lunedì 3 febbraio 2014

Herbert 2



Herbert
di franco hf cavaleri

Florence

L’ anziana, elegante signora stava per alzarsi dal suo posto nello scompartimento di prima classe, mentre sfilavano le prime case di Bologna.
Si rivolse all’estraneo seduto di fronte a lei.
“Suvvia, giovanotto, io sto per scendere e lei non ha aperto bocca per tutto il tragitto, sempre a guardare fuori dal finestrino, ma sono proprio così vecchia da non meritare almeno uno sguardo? O è lei che ha così tanti brutti pensieri?”
L’uomo, come trasalendo a quella celia, la guardò con simpatia. Vero, l’aveva ignorata. Sì, era ben strano per chi come lui fosse sempre stato capace di “accorciare” le distanze con le persone. Le sorrise, come per una silenziosa richiesta di scuse rivolta alla sua compagna di viaggio. Una donna alla quale gli anni non avevano tolto né fascino e né un’innata eleganza, come di una gioventù splendida smorzatasi senza che il tempo le potesse far danno.
Si alzò dal suo posto, precedette la donna nel prenderle il bagaglio tra gli ultimi scossoni del vagone, la stupì con uno di quei perfetti baciamano, che aveva appreso da un suo vecchio e nobile conoscente, pronipote addirittura di un grande pittore.
Il convoglio stava ormai entrando nella stazione felsinea (“il treno rapido proveniente da Milano è in arrivo al binario uno”).
Si bloccò stridendo, già pronto per la sua nuova tappa, a Firenze.
Nel salire e nello scendere dei passeggeri, Herbert era rimasto fermo a cercare con gli occhi quella signora così intuitiva e sensibile con cui aveva diviso pochi attimi, che si allontanava sconosciuta nel brulichìo dell’umanità in viaggio, ora diventata folla lungo il marciapiede della stazione.
Ne fantasticò la vita, una giovane bellissima che aveva perso il suo primo amore, che s’era sposata con un brav’uomo che l’aveva ormai lasciata vedova, che aveva ritrovato il suo primo ragazzo per un sentimento risvegliato e ora, rimasta ancora sola, viaggiava cullando i propri ricordi…
Pochi minuti e il treno ripartì.
Con un gesto già tante volte ripetuto, ma non meccanico, con la mano toccò nella tasca della giacca il suo amuleto, come accarezzandolo, quasi anticipando quelle certezze che andava a cercare in quel viaggio solitario. Viaggio, o fuga?
Anche la sua, di eleganza, era alquanto “classica”. La polo a sostituire camicia e cravatta, una giacca spezzata su un pantalone scuro, con un qualcosa di sportivo nell’atteggiamento riservato.
Notò che nessuno dei nuovi passeggeri aveva occupato il posto davanti al suo, nel vagone di prima classe ora semideserto.
Allungò le gambe e si preparò all’ultima parte del viaggio.

2-continua




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