venerdì 28 febbraio 2014
Herbert 26
Herbert
di franco hf cavaleri
“Con oggi è in lista di attesa, se arriviamo in tempo, vedrà che ce la faremo.”
E’ così che è partito il “count down”.
36
E’ scattato il conto alla rovescia in una vita che ti sforzi di vivere uguale a prima, mattina dopo mattina, notte dopo notte, immaginando un precario futuro di dubbi.
Quella domenica sera, sono passate poche settimane, ti sei messo a guardare per pigrizia dallo schermo i risultati del calcio.
Tra un attimo avremmo pensato alla cena.
Squilla il cellulare.
“E’ l’ospedale. La stiamo aspettando.”
Come fosse vero, l’incubo angosciato fece trasalire Herbert, quasi togliendolo dal torpore frammisto di pensieri e di stanchezza in quella notte di fuga.
Così presto?
Eppure lo sapevi che eri nella lista degli urgenti, ti viene da piangere lo stesso.
Non sei più te, come automa svuotato di pensiero ti portano in reparto, ecco il chirurgo che ti parla, ti dice che sarà con gli altri in sala operatoria, non appena verificati gli ultimi controlli.
Strano, non sei per niente agitato, emozioni non ne hai neppure una.
Forse perché la tua vita non è più tua.
Ti spogli, sali sulla barella, un ultimo sguardo a Grace, al suo viso umido che ti dice di avere coraggio, quello di cui anche lei ha bisogno.
Herbert non può più aiutarla.
Grace lo vedrà, molte ore dopo, in un lettino di rianimazione, trafitto di aghi e di sonde e di cateteri, tenuto in un sonno artificiale.
E’ vivo, le dicono che l’intervento è andato bene, che ora c’è solo da aspettare.
Quanto tempo sarà passato, forse un giorno e forse di più.
Gli occhi non si aprono, eppure bruciano di una luce rossa che trafigge le palpebre.
Dove sei? Chi sono?
Gente è vicino a te, ti sembra di respirare qualcosa di strano, provi fastidio e muovi il viso per spostare dal naso la mascherina che ti porta un ossigeno dal sapore aspro.
Tenti di muoverti. Ti sforzi di pensare.
Sul muro davanti a te i cristalli di un orologio scandiscono un tempo che non passa mai, in uno spasimo che ti sconvolge: che ti stanno facendo?
No, no, non è il tempo per sognare, nella rigida inerzia, ma con rabbia pensare, o forse rassegnazione, il passato, tutto intero, frazionato, istante per istante, le immagini lucide -almeno loro scatenate- in ebbro tumulto nella mente che spasima il passare millesimato d'ogni attimo indifferente.
Il caricatore impazzito di un proiettore stana dai meandri del cervello le diapositive della vita, come se tu le vivessi tutte d’un colpo, in esse galleggiando, in un solo lampo tutto assieme, l’amore e l’odio del tuo tempo vissuto.
“No, perché mi odiate? Non ho rubato la vita a nessun altro… è a me che toccava, non è colpa mia se qualcun altro sta ancora soffrendo.”
26-continua
Ideale
foto carlozanzi
Quando ero giovane, sacrificavo i desideri sull'altare dell'ideale. Oggi penso che l'ideale sarebbe riuscire a realizzare tutti i propri desideri.
Quando ero giovane, sacrificavo i desideri sull'altare dell'ideale. Oggi penso che l'ideale sarebbe riuscire a realizzare tutti i propri desideri.
Dormire
Quando ero giovane pensavo che dormire fosse una gran perdita di tempo. Oggi penso che dormire sia molto rilassante.
Fuori i manoscritti dai cassetti
foto enrico lamberti
Fuori i manoscritti dai cassetti...oppure sotto a scrivere. C'è tempo sino al 2 maggio 2014 per partecipare al Premio Chiara per inediti. Bisogna avere più di 25 anni e racconti (almeno tre) per un totale di circa 160.000 battute (spazi inclusi) mai apparsi in riviste o sul web. Chi ha la penna veloce e non ha niente di pronto può ancora farcela, mancano più di due mesi. Per ulteriori informazioni: www.ilfestivaldelracconto.it
Fuori i manoscritti dai cassetti...oppure sotto a scrivere. C'è tempo sino al 2 maggio 2014 per partecipare al Premio Chiara per inediti. Bisogna avere più di 25 anni e racconti (almeno tre) per un totale di circa 160.000 battute (spazi inclusi) mai apparsi in riviste o sul web. Chi ha la penna veloce e non ha niente di pronto può ancora farcela, mancano più di due mesi. Per ulteriori informazioni: www.ilfestivaldelracconto.it
Herbert 25
Herbert
di franco hf cavaleri
Era lo stesso amore che così tanti anni dopo era lì, vivo.
