martedì 4 febbraio 2014
Herbert 3
Herbert
di franco hf cavaleri
Gli piaceva quel tratto di ferrovia, amava fissare fuori dal finestrino il buio delle lunghe gallerie, che si aprivano di quando in quando in squarci di Appennino svelti a dileguarsi dentro la nuova montagna. Adorava il verde caratteristico del bosco d’altura, si immergeva nella vita misteriosa e indecifrabile degli abitanti delle case sparse e dei paesi che fuggivano davanti al suo sguardo, come per cercare di vivere la loro realtà, assieme a loro cogliere gli attimi di ogni giorno.
Rimase immerso nel silenzio dei pensieri, quasi non scorgendo il muoversi delle persone nello stretto corridoio di fianco a lui.
Man mano che ci si avvicinava alla città del giglio, i raggi del sole sempre più decisi giocavano a cacciare le ultime nuvole, che il giorno prima avevano dato una provvidenziale, seppur fastidiosa pioggia.
Sarebbe stato un ideale fine settimana di sole e di bel tempo. Non per lui.
Ecco Santa Maria Novella, stazione molte volte attraversata nei suoi rituali giri in Toscana. Uscì con passo deciso dal lato destro del grande atrio, discese la larga scalinata e si guardò attorno.
Sì, Firenze gli era sempre piaciuta, era ogni volta più bella e fascinosa.
Era ancora presto nella mattina, troppo in anticipo per andare in albergo.
Borsone a tracolla, camminava lentamente verso il cuore di Firenze.
Il centro della città gli era congeniale, con la sua voglia di scorrere gli edifici, i monumenti, l’arte che traspirava da qualunque angolo.
Forse era suggestione, toccare i luoghi di Dante e di Beatrice gli aveva sempre fornito un senso di quieta esaltazione, una appartenenza decisa a quell’amore “sacro” esaltante l’altro “profano”.
Certo c’era la folla spesso indisciplinata di turisti, eppure gli pareva di cogliere come un silenzio stupefacente, che sapeva annullare la miriade di persone attorno a lui. Vicino al Duomo si fermò, come al solito alzando gli occhi alle pietre incombenti, che davano forte il senso dell’Assoluto.
Sul lato destro ancora una breve sosta. Legati agli anelli di ferro c’erano i due cavalli dei carabinieri, che di tratto in tratto erano di ronda per il centro, ne accarezzò il muso quieto, scambiò un breve cenno di saluto con gli uomini in divisa.
Poi scivolò verso le direttrici dietro la grande chiesa, a cercare le strette viuzze dove ancora esistevano le antiche abitazioni di Dante e della sua donna angelicata.
Si fermò davanti alla casa di Beatrice, entrò nella piccola stanza acconciata a mausoleo, pochi passi a ripercorrere le pareti e le immagini. A sinistra, sedute su una bassa balconata, vide due ragazze, sembianze di giovani studentesse universitarie.
Silenziose, prendevano da un paio di alte ceste in vimini ora uno, ora un altro dei bigliettini d’amore che rari turisti vi lasciavano custoditi.
A tratti se ne scambiavano, come di più interessanti da leggere e da condividere.
Era l’ora di sfilare verso l’Arno. Il Ponte Vecchio lo avrebbe lasciato più che volentieri al nugolo dei visitatori con le loro aride, invadenti e uniformi macchine fotografiche. Per lui valevano altre sensazioni, come il ripensare al Corridoio Vasariano sospeso in alto tra le case fiorentine, pronto per una fuga eventuale della famiglia dei Medici, dagli Uffizi oltre l’Arno e il Ponte Vecchio fino a Palazzo Pitti: una struttura pensata per l’emergenza eppure così carica dell’arte di un Guido Reni, dei Carracci, di Artemisia Gentileschi, di altri bravi artisti.
3-continua
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