venerdì 21 febbraio 2014

Herbert 18

Herbert
di franco hf cavaleri



...com’eri tu, da figlio?

Tra arabescati stendardi, lunghi vessilli fluttuanti al vento leggero, con il suono stridulo dei pifferi e il rombo ritmato dei tamburi, così scendeva il solenne corteo reale dal lungo passo che veniva dalle montagne straniere, già se ne scorgevano i colori, si intuiva l’eco squillante della carovana.
Ecco il multicolore e nobile procedere di dame e damigelle agghindate a festa, ecco il seguito dei forti cavalieri nelle loro armature, con gli spadoni inguainati, le picche e le alabarde pronte alla contesa del prossimo torneo.
Venivano in visita al principe della contrada amica.
Appollaiato tra le merlature del castello, Herbert guardava l’avvicinarsi dei nobili ospiti, prevedendo la festa solenne, le gare, i balli variopinti, il grandioso banchetto.
Così lo trovò suo padre. Non aveva tardato più di tanto nel cercarlo, lo conosceva, sapeva che suo figlio si sarebbe come rintanato a fantasticare, a ricreare nel sogno le immagini che rubava in ogni momento dai libri che divorava, ansioso di svelare la trama e di giungere al “lieto fine”.
Era la bellezza e il sogno atteso di quelle visite in città.
Per quanto Herbert amasse il suo villaggio pieno di amicizie e la sua casa, era festa ogni volta che suo padre decideva di portarselo dietro, per i suoi affari.
Era il momento di creare eroi e cavalieri, pirati e avventurieri, dame gentili e sovrani autorevoli da incastonare nella bellezza dei luoghi idealizzati.
Era l’occasione per immergersi dentro una vita alternativa, allora come oggi.
Ora, appoggiato all’alto muricciolo che delimitava il lungarno, lanciando lente e gonfie nuvole dalla sua pipa, l’uomo che era stato una volta bambino pensava al suo esistere: già, ma come si può spiegare, descrivere la storia della vita di un uomo, quella vera, parlare dei suoi pensieri, delle emozioni e dei sentimenti?
Dicono che in fondo la vita di un uomo valga solo quando vive nei pensieri, nelle emozioni e nei sentimenti di coloro che ne hanno ricordo e memoria.
Tutto il resto, sono nude e crude date segnate su un qualche calendario.
Forse per quel suo sconfinare in un mondo immaginario vi era timidezza o forse anche quel suo essere altissimo già prima dell’adolescenza e nello stesso tempo magro, esile come un fuscello in balia del vento.
Impossibile non distinguerlo dai suoi compagni.
Quand’era nato gli echi della guerra non erano del tutto sopiti: manifesti con i disegni delle bombe da non toccare nel caso se ne vedesse una per i campi, il favoleggiare di una America dei bengodi, vaccinazioni a graffio, l’olio di fegato di merluzzo a generose cucchiaiate nelle scuole.
Un’infanzia comunque felice, quasi fosse un “principino”, vissuta con due giovanissimi genitori, con una famiglia allargata ai quattro nonni, a zii e cugini e cugine, a una sorella, in cortili e in strade ai cui occhi non potevi sfuggire.

18-continua

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