“Ma che sto facendo? Non sto fuggendo da lei e dai ragazzi, perché sto scappando da me stesso. Come posso pensare di non avere Grace al mio fianco anche in questa battaglia che mi sta arrivando addosso. Noi non abbiamo forse lottato sempre? Sempre assieme puntato alle nostre mete e ai nostri obiettivi? Sempre in cammino per raggiungere il massimo dalla vita?”
Stava albeggiando nella camera dell’albergo mentre si schiarivano le acque del fiume, Herbert si era alla fine appisolato sulla poltroncina, mentre sognava come in un film quel che sarebbe successo, fotogramma per fotogramma della vicenda di un futuro che sembrava scritto nel presente.
Sì, con Grace a fianco, avrebbero cercato.
Qualche medico, anche di gran fama, li avrebbe scaricati di brutto.
“Troppo avanti negli anni per un trapianto, sì è vero che sia l’unico vero rimedio per combattere il male, ma non spreco un organo per lei, alla sua età.”
Avrebbero sofferto questo non sapere cosa fare, questa sentenza di chiusura che pure non poteva annichilire la speranza. Perché tra la speranza e il terrore di un intervento estremo, così Herbert si sarebbe dilaniato, atrocemente enumerando e svelando tutti i rischi di un intervento chirurgico così importante, in sensazioni che Grace e i ragazzi non potevano comprendere o forse che più semplicemente tentavano di nascondere a lui e a loro stessi. Per farsi coraggio.
Poi in un altro ospedale sarebbe venuto fuori che il trapianto si potesse fare, sarebbe bastato verificare con test su test che ci fosse l’idoneità. Non che Herbert ne fosse alla fine convinto, anzi il trovarsi in un ambiente più che professionale ma del tutto indifferente al suo carico di umanità lo avrebbe lasciato non solo con tutti i dubbi “tecnici”, ma anche con una reticenza di fondo per nulla tranquillizzante.
Avrebbero comunque cercato ancora, avrebbero tentato fino a quando non avrebbero ascoltato il parere di quell’ultimo dottore, nell’ennesimo ospedale.
Il chirurgo non aveva fatto grandi discorsi nell’accettarlo tra i suoi pazienti da operare, con semplicità toccando una profonda corda emozionale e mostrandogli di conoscere e di capire l’animo dell’uomo in cerca di aiuto.
Poche parole solamente: “sia positivo, non si arrenda.”
Non c’era stata sola tecnica e non la sola professionalità, ma anche la capacità di mostrarsi uomo di fronte a un altro uomo.
Sapevano già che sarebbe cominciata la sequela degli esami, un massacro di prove che alla fine avrebbero detto una cosa sola, che il male era circoscritto, che l’organismo non era compromesso, che si poteva fare.
Nel dormiveglia agitato dell’albergo di Firenze si era buttato vestito sopra il letto, Herbert confondeva i suoi pensieri, trasalendo come in un incubo, come se già vedesse i suoi giorni a venire.
