martedì 30 dicembre 2014

Lo schizzo del mercoledì

                                                                                           foto carlozanzi





NEBBIA
di carlozanzi

La nebbia arrivò con lentezza, si materializzò da lontano, prima con un cartello segnalatore (Attenzione, banchi di nebbia. Guidare con prudenza), quindi con una muraglia bianca, quasi che le nuvole avessero perso gli ormeggi e si fossero afflosciate sulla nostra crosta asfaltata, intossicata dai veicoli, malcurata. L’alba, giunta da poco a indorare l’autostrada, segnalata da un sole tondo e basso all’orizzonte, venne offuscata. L’impatto venne accelerato dalla velocità dell’auto, che s’avvicinava lesta (a cento all’ora, poi a novanta e quindi, per prudenza, a ottanta) alla massa di vapore; infine ci cozzò contro, la perforò, vi si immerse come in un mare impalpabile.
Fuori dal confortevole salottino ambulante vide campi innevati, tetti con scarsa neve, fabbriche, antenne per la telefonia cellulare, cartelli stradali, automobilisti inscatolati nelle lamiere come tonni che –immaginò- mostravano una preoccupazione paragonabile alla sua. La nebbia è un fastidio, nessuno direbbe il contrario.
Il sole annegò, divenne opaca lampadina, luna diurna davanti ai suoi occhi. Sollevò il parasole, che aveva abbassato con gioia perché con gioia aveva accolto il sole nascente. Disse in silenzio: ‘Non ci voleva.’ Una grossa torre alla sua destra, che finiva in cielo con una costruzione circolare illuminata da scritte pubblicitarie, gli parve un disco volante che atterrava fra i vapori dei suoi razzi.  
Molti abitanti delle auto lo sorpassavano superando in abbondanza il limite imposto a chi percorreva la tangenziale, novanta all’ora. Incuranti della nebbia, ora densa, tenevano quel maledetto piede destro contro l’acceleratore, non lo sollevavano pur sapendo che rischiavano loro e mettevano a rischio la salute altrui. Si portò sulla corsia più a destra, si accodò ad un TIR che rumoreggiava, traballava, sputava veleno nero contro il suo parabrezza.
La nebbia si diradò, il sole prese vigore, decise il sorpasso del TIR, strinse le mani al volante, freccia a sinistra, uscita in seconda corsia, spilli in fronte, un colpo di tosse, a metà si pentì ma tenne duro e tornò vittorioso in carreggiata, allentando la morsa delle mani. Il sole scomparve, diminuì la velocità, guardò nello specchietto retrovisore, il TIR lontano si stava avvicinando, pensò in silenzio ‘Mi vedrà…ho anche la luce antinebbia posteriore…anche i fendinebbia, ma al TIR quelli non interessano…’ Ebbe comunque paura.
Nell’abitacolo il clima era accettabile, immaginò il freddo di fuori, l’umido. Il mondo si era fatto grigio, opprimente, insicuro, il viaggio un’avventura con esiti drammatici in costante aumento di probabilità.
Ma presto tornò il sole innanzi ai suoi occhi, si presentò come riflesso a forma circolare, poi come ostia alzata in cielo da un Dio benevolo, quindi faro dalla luce sempre più intensa, infine fuoco capace di sciogliere quelle nubi improprie, fuggite dal cielo per fare dispetto agli uomini.
E quando tornarono i colori, e persino la neve gli parve un arcobaleno, si voltò verso di lei e le disse: “Ti amo.”



Nessun commento:

Posta un commento