personale, che sancisse la verità delle promesse evangeliche: chiedete e  vi sarà dato, pregate il Padre mio, e ciò che chiedete ve lo concederà. Pretendeva un segno chiaro e inconfutabile, come i molti miracoli lasciati da Gesù lungo le tappe del suo cammino terreno: lui supplicava la guarigione di Roberta. Il suo risveglio avrebbe salvato due vite: quella della ragazza e la vita spirituale di don Marco. Perché a che serve salvare il corpo, se perderete l’anima? Meglio entrare nella vita eterna senza un occhio, che finire con entrambi gli occhi nella geenna: tutte parole che sapeva a memoria, da una vita.
Così ora vigilava pregando incessantemente, perché il Padre non lo rimproverasse di aver trascurato l’insistenza sino all’esasperazione: così quel padre vi aprirà, fosse solo per togliersi un rompicoglioni che viola la notte bussando alla porta di una casa amica, chiedendo ospitalità anche se i bimbi dormono e lui con quei colpi potrebbe svegliarli. E l’amico che fa? Alla fine apre, sbuffando ma apre e l’accontenta.
Per continuare a fare il prete, per non disfarsi di quella tonaca sempre più stretta, ora gli occorreva davvero un miracolo: perché la meditazione non gli serviva più, il cuore della Parola era risaputo, i dubbi si rigeneravano come le code delle lucertole. Solo quel miracolo, perché lui non era fra i beati che, pur non avendo visto, continuavano a credere. A quel punto, fraternizzava solo con San Tommaso.

****  

Don Marco sentì aprirsi la porta della camera di Roberta. Uscì don Elia, il cappellano. Fece per girare a sinistra, vide l’amico prete seduto al solito posto, esitò, ruotò a destra e si incamminò lungo il corridoio. Lo raggiunse, fermandosi in piedi davanti a don Marco, vicino, tanto da mettergli sotto i naso il profumo di cuoio del copribreviario e l’odore della tonaca, bisognosa di un bucato.
“Non ti siedi?” chiese don Marco.
“Vado…solo un saluto” disse don Elio.
“Sei proprio un prete.”
“Non siamo tutti uguali, nemmeno noi che abbiamo lo stesso vestito.”
“E’ vero…scusa.”
Forse fu proprio quell’ammissione di colpa a convincere don Elio. “Solo un attimo” disse e si sedette, tirando verso l’alto la lunga veste nera. Non poteva essere così fisicamente distante da don Marco: secco come una canna, radi capelli brizzolati nell’emisfero sud del cranio, scattante nei movimenti, dal gesticolare ansioso, don Elio tamburellava i piedi sul pavimento, si rimpallava il breviario da una mano all’altra, si stirava il naso con i polpastrelli. Probabilmente temeva il confronto con quel sacerdote, grasso e inquieto. Lo metteva a disagio, lo spingeva all’angolo, sulla difensiva.
“Solito?” chiese don Marco. Si riferiva a Roberta.
“Nessuna novità.”
“Ha un senso?”
“Quel che Dio vuole” disse don Elia, guardandosi i piedi e scappando dai suoi occhi.
“Ha un senso che Dio voglia questo?”
“Mistero.”
“Non mi basta più.”
“Dobbiamo farcelo bastare.”
“E se Dio non c’entrasse?”
“Col dolore?”
“Con questa miseria che siamo.”
“Ne abbiamo già parlato.”
“E riparliamone.”
“Come fai a dire che non c’entra…Lui…l’Onnipotente…”
“Un Padre buono non fa del male ai suoi figli.”
“La nostra è una visuale ridotta…la nostra logica…”
“La nostra logica non è quella di Dio…lo so, don Elio, sono più vecchio di te. In seminario ero il migliore.”
“Me l’hai già detto.”
“Povera ragazza.”
“Almeno non soffre.”
“Così dicono…o Lui non c’entra, o Lui non mi serve più.”
Don Elia lo bruciò con lo sguardo, ammonendolo a vista che stava sfiorando la bestemmia. Ma don Marco era altrove, parlava, discuteva ma non dava credito alle parole di don Elio. A nessuna parola umana. Ora toccava a Dio fare la sua parte.    


                                                                                             30 - continua  







       






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