giovedì 6 febbraio 2014
Herbert 4
Herbert
di franco hf cavaleri
“Demonio di un Vasari: questo grande passeggio aereo che ti permette di scorgere la vera e nascosta Firenze e la sua tipica architettura, che sfugge a chi cammina lungo la via, con le finestre celate che mirano al passaggio e agli umori dei sudditi, che colpo di genio permettere ai Medici di assistere nascosti e indisturbati alla Messa.”
Di nuovo in strada, di già al fiume, ecco la vecchia mendicante con il suo bicchierone di carta, ben diversa da tanti altri, fiorentina forse, ma senza dubbio con il piglio toscanamente strafottente di chi te le canterebbe volentieri, che aveva nello stesso tempo un che di nobiltà nell’indicarti con un breve cenno il suo bisogno.
Ecco sotto un ponte la barcaccia quasi a forma di gondola, come sottratta a quegli altri, quelli della laguna. Residuo del passato, aveva garantito per tutta la sua vita il passaggio da una sponda all’altra del fiume, prima d’essere posta in disarmo.
Ecco gli atleti che si allenano remando tra le quiete acque.
Ecco l’Arno.
Nonostante la pioggia del giorno prima, le acque del fiume scorrevano lievi, pigre.
“Come mai è stato possibile che in quel lontano anno, il quel Sessantasei tremendo, l’Arno di ribellasse alla sua città e decidesse di distruggerla, con tutti i suoi tesori?”
Si appoggiò al muretto e guardando la corrente si risvegliò in quelle altre fotografie di distruzione, di fango, di doloroso stupore.
Si immaginò tra i volontari, fra tutti quei giovani giunti da ogni parte del mondo a dare una mano e a tentare di offrire una risposta a una macchina dei soccorsi messa in ginocchio dall’enormità degli eventi. Libri da salvare, toccandoli con delicata premura nel tentativo di sottrarli all’acqua e al fango, catene umane che negli anni a venire, e ancora oggi, divennero splendido gesto.
“Eppure non è di questo che potrei essere orgoglioso. Era facile rispondere alla suggestione del grande nome di Firenze. Me ne ricordo un’altra in quegli anni, terribile e forse poco celebrata.”
Era a scuola, quando nel cambiare dell’ora gli era corsa incontro una delle sue compagne di lotta e di politica, Chicca, con una proposta da cogliere al volo.
“Ascolta, tu sai quello che è successo nel Biellese, lì hanno bisogno di gente perché di acqua e fango è stato un vero macello.”
“Vengo e come, dammi solo il tempo di dirlo in casa. Sai già come ci muoveremo?”
“Il passaggio lo avremmo per stasera. Ci andremmo in auto con un mio conoscente che arriva lì e vuole subito tornare indietro.”
“Dammi il tempo di fare lo zaino e di tirar fuori il sacco a pelo. Va bene, partiamo.”
Arrivarono con il buio, il gruppo di intervento al quale erano stati destinati era alloggiato nell’edificio di una scuola elementare. Nel freddo e nel gelo della montagna, la mattina dopo furono portati sui luoghi, in una fabbrica tessile dove il fango era l’unico elemento visibile, da restituire badilata dopo badilata al corso d’acqua che l’aveva generato e che ora scorreva indifferente.
Lavorare sodo fin che la luce del giorno l’avesse consentito, con brevi pause almeno per scaldarsi le mani al punto di ristoro garantito da crocerossine o per mangiare la gamella di minestrone portato a mezzogiorno dai soldati.
4-continua
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