Visto il discreto
successo di lettori del mio ultimo romanzo online QUEL GIORNO CHE TREMO’ LA
NOTTE, ho pensato di riproporre sul mio blog, a puntate, il mio racconto lungo VICOLO
CANONICHETTA, scritto nell’estate del 2005, pubblicato nel marzo 2007 da
Macchione Editore. A parte qualche racconto breve, è il primo lavoro di
narrativa ‘lunga’ ambientato interamente a Varese, la città che amo.
Vicolo Canonichetta
Uno
26 maggio 2005
Quel mendicante
sedeva tutti i giorni all’imbocco di vicolo Canonichetta, novantacinque passi
di cunicolo che sfociavano in piazzetta San Lorenzo. Proseguendo dritti si
usciva in piazza San Vittore, sagrato della basilica dedicata a Vittore,
patrono di Varese.
Passando sotto
l’Arco Mera si poteva attraversare corso Matteotti, entrare in piazza del
Podestà, ancora sotto un arco, il Broletto e via Veratti. Quindi la scelta: a
destra, verso piazza Beccaria, o a sinistra, un incrocio, via Sacco e, a
dritta, Palazzo Estense, sede del Municipio.
La nobile dimora,
abitata nel Settecento dal duca Francesco III d’Este, era abbellita da un
giardino all’italiana, ora parco pubblico, simbolo di quel borgo, conosciuto anche
come ‘Città Giardino’.
Sedeva il
mendicante tutti i giorni lì, appoggiava la schiena al muro e davanti a sé
ritrovava un tombino con la scritta ‘Comune di Varese’, mattonelle in porfido
rossastro, al centro del vicolo una striscia di granito, una mezzeria grigia
che lo spartiva in due corsie. Girandosi a sinistra immaginava, più innanzi,
l’Erboristeria del Vicolo, l’Argenteria del Vicolo, una bottega d’orafo, un
negozio d’abbigliamento per bambini. Ma anche muri impiastricciati da scritte
di vernice e cicche di sigaretta per terra. La maleducazione non rispettava il
ritocco dell’arredo urbano, da poco ultimato con investimenti onerosi per la
pubblica amministrazione.
Giovedì ventisei
maggio duemilacinque, nel primo pomeriggio, l’uomo aveva nascosto gli spiccioli
raccolti, s’era rappreso nei suoi stracci e s’era addormentato. Faceva caldo,
anche troppo per essere a maggio. Svegliandosi, stordito dal sonno e dal vino,
vedendo del campanile del Bernascone solo il culmine, aveva immaginato l’ora,
pensando dovesse essere suppergiù la metà del pomeriggio.
Imboccava vicolo
Canonichetta una donna: camminava svelta. Dietro a lei un ragazzo e la sua
ragazza, mano nella mano; lui aveva lasciato la mano di lei, le aveva avvolto
il collo col braccio e l’aveva baciata sui capelli. Subito dopo era entrato nel
vicolo un uomo che correva.
Nessuno di loro
aveva lasciato monete per lui.
Erano poi
trascorse alcune ore. Gente ne era passata, poteva contare cinque euro e
trentacinque centesimi di questua.
A quel punto della
sera avevano imboccato il vicolo tre giovani; uno dei tre, il più elegante,
l’aveva fissato, aveva sorriso, lui aveva fatto eco alla sua gentilezza,
l’altro gli aveva buttato in faccia un “Bastardo!” che non s’aspettava.
La luce del sole
al tramonto aveva poi illuminato vicolo Canonichetta, cuore del cuore di
Varese. Una luce, un calore che avevano trattenuto il mendicante ancora un
poco, seduto lì, nell’abbaglio dell’agonia di un giorno che muore.
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