venerdì 21 febbraio 2014

Herbert 19

Herbert
di franco hf cavaleri


Come sempre succede nei piccoli ambienti, che ti proteggono sì, ma che anche esigono molto, specialmente quando appartieni a una famiglia in vista e stai sotto una pressione sociale, alla quale non puoi sottrarti e che a volte troppo pretende da te.
Amici e compagni, erano in parecchi a giocare per le strade senza asfalto, a spingersi temerari alla scoperta di boschi e di torrenti, di pozze d’acqua invitanti e insidiose.
Tutto un agitarsi per bande, a volte botte, con le gerarchie di gioco che lo volevano gregario, quasi a pagare lo scotto di dover primeggiare a scuola.
Sì, era stupendo quel suo vivere tra la sua gente, il profumo del legno lavorato dal nonno, il pesante tabarro nero che sapeva di pioggia dell’altro nonno, lo sfrigolìo del ferro incandescente annegato nell’acqua marcia, l’odore aspro dello zoccolo del cavallo quando veniva ferrato, l’ansimare concorde degli operai che cerchiavano con il fuoco le larghe ruote del calesse.
Non gli era sufficiente, tutto questo. Herbert amava leggere, ogni scusa era buona per rintanarsi a scorrere avidamente le righe suggestive di avventurose vicende.
I libri non bastavano mai per la sua fantasia sempre alla ricerca di un eccitante mondo lontano, nel quale estraniarsi sospendendo le ore della sua giornata.
A cambiar vita, comunque già ci pensavano anche papà e mamma, ai quali evidentemente era stretto il paese. Il padre di Herbert tra l’altro aveva deciso di non continuare il lavoro che la famiglia aveva sempre esercitato, aveva studiato e vantava a quel punto una professione che lo poteva far spaziare ovunque, altrove.
A costo di duri sacrifici, pensando alle opportunità che la città avrebbe potuto dare, si trasferirono. Per Herbert fu l’inizio di un nuovo modo di essere e di vivere.
Ne avevano parlato in famiglia e la decisione era chiara: non ci si dimentica delle nostre origini, ma si comincia a vivere, parlare, comportarsi per integrarsi nel nuovo ambiente. Si ricomincia daccapo.
Herbert ruppe il silente frusciare lento dell’acqua battendo il fornello della pipa sul muricciolo di sostegno, si fermò a pulire le briciole di tabacco bruciato e intanto pensava a quel suo essere d’istinto un solitario, forse un egoista, già da bambino.
Ora, diventato adulto (vecchio?) si era consolidato quel suo lavorare sottotraccia sia pure in mezzo alla gente, essere forse un “protagonista del backstage” sempre alle prese con le più svariate attività di lavoro e di volontariato, senza alla fine comparire, senza avere la scena che pure avrebbe meritato, anche non appartenendo al mondo dei “migliori” e dei campioni. Già, a lui bastava pensare e progettare, proporre e lavorare duro per vedere realizzate le sue idee. Era sufficiente che ci fosse il successo e poco importava se altri si appropriassero di quei risultati.
Che contraddizione, in questa pur semplice questione.
“Tutto quest’agitarsi che ti crea conoscenze anche belle, rare amicizie profonde, forse non riesci a integrarti perché eri arrivato da fuori e non sei cresciuto con chi oggi ti circonda. Lavori, ma non conti nei giri che contano. Dove se ne va tutto questo tuo attivismo, se non nel solo tuo piacere di star dietro ai tuoi ideali?

19-continua

Nessun commento:

Posta un commento