25-continua
La Vidoletti vince a Torgnon
foto carlozanzi
Si sono disputate ieri a Torgnon le fasi provinciali dei Campionati Studenteschi di sci alpino e snowboard. Molto bene la Vidoletti, che ha vinto nella classifica a squadre sia con le cadette che con i cadetti. Va detto che hanno preso parte, in tutta la provincia di Varese, solo quattro scuole medie, una partecipazione davvero deludente. Del resto i continui tagli finanziari alla scuola non incentivano certo i prof. a partecipare ai Campionati Studenteschi. Vedremo se le promesse del neopremier Renzi, che molto punta sulla scuola, avranno un seguito. Ciò nulla toglie al valore del buon comportamento degli alunni Vidoletti, seguiti dal prof. Enrico Piazza, grande sciatore, che avrà immagino fatto da apripista alle gare, come suo costume. Ecco comunque la classifica Vidoletti, che si qualifica per le finali Regionali, in programma l'11 marzo al Passo dell'Aprica:
TORGNON 27 FEBBRAIO 2014
PROVINCIALI
DI SCI ALPINO
CADETTE
1-GILLING
BENEDETTA 59”65
2-PONTI
EMMA 1’05”16
3-BONARIA
RACHELE 1’08”26
6-BERENGAN
SARA 1’15”71
7-MARE’
ALLEGRA 1’18”81
8-CARCANO
MARTA 1’19”29
CADETTI
2-CARLUCCIO
FILIPPO 1’01”83
3-FACHINI
CARLO 1’02”81
4-BECCIA
CLAUDIO 1’03”73
5-MIGLIORI
PIETRO 1’06”19
SQ
BALLERIO STEFANO
SQ COPPA MASSIMILIANO
SNOWBOARD
2-TRIACCA
ANDREA 1’41”99
SQ
MARONI NICHOLAS
giovedì 27 febbraio 2014
Prima di stravaccarmi
foto carlozanzi
Prima di stravaccarmi sul divano, lasciando pigramente che la melassa televisiva mi conduca nel sonno che tutto annebbia, ringrazio (non so se me stesso o Dio) per il poco bene compiuto oggi, magari solo una telefonata: certamente è questa che mi salverà.
Prima di stravaccarmi sul divano, lasciando pigramente che la melassa televisiva mi conduca nel sonno che tutto annebbia, ringrazio (non so se me stesso o Dio) per il poco bene compiuto oggi, magari solo una telefonata: certamente è questa che mi salverà.
Herbert 24
Herbert
di franco hf cavaleri
“Ma io mi sento di appartenere a voi, voi e la mamma siete l’unica cosa che è veramente parte di me. Dicono che si chiami amore, a volte fa anche soffrire. Mi troverete sempre. Papà.”
Eppure con Grace, da scrivere non poteva avere proprio nulla, se così avesse fatto sarebbe sembrato a Herbert come di tradirla, di sconfessare tante e tante cose sentite e vissute assieme, spalla a spalla ogni giorno, anno dopo anno.
Com’è che diceva quel proverbio? “Un maccherone e una lasagna, Dio li fa e poi li accompagna…” In affetti e dopo quarant’anni di vita assieme, che aggettivi puoi mai trovare per un rapporto di coppia? Non ce ne sono di bastanti, né servono. Dire che tu sei sempre stato prepotente e che lei ti ha accettato per com’eri? Dire che ci sono state liti e incomprensioni? Dire che il vostro amore è una “cosa grande”?
Sarebbero comunque parole inadeguate per una storia bella, profonda, solida.
Forse si potrebbe parlare di intensità e di passione, come di bollicine effervescenti in un qualche calice di spumante messo a costellare e a scandire momenti particolari, ma ricordando che ben più importante è il gustare tutti i giorni la meravigliosa normalità di un bicchiere di buon vino rosso.
C’era già stato, un lontano ieri, il dramma a metà vita, quand’era incappato in quel bruttissimo incidente mentre era per lavoro a Londra, da solo e dovendo ricorrere alle cure abbastanza pesanti dei dottori.
In ospedale l’avevano ricucito, era stato veramente un morire e un rinascere con quei giorni in cui aveva Grace vicino, lei era volata in fretta e furia a sostenerlo e solo quando s’era rimesso un po’ in sesto era tornata a casa, in attesa che anche lui rientrasse in patria, ristabilito.
Proprio allora, proprio in quel tempo Herbert aveva avuto la prova di come l’amore potesse arrivare a essere inspiegabile, a creare misteri della psiche, a seminare dubbi di un qualcosa che va oltre.
Chissà, neppure serve il ragionarci sopra. Va accettato, punto.
Herbert era nel suo letto nella clinica londinese, quel giorno che Grace stava tornando in aereo a casa. C’era anche lui con lei, lo sapeva come le fosse davvero seduto a fianco. Sentiva il suo spasimo mentre l’apparecchio sorvolava in circolo l’aeroporto, sapeva come lei che non sarebbe atterrato subito, né altri aerei l’avrebbero fatto.
Girando in tondo attendevano il termine di uno sciopero degli uomini del soccorso.
Herbert era con la sua donna, mentre Grace scandiva il lento passare dei minuti, l’accumularsi del ritardo nel prendere la via di terra, poi il barlume che attenua l’ansia mentre il comandante annuncia l’approssimarsi della manovra di atterraggio, ecco le ruote che toccano terra, il tuo sospiro di sollievo, la paura che si scioglie nella fretta di essere fuori dall’aereoporto.
