Herbert
di franco hf cavaleri
L’amica aveva fatto fatica nell’accettare quell’invito di Emi, si era alla fine decisa a partecipare, curiosa di conoscere quell’Herbert sempre nominato da Emi come un qualcuno in gamba e che ora lei avrebbe ospitato sulla sua Mini di seconda mano.
La sorpresa era stata che alla fine solo lui su quella macchinetta era salito.
Nel giorno fissato Emi aveva preso una stupida influenza, così li aveva alla svelta presentati l’una all’altro e se n’era tornata a letto a smaltire la febbre.
Magrolina, esile e di poche parole, così l’aveva vista Herbert.
Una percezione confermata nel caos del gruppo intento a martirizzare le povere castagne e a “fare macello”.
Gli sembrò isolata, senza più la spalla di Emi, a guardare gli altri.
Lui ricordava bene quella sensazione. Decise (e non ne capiva ancora il motivo) di andarle vicino, Grazia era il suo nome. La ribattezzò Grace, gli era venuto istintivo.
La raggiunse tenendo in pugno qualche caldarrosta, cominciarono a parlare.
“Allora, tu sei cresciuta insieme con Emi o sbaglio? Non sei della nostra scuola.”
“No, io studio da tutta un’altra parte. Emi mi racconta a volte di te, se non me le raccontasse lei, non ci crederei. Faccio fatica a credere che tu sia sempre in giro per la scuola, che i professori neanche ti interrogano e hai lo stesso un sacco di bei voti. E’ vero che esci la sera con i professori?”
“Se la mettiamo in questa maniera, ti avrà anche detto che quelle poche volte che l’insegnante di scienze mi chiama alla lavagna, dice agli altri di portarmi una sedia per farmi stare comodo.”
“Sì, anche questa è una delle cose. A me non va così bene, visto che sono stata bocciata un paio di volte. E’ che io specie in italiano proprio non riesco.”
“Guarda che anche io non me la sono passata bene, adesso ho cancellato un po’ l’accento straniero, ma di anni di scuola ne ho lasciati indietro anche io da quando sono arrivato qui. Adesso che sono più grande, ho imparato a farmi valere e guarda che i professori sono persone come tutti, basta cercarli fuori dall’ambiente e vedrai che ci puoi parlare tranquillamente.”
Qualche giorno dopo le telefonò. Non immaginava, e neppure lei lo sapeva, che sarebbe stato l’inizio di una storia, di tutto un mondo nuovo.
“Guarda che ti ho ribattezzata, a me viene spontaneo di chiamarti Grace, così ti sento più vicina al mio nome non italiano. Ti va bene?”
“Sei un po’ strano, comunque va bene, sempre che mi ricordi di risponderti.”
“Io non ho la macchina, se ci stai con la tua, potremmo andare a fare un giro.”
Così se ne andavano senza una meta precisa, non sempre parlando, ritrovandosi bene nel sentirsi vicini e nel sapere di potersi mostrare per come davvero si era dentro, cosa tutt’altro che facile e scontata.
Herbert aveva avuto delle storie, un paio di amicizie in particolare le stava coltivando da poco prima di conoscere Grace. In quelle stesse giornate gli si stavano sciogliendo davanti, come fossero dei semplici giochi, che lui cominciava a sentire di non poter condurre in parallelo con quel suo uscire con Grace.
9-continua
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