Herbert
di franco hf cavaleri
...era lì, lontano da casa, per ottenere una risposta
“Sì, è un carcinoma.”
Alla fine Herbert era riuscito a rompere la cortina di silenzio dell’infermiera: “guardi che lo so, l’ho già capito, le sto chiedendo solo di leggere il referto.”
Aveva barato, non lo sapeva, ma lo temeva. L’infermiera lo aveva guardato, ai suoi occhi era apparso come un uomo forse quieto, ma sicuro di se stesso, lei mai avrebbe indovinato come in quegli stessi attimi gli si stesse frantumando dentro tutto.
Lui si sforzava di essere come quelle persone, che anni di lavoro e di rapporti sociali avessero abituato a presentarsi dietro una celata fuorviante, quasi inespressiva.
Lei gli aprì davanti la cartella clinica per estrarre l’esito della biopsia, lui lesse le poche righe, la chiara e implacabile parola: cancro!
“Così, all’improvviso, eccoti davanti al tuo traguardo, ti hanno messo addosso una data di scadenza. Ora che fai? Alla tua donna, glielo dici?”
L’impulso a serrarsi in se stesso era stato più forte, era scappato via, via anche dai suoi stessi cari, come se così facendo potesse cancellare, annullare la realtà.
Come se, andando lontano, potesse rimettere le cose a posto.
Ora, nella penombra della sua camera d’albergo Herbert non dorme, sta seduto davanti al foglio bianco, da riempire di quelle parole che avrebbe dovuto dire accarezzando Grace, abbracciando i suoi figli. Passano lente le ore della notte, nella lettera vorrebbe delineare un bilancio, quello dei suoi rapporti con i figli, così diversi tra di loro, eppure talmente simili a guardarli nel profondo.
C’era una domanda da fare, importante.
Quand’erano piccoli era così bello vedere i loro occhi ipnotizzati mentre Herbert leggeva il consueto raccontino della sera, prima di metterli a nanna.
Come è stato possibile che passo dopo passo la figura affettiva di padre fosse stata sopraffatta da un ruolo categorico, scostante.
Già, prima di partire con la scusa di un oscuro convegno di lavoro, aveva preparato per loro quelle lettere personalizzate, che aveva sì scritto, ma che non erano mai state spedite. Ora aveva deciso di lasciarle da parte, soltanto ne stava ricopiando la chiusa, era quanto potesse contare davvero.
“Non so fino a che punto sono stato un padre all’altezza, troppo rigido sicuramente. So però di volervi bene, forse con differenti manifestazioni, ma in maniera uguale per voi, nonostante il mio carattere chiuso. La mia vita è stata per anni vissuta da solitario e lo stare solo non mi ha mai creato problemi, in fondo ci sono abituato. Pensando agli altri, per quanta gente io abbia incontrato nella mia vita, non ho mai esitato a lasciare per strada questa o quella persona, troncare questa o quella esperienza: semplicemente stacco la spina.”
Stava per ripiegare il foglio, poi comprese che ancora una volta stava tralasciando di dire le parole più importanti, quelle che contano per davvero.
23-continua
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