venerdì 7 febbraio 2014

Herbert 5


Herbert
di franco hf cavaleri 


Per quanta stanchezza ci fosse, l’essere giovani forniva energie da spendere e la sera, dopo la cena di gruppo a base di formidabili piatti di pastasciutta e imbacuccati nelle coperte, si andava per le strade a ridere e scherzare. Non era fastidio, anzi.
Dalle abitazioni ti chiamavano dentro, un bicchiere di vino o di grappa, un dolcetto.
Soprattutto un grazie e una cordialità spontanea, per farti sentire come a casa.
Di quella gratitudine, Herbert conservava la coperta militare che aveva ricevuto in dotazione, un ricordo di quella gioventù, di se stesso, di Chicca e degli altri con cui aveva cercato di creare e di condividere tutto un mondo migliore, ingenuamente pensandolo possibile.
Intanto la Toscana, Firenze e l’Arno. Quell’anno terribile dell’alluvione a parte, un ricordo banale e “leggero” gli era rimasto, una curiosità che negli anni non aveva trovato il tempo di soddisfare. Quella fiaschetteria dove si andava a sera per bere un bicchiere, che sapeva di antico, come il nome: “carabaccia”. Dicevano che avesse origini medioevali, che al “tocco” (l’una di pomeriggio, direbbe un forestiero…) fosse la meta degli artigiani e dei renaioli che trasportavano la sabbia, il sale e le merci da una sponda all’altra dell’Arno. Lì cercavano compenso alle loro fatiche con qualche buon crostino e un robusto bicchiere di vino rosso.
Era l’occasione giusta per provare, era da solo, senza la sua Grace.
Fece fatica, i luoghi non erano più gli stessi.
Ovvio, dopo così tanto tempo. La fiaschetteria non si vede più, solo trattorie e ristoranti quasi nello stesso posto del borgo non più così vecchio.
L’aria di uno di quei locali appariva rassicurante, entrò anche se era presto, la sala era deserta. Chiese un tavolo un po’ defilato.
Il cameriere aveva un’aria simpatica, invitava alla chiacchiera.
Lo provocò, Herbert lo faceva apposta per creare un po’ di familiarità.
“Non mi dica che qui la fiorentina non si trova.”
“Lei scherza, signore. Se ne vuole una cotta alla brace, non faccio per vantarmi, ma così come la facciamo noi l’è la migliore...”
“Allora, se non mi fate fretta, ne ordino una.”
“Una intera per lei solo?”
“Perché no? Una piccola magari, con un buon bicchiere di vero rosso toscano.”
“Buon appetito a lei, vado subito in cucina.”
Non che fosse amante della carne, ma una fiorentina in quel momento era davvero la più appropriata, l’assalì con calma e metodo, se ne stava infine a cesellare l’osso.
“Signor mio, qui avevamo scommesso che non ce l’avrebbe fatta, complimenti, era un bell’appetito. Davvero!”
“Mi dia retta, come si chiama?”
“Domenico.”
“Ho mangiato bene, i complimenti vanno al cuoco. Posso rubarle due minuti? Ecco, io ricordo da queste parti una fiaschetteria, era giovane allora. Che fine ha fatto?”
“S’è persa, forse negli anni Settanta, poi è arrivato il tempo delle trattorie tipiche e dei ristoranti, ma sempre con i nostri piatti toscani.”
Era ora di recarsi in hotel, dove aveva prenotato la camera, raccomandandosi la stessa delle altre splendide volte, quando non era solo e aveva lei, Grace, la sua compagna.

5-continua

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