martedì 25 febbraio 2014

Il racconto del mercoledì

                                                                                             foto carlozanzi


Qualche anno fa ho scritto alcuni racconti brevi per bambini, diciamo delle elementari. Ecco, questo è un esempio.



Dal paese di qua al paese di là

di carlozanzi


Dal paese di qua al paese di là
c’è una strada sicura, lì si corre e si va.
E’ una strada che ha un nome, chi lo indovinerà?
Dal paese di qua al paese di là.

Era un indovinello che gli aveva insegnato sua madre. Avrà avuto…sei anni no, perché non andava ancora in prima elementare.
“Marco, puoi farmi solo tre domande, ti dò massimo tre aiuti” gli aveva detto la mamma, che per lui era anche suo papà, morto l’anno prima di quell’indovinello.
Tre domande? E lui aveva chiesto anzitutto qual era il paese di qua.
“E’ Rivabella, è il tuo paese” gli aveva risposto Marta, sua madre.
“Il mio paese? Il mio paese, e allora il paese di là è Porticciolo.”
Risposta ovvia, perché Porticciolo era il paesello proprio di fronte a Rivabella, sulla sponda opposta del lago. Un piccolo lago che permetteva di vedere l’altra riva anche nelle giornate non proprio serene. Solo quando calava la nebbia fitta i rivabellesi non potevano salutare i porticciolesi.
“No, non è Porticciolo. Usa la seconda domanda. Senza il mio aiuto non ci arrivi” gli aveva detto la mamma, incuriosendolo.
Marco ci aveva provato con altri nomi, ma senza successo. “Cedo. Dimmi questo paese di là.”
“Guarda, prima o poi ci andiamo tutti. E non tutti lo chiamano alla stessa maniera. Dai, ora ci puoi arrivare da solo.”
Marco si grattò la testa, chiuse gli occhi per concentrarsi meglio, e quando gli venne in mente quel nome provò allo stesso tempo una sberla di tristezza.
“Allora è il paese dove è andato papà.”
“E’ proprio quello…adesso i paesi ce li hai. E hai ancora un’ultima domanda.”
Marco avevo posto anche quell’ultima domanda, ma il nome della strada non era stato capace di trovarlo. E non ce l’aveva fatta neanche quando Marta, impietosita dalle sue suppliche, gli aveva detto: “Il nome della strada fa rima con indovinerà…basta, mi hai chiesto anche troppo, come al solito mi sono lasciata impietosire. Stop, altro non ti dico.”
Rima con indovinerà? Ancora un'altra grattata di testa, una strizzata di cervello e la parola fatale: “Mamma, cedo.”
E il nome era stato infine rivelato.
***
Da quella confessione erano fuggiti in avanti, veloci e in saliscendi, rapiti e lenti, ottant’anni e forse più. Marco era un vecchio signore, ancora in cammino dal paese di qua al paese di là. In cammino nonostante da Rivabella non si fosse mai mosso. Orfano di padre, a militare non c’era dovuto andare. Studiare aveva studiato poco, il minimo, pochi chilometri sino alla cittadina dove si trovava la scuola media. Licenza di scuola media inferiore, non di più, perché per fare il giardiniere non occorrevano né diplomi né lauree. Era di Rivabella anche la sua morosa, Matilde, figlia del panettiere, panettiera anche lei. Sposi a Rivabella, casa a Rivabella, figli di Rivabella.
Eppure Marco camminava. Sulla strada dell’indovinello. Risposta giusta che aveva provato a far azzeccare alle persone a lui più care: la moglie, i figli, gli amici. Nessuno aveva trovato la risposta.
Quando, infine, l’aveva rivelata, non è che avesse ottenuto grandi ooooohhhhhh di meraviglia. “Ah, sì, certo, già già, e sì, ci può stare, in effetti, dal paese di qua al paese di là…”
Eppure Marco, che su quella strada ci camminava da una vita e che, grazie a quella parola rivelatrice, ci camminava spedito e con soddisfazione, non comprendeva quella tiepidezza.
Poi rimase solo. Gli morì la moglie Matilde, i figli e i nipoti avevano i loro affari, i loro grattacapi e soprattutto nessuno abitava a Rivabella.
Solo ma ancora in salute. Così pensò che era giunto il momento di aumentare il suo pubblico. Quando Marco partì da Rivabella era il 17 settembre del 1970.
***
Girò a lungo, paesi vicini e poi sempre più lontani. Era il vecchio dell’indovinello. E nessuno indovinava. Così il vecchio Marco disse: “Non mi fermo finché uno non ci arriva da solo.”
Naturalmente la risposta cominciò a girare, quindi Marco divenne “il vecchio dell’indovinello, con la risposta che si sa, e che è…”.
Marco non si perse d’animo, preferì rivolgersi ai bambini, sperando che alle loro orecchie non fosse nota la soluzione dell’indovinello.
E arrivò un brutto giorno, il brutto giorno che prima o poi capita a tutti. No, non il giorno della morte. Peggio. Tre persone cattive, di quelle che hanno la cattiveria che ha infestato di erbacce il cuore, cercarono Marco, lo trovarono, lo rapirono e gli dissero, quasi parlando a uno che era meno uomo di loro: “Non siamo d’accordo sulla tua risposta. Non è quella la via giusta per andare dal paese di qua al paese di là. La parola è un’altra. Abbiamo ragione noi, e te lo dimostriamo.”
Lo picchiarono, lo legarono, lo tennero a digiuno, lo minacciarono e lo insultarono, così Marco provò il dolore forte, la fame tremenda e la paura barbina. Per la prima volta in vita (e di anni ne aveva quasi novanta) dubitò delle parole di sua madre. Forse Marta aveva torto, e lui aveva perso del gran tempo. Tutta una vita.
Una sera, la sua ultima sera, s’addormentò. Forse era un sogno o forse no. Vide un bimbo, cinque, sei anni non  di più, che gli veniva incontro. Lo salutò, gli offrì del cibo, lo risvegliò con carezze, sorrisi e baci sulla punta del naso. Felice, il vecchio Marco partì con l’indovinello.
Dal paese di qua al paese di là eccetera.
Il ragazzino si fece venire le rughe alla fronte dalla concentrazione, e poi disse: “Forse è…”
Azzeccò la risposta. Senza nessun aiuto.
***  
Esiste uno scrittore così cattivo, che a questo punto della storia non riveli la parola magica?
No di certo. Anche se sarei tentato di farla indovinare a voi, lasciandovi il dubbio.
E se la parola rivelata fosse una delusione?
Ma come può deludere la parola bontà?      


  


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