venerdì 7 febbraio 2014

Herbert 6


Herbert
di franco hf cavaleri


Un buon posto dove scendere, in periferia, verso quelle Cascine echeggianti la canzone spesso ascoltata, quella delle bambine svegliate a primavera e che giusto lì andavano a cercare l’amore e l’allegria della giovinezza.
Entrò nell’atrio e si diresse verso il ricevimento, una delle impiegate già gli sorrideva.
“Benvenuto, l’aspettavamo. La camera è quella che lei ha richiesto, sempre la stessa, la trecentoquindici, sul fiume. Peccato che la signora non ci sia, questa volta.”
“Stavolta non è vacanza, solo un impegno di lavoro.”
Salì velocemente le scale, non amava il chiuso degli ascensori.
Lasciò tutto nel borsone, sarebbe rimasto poco. Sulla scrivania appoggiò con cura, quasi con amorevole riverenza, le sue cose, tra le quali immancabile la vite con la testa a forma di croce che gli avevano regalato un giorno lontano e che lui teneva come un “memento”, un singolare amuleto.
Mise a fianco della lampada una penna delle sue, non amava adoperare quelle anonime, uguali che si trovano in qualunque albergo.
Rimase alla finestra, ora nel tiepido pomeriggio a fissare lo scorrere lento dell’Arno, un pugno gli torse lo stomaco: stava pensando alla sua donna.
In quelle ore, a Firenze, lui aveva bisogno di stare solo, disperatamente solo.
Lì affacciato sul fiume, chiuso nei suoi pensieri, era tornato a vedere il sole calarsi lento sui tetti della città nuova, lo scorrere agitato del traffico di auto e di bici, l’affrettarsi delle persone.
Si riscosse e si spostò dalla finestra dell’albergo, dalla tasca del borsone Herbert prese la sua pipa preferita, con il tabacco inglese confezionato apposta per lui.
La caricò con l’abituale, lenta ritualità prima di ricordarsi dei rilevatori di fumo della camera. L’avrebbe fumata più tardi, uscendo.
Guardò sul tavolino il foglio ancora anonimo, la bella penna a fianco, che avrebbe inciso le bianche pagine di lì a poco, ma non subito.
Prese il soprabito per uscire.
Giù nell’atrio consegnò la chiave con un sorriso alle due ragazze al banco, non amava buttarle lì, preferiva darle con un saluto, una battuta qualsiasi.
Era la sua scelta da sempre, ora rafforzata da quando aveva letto le pagine di Kapuscinski, il grande reporter polacco.
Una in particolare, quella in cui diceva quanto fosse ingannevole la comunicazione quando vi si fosse inserito un “intermediario tecnico”: il telefono, le mail, il virtuale.
Sono degli strumenti che sembrano davvero avvicinare le persone, eppure finiscono per tenerle a distanza, in una forma di moderna incomunicabilità.
Per questo lui amava guardare negli occhi, usare la parola parlata e non solo quella scritta, stabilire un contatto con qualunque persona avesse a che fare.

6-continua

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