venerdì 14 febbraio 2014

Herbert 11

                                                                                            foto carlozanzi

in foto: ecco il mio amico Franco hf Cavaleri (a sinistra) insieme al poeta Dino Azzalin, in una foto di qualche anno fa


Herbert
di franco hf cavaleri

Far vita da signori era comunque gradevole, un complessino suonava ariette, la posateria (s’erano intesi con gli occhi) era rimasta sul tavolino e stavano attaccando i tramezzini. Il cantante intonò d’un tratto “rain drops”, gocce di pioggia… e dovettero ripararsi di gran carriera in Galleria per un improvviso e traditore rovescio di pioggia.
Al ritorno, il fattaccio. Il treno s’era fermato per un guasto fuori da una qualsiasi stazione, potevano solo attendere il lento passare di alcune ore, di telefoni portatili neppure se ne sospettava la possibile esistenza. Arrivarono così già con il buio, Grace era più che agitata per l’accoglienza che avrebbe ricevuto in casa.
Herbert tentò di calmarla.
“Vengo dentro con te e anche se non conosco i tuoi genitori spiego io le cose.”
Ci provò, temerario, con il papà di Grace.
Non è che questi credesse di botto al primo venuto, mai visto prima.
Quella situazione ebbe un doppio effetto.
Prima di bloccare eventuali punizioni a Grace e poi di indispettire Herbert e quando lui si fosse indispettito non lo sapeva fermare più niente e nessuno.
Al momento non aggiunse parola.
L’indomani andò a cercare il capostazione, gli parlò, attese paziente che smettesse di sganasciarsi per il ridere e poi ottenne una carta che certificava l’ora d’arrivo del treno, ben in ritardo.
Andò dal padre di Grace e gliela mostrò.
Lui fece l’indifferente, della cosa aveva già letto sul quotidiano locale.
Già, in effetti a quel tempo un treno in ritardo faceva notizia.
La conseguenza fu il “placet” implicitamente dato alla coppietta, che potè da quel momento in poi frequentarsi liberamente, salvo il rispetto rigoroso del “coprifuoco”.
Il gioco di coppia fu semplice e bello.
Herbert sembrava condurre il balletto, gli veniva facile sapendo di avere in Grace sostegno, oltre che amore. Andava già all’università, mentre lei stava entrando nell’anno fatidico della maturità.
La stupiva lasciandole fiori sul cruscotto, la sorprendeva al tempo delle ferie, viaggiando tutta notte e prendendo un bel frescolino sulla spiaggia all’aurora, tutto ciò per farsi trovare tranquillamente seduto al tavolo della colazione nella pensione romagnola dove lei e la madre passavano le vacanze: “Sorpresa, passavo di qui.”
La portava paziente a scoprire i primi approcci e i primi momenti dello stare insieme, in automobile nello scuro della sera, nelle solitarie passeggiate cercate in ogni momento libero. La amava, si amavano.
Passarono così cinque anni. Lui muoveva i primi passi professionali, lei aveva il suo lavoro tra i conti, le fatture, le cifre. Era diventato sempre più difficile dover tornare a fine giornata nelle loro case.
Quella domenica, Herbert portò Grace in un piccolo e solitario ristorante, che si nascondeva quasi tra il lago e la montagna.
Lei era irrequieta, aveva intuito che Herbert aveva da dirle un qualcosa di particolare e aveva paura che potesse essere un commiato.
Lui ordinò alla carta, gustò le portate a una a una, aspettò con lenta e un po’ cattiva pazienza, sapeva delle sensazioni della sua ragazza.

Voleva creare l’atmosfera.


11-continua

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