Herbert tutto questo sentiva mentre stava nel suo lettino straniero, attimo per attimo in simultanea con lei e quando lui potè telefonarle e la sentì, già sapeva di quanto Grace gli stava raccontando. Aveva guardato l’orologio, eppure era successo, tutto coincideva fatto per fatto, sensazione per sensazione, frazione per frazione anche nel fissare lo stesso momento nel differente fuso orario.
Come lo vuoi chiamare? Forse amore.
24-continua
mercoledì 26 febbraio 2014
FitoConsult, sponsor Vidoletti
La ditta FitoConsult del mio amico Daniele Zanzi compie oggi 32 anni. I miei auguri arrivano ricordando fra l'altro che la FitoConsult, anni fa, sponsorizzò magliette Vidoletti che ancora indossano i nostri ragazzi sui campi di gara.
Auguri a Daniele e a tutta la FitoConsult.
martedì 25 febbraio 2014
Un sano 'delirio di onnipotenza'
Ma voi pensate che un Berlusconi, un Grillo, un Renzi si facciano condizionare dal meteo infelice? Certo che no. Chi si sente investito in ruoli da salvatore della Patria ha ben altro in testa. Ebbene, un sano 'delirio di onnipotenza' fa bene a tutti, rivitalizza e scuote. Ognuno di noi ha qualcosa da salvare, prima di tutto se stesso.
Herbert 23
Herbert
di franco hf cavaleri
...era lì, lontano da casa, per ottenere una risposta
“Sì, è un carcinoma.”
Alla fine Herbert era riuscito a rompere la cortina di silenzio dell’infermiera: “guardi che lo so, l’ho già capito, le sto chiedendo solo di leggere il referto.”
Aveva barato, non lo sapeva, ma lo temeva. L’infermiera lo aveva guardato, ai suoi occhi era apparso come un uomo forse quieto, ma sicuro di se stesso, lei mai avrebbe indovinato come in quegli stessi attimi gli si stesse frantumando dentro tutto.
Lui si sforzava di essere come quelle persone, che anni di lavoro e di rapporti sociali avessero abituato a presentarsi dietro una celata fuorviante, quasi inespressiva.
Lei gli aprì davanti la cartella clinica per estrarre l’esito della biopsia, lui lesse le poche righe, la chiara e implacabile parola: cancro!
“Così, all’improvviso, eccoti davanti al tuo traguardo, ti hanno messo addosso una data di scadenza. Ora che fai? Alla tua donna, glielo dici?”
L’impulso a serrarsi in se stesso era stato più forte, era scappato via, via anche dai suoi stessi cari, come se così facendo potesse cancellare, annullare la realtà.
Come se, andando lontano, potesse rimettere le cose a posto.
Ora, nella penombra della sua camera d’albergo Herbert non dorme, sta seduto davanti al foglio bianco, da riempire di quelle parole che avrebbe dovuto dire accarezzando Grace, abbracciando i suoi figli. Passano lente le ore della notte, nella lettera vorrebbe delineare un bilancio, quello dei suoi rapporti con i figli, così diversi tra di loro, eppure talmente simili a guardarli nel profondo.
C’era una domanda da fare, importante.
Quand’erano piccoli era così bello vedere i loro occhi ipnotizzati mentre Herbert leggeva il consueto raccontino della sera, prima di metterli a nanna.
Come è stato possibile che passo dopo passo la figura affettiva di padre fosse stata sopraffatta da un ruolo categorico, scostante.
Già, prima di partire con la scusa di un oscuro convegno di lavoro, aveva preparato per loro quelle lettere personalizzate, che aveva sì scritto, ma che non erano mai state spedite. Ora aveva deciso di lasciarle da parte, soltanto ne stava ricopiando la chiusa, era quanto potesse contare davvero.
“Non so fino a che punto sono stato un padre all’altezza, troppo rigido sicuramente. So però di volervi bene, forse con differenti manifestazioni, ma in maniera uguale per voi, nonostante il mio carattere chiuso. La mia vita è stata per anni vissuta da solitario e lo stare solo non mi ha mai creato problemi, in fondo ci sono abituato. Pensando agli altri, per quanta gente io abbia incontrato nella mia vita, non ho mai esitato a lasciare per strada questa o quella persona, troncare questa o quella esperienza: semplicemente stacco la spina.”
Stava per ripiegare il foglio, poi comprese che ancora una volta stava tralasciando di dire le parole più importanti, quelle che contano per davvero.
23-continua
Ricerca
foto carlozanzi
RICERCA
di carlozanzi
Non abbandono, non rinuncio al pensiero.
Voglio tergere il volto al Dio prezioso.
Stupìto di perché ritorno bimbo.
Busso alla porta, mi abbasso, spio nel buco.
Carlo Zanzi UN ANNO Gabrieli Editore 1988
RICERCA
di carlozanzi
Non abbandono, non rinuncio al pensiero.
Voglio tergere il volto al Dio prezioso.
Stupìto di perché ritorno bimbo.
Busso alla porta, mi abbasso, spio nel buco.
Carlo Zanzi UN ANNO Gabrieli Editore 1988
Il racconto del mercoledì
foto carlozanzi
Qualche anno fa ho scritto alcuni racconti brevi per bambini, diciamo delle elementari. Ecco, questo è un esempio.
Dal paese di qua al paese di là
Qualche anno fa ho scritto alcuni racconti brevi per bambini, diciamo delle elementari. Ecco, questo è un esempio.
Dal paese di qua al paese di là
di carlozanzi
Dal paese di qua al paese di là
c’è una
strada sicura, lì si corre e si va.
E’ una
strada che ha un nome, chi lo indovinerà?
Dal paese
di qua al paese di là.
Era un
indovinello che gli aveva insegnato sua madre. Avrà avuto…sei anni no, perché
non andava ancora in prima elementare.
“Marco, puoi
farmi solo tre domande, ti dò massimo tre aiuti” gli aveva detto la mamma, che
per lui era anche suo papà, morto l’anno prima di quell’indovinello.
Tre domande?
E lui aveva chiesto anzitutto qual era il paese di qua.
“E’
Rivabella, è il tuo paese” gli aveva risposto Marta, sua madre.
“Il mio
paese? Il mio paese, e allora il paese di là è Porticciolo.”
Risposta
ovvia, perché Porticciolo era il paesello proprio di fronte a Rivabella, sulla
sponda opposta del lago. Un piccolo lago che permetteva di vedere l’altra riva
anche nelle giornate non proprio serene. Solo quando calava la nebbia fitta i
rivabellesi non potevano salutare i porticciolesi.
“No, non è
Porticciolo. Usa la seconda domanda. Senza il mio aiuto non ci arrivi” gli
aveva detto la mamma, incuriosendolo.
Marco ci
aveva provato con altri nomi, ma senza successo. “Cedo. Dimmi questo paese di
là.”
“Guarda,
prima o poi ci andiamo tutti. E non tutti lo chiamano alla stessa maniera. Dai,
ora ci puoi arrivare da solo.”
Marco si
grattò la testa, chiuse gli occhi per concentrarsi meglio, e quando gli venne
in mente quel nome provò allo stesso tempo una sberla di tristezza.
“Allora è il
paese dove è andato papà.”
“E’ proprio
quello…adesso i paesi ce li hai. E hai ancora un’ultima domanda.”
Marco avevo
posto anche quell’ultima domanda, ma il nome della strada non era stato capace
di trovarlo. E non ce l’aveva fatta neanche quando Marta, impietosita dalle sue
suppliche, gli aveva detto: “Il nome della strada fa rima con indovinerà…basta,
mi hai chiesto anche troppo, come al solito mi sono lasciata impietosire. Stop,
altro non ti dico.”
Rima con
indovinerà? Ancora un'altra grattata di testa, una strizzata di cervello e la
parola fatale: “Mamma, cedo.”
E il nome
era stato infine rivelato.
***
Da quella
confessione erano fuggiti in avanti, veloci e in saliscendi, rapiti e lenti,
ottant’anni e forse più. Marco era un vecchio signore, ancora in cammino dal
paese di qua al paese di là. In cammino nonostante da Rivabella non si fosse
mai mosso. Orfano di padre, a militare non c’era dovuto andare. Studiare aveva
studiato poco, il minimo, pochi chilometri sino alla cittadina dove si trovava
la scuola media. Licenza di scuola media inferiore, non di più, perché per fare
il giardiniere non occorrevano né diplomi né lauree. Era di Rivabella anche la
sua morosa, Matilde, figlia del panettiere, panettiera anche lei. Sposi a
Rivabella, casa a Rivabella, figli di Rivabella.
Eppure Marco
camminava. Sulla strada dell’indovinello. Risposta giusta che aveva provato a
far azzeccare alle persone a lui più care: la moglie, i figli, gli amici.
Nessuno aveva trovato la risposta.
Quando,
infine, l’aveva rivelata, non è che avesse ottenuto grandi ooooohhhhhh di
meraviglia. “Ah, sì, certo, già già, e sì, ci può stare, in effetti, dal paese
di qua al paese di là…”
Eppure
Marco, che su quella strada ci camminava da una vita e che, grazie a quella
parola rivelatrice, ci camminava spedito e con soddisfazione, non comprendeva
quella tiepidezza.
Poi rimase
solo. Gli morì la moglie Matilde, i figli e i nipoti avevano i loro affari, i
loro grattacapi e soprattutto nessuno abitava a Rivabella.
Solo ma
ancora in salute. Così pensò che era giunto il momento di aumentare il suo
pubblico. Quando Marco partì da Rivabella era il 17 settembre del 1970.
***
Girò a
lungo, paesi vicini e poi sempre più lontani. Era il vecchio dell’indovinello.
E nessuno indovinava. Così il vecchio Marco disse: “Non mi fermo finché uno non
ci arriva da solo.”
Naturalmente
la risposta cominciò a girare, quindi Marco divenne “il vecchio
dell’indovinello, con la risposta che si sa, e che è…”.
Marco non si
perse d’animo, preferì rivolgersi ai bambini, sperando che alle loro orecchie
non fosse nota la soluzione dell’indovinello.
E arrivò un
brutto giorno, il brutto giorno che prima o poi capita a tutti. No, non il
giorno della morte. Peggio. Tre persone cattive, di quelle che hanno la
cattiveria che ha infestato di erbacce il cuore, cercarono Marco, lo trovarono,
lo rapirono e gli dissero, quasi parlando a uno che era meno uomo di loro: “Non
siamo d’accordo sulla tua risposta. Non è quella la via giusta per andare dal
paese di qua al paese di là. La parola è un’altra. Abbiamo ragione noi, e te lo
dimostriamo.”
Lo picchiarono,
lo legarono, lo tennero a digiuno, lo minacciarono e lo insultarono, così Marco
provò il dolore forte, la fame tremenda e la paura barbina. Per la prima volta
in vita (e di anni ne aveva quasi novanta) dubitò delle parole di sua madre.
Forse Marta aveva torto, e lui aveva perso del gran tempo. Tutta una vita.
Una sera, la
sua ultima sera, s’addormentò. Forse era un sogno o forse no. Vide un bimbo,
cinque, sei anni non di più, che gli
veniva incontro. Lo salutò, gli offrì del cibo, lo risvegliò con carezze,
sorrisi e baci sulla punta del naso. Felice, il vecchio Marco partì con
l’indovinello.
Dal paese
di qua al paese di là eccetera.
Il ragazzino
si fece venire le rughe alla fronte dalla concentrazione, e poi disse: “Forse
è…”
Azzeccò la
risposta. Senza nessun aiuto.
***
Esiste uno
scrittore così cattivo, che a questo punto della storia non riveli la parola
magica?
No di certo.
Anche se sarei tentato di farla indovinare a voi, lasciandovi il dubbio.
E se la
parola rivelata fosse una delusione?
Ma come può
deludere la parola bontà?
Ciò che appare può ingannare
foto carlozanzi
Stiamo accorti. Prudenti. Non confidiamo troppo sulla benevolenza, che siamo soliti regalare a noi stessi. Quel sorrisetto, che noi leggiamo come segno di ammirazione, potrebbe significare invece che quel tale sta pregando per i nostri peccati.
Stiamo accorti. Prudenti. Non confidiamo troppo sulla benevolenza, che siamo soliti regalare a noi stessi. Quel sorrisetto, che noi leggiamo come segno di ammirazione, potrebbe significare invece che quel tale sta pregando per i nostri peccati.
Evento Liberty al Salone Estense
Il mio amico Pietro Macchione, storico ed editore, ci regala (ci inteso come varesini) ancora un bel libro, che ripercorre la fortunata stagione turistica e liberty della nostra città. Titolo:
'Varese, Kursaal e Palace Hotel'.
Naturalmente: Pietro Macchione editore, collana I diamanti. L'appuntamento è per martedì 4 marzo, in Salone Estense, dalle 17.30 alle 19. Anzitutto verrà inaugurata una Mostra, con documenti e immagini d'epoca (la mostra rimarrà aperta sino al 7 marzo, orari 9/12-14.30/17.30). Quindi la presentazione del volume, infine musica e letture.
lunedì 24 febbraio 2014
Franco al Campo dei Fiori
foto carlozanzi
Caro Herbert Franco, ieri ho pensato anche a te, salendo in bici al Campo dei Fiori, alla tua scelta di 'riposare' per sempre sulla nostra montagna. E ho pregato.
Caro Herbert Franco, ieri ho pensato anche a te, salendo in bici al Campo dei Fiori, alla tua scelta di 'riposare' per sempre sulla nostra montagna. E ho pregato.
Herbert 22
Herbert
di franco hf cavaleri
C’era qualcosa di molto costruttivo allora, in quella pur austera e rigida scuola.
Poi arrivarono gli anni della protesta, cose giuste per carità, ma era già un qualcosa d’altro, che andava oltre il grande e ingenuo desiderio di Herbert di “cambiare il mondo” e di farlo più giusto e più bello, ecologista in anteprima della natura e della società. Forse la sua, di generazione, è stata quella degli ultimi sognatori che credevano fermamente di non avere limiti, di poter fare tutto… finirono sfruttati e sgominati da un sotterraneo calcolo politico, furono come inglobati in nuove rigide categorie lontane, lontanissime.
Così per lui arrivò il momento di ritirarsi nel “privato”, anche se gli era impossibile cancellare la voglia di darsi da fare.
Era il tempo del volontariato, non solo partecipando a quello già strutturato.
Era l’occasione per essere volontario militante, costruendo nuove realtà come quel primo (entusiasticamente sgangherato) gruppo ecologico, oppure quello ben più importante di un gruppo di ascolto, o l’altro più delicato di assistenza ospedaliera.
Già, caro il mio Herbert, qualcosa di buono in fondo lo hai fatto anche tu.
Come nel lavoro, anzi nei lavori, perché ne hai “passati” di parecchi, abituato talmente a una molteplicità di incarichi e di settori, che veramente a fatica potresti rispondere a chi ti chiedesse: “che lavoro fai?”.
Tutti e nessuno.
C’era stato uno scotto da pagare, in questo tuo operare, che ti portava a un comportamento, diciamolo pure egocentrico, che non ti faceva dare alla tua famiglia tutto il tempo e l’attenzione che avrebbe dovuto, che invece avrebbero meritato la tua donna e i tuoi figli, il tuo vero e autentico mondo.
Ora, tutto d’un tratto, ti è esploso addosso improvviso e implacabile un gran bel problemino di salute, spazzando via tutte le certezze che hai sempre avuto in una vita che avevi creduto perfettamente tua.
Una esistenza ancora tua?
Per questo stai scappando, come se i tuoi cari tu volessi tenerli lontani dalla tua sofferenza, come se tu volessi cancellare l’angoscia.
E’ giusto questo?
Bisogna lottare, insieme?
Era lì, lontano da casa, per ottenere una risposta.
22-continua
di franco hf cavaleri
C’era qualcosa di molto costruttivo allora, in quella pur austera e rigida scuola.
Poi arrivarono gli anni della protesta, cose giuste per carità, ma era già un qualcosa d’altro, che andava oltre il grande e ingenuo desiderio di Herbert di “cambiare il mondo” e di farlo più giusto e più bello, ecologista in anteprima della natura e della società. Forse la sua, di generazione, è stata quella degli ultimi sognatori che credevano fermamente di non avere limiti, di poter fare tutto… finirono sfruttati e sgominati da un sotterraneo calcolo politico, furono come inglobati in nuove rigide categorie lontane, lontanissime.
Così per lui arrivò il momento di ritirarsi nel “privato”, anche se gli era impossibile cancellare la voglia di darsi da fare.
Era il tempo del volontariato, non solo partecipando a quello già strutturato.
Era l’occasione per essere volontario militante, costruendo nuove realtà come quel primo (entusiasticamente sgangherato) gruppo ecologico, oppure quello ben più importante di un gruppo di ascolto, o l’altro più delicato di assistenza ospedaliera.
Già, caro il mio Herbert, qualcosa di buono in fondo lo hai fatto anche tu.
Come nel lavoro, anzi nei lavori, perché ne hai “passati” di parecchi, abituato talmente a una molteplicità di incarichi e di settori, che veramente a fatica potresti rispondere a chi ti chiedesse: “che lavoro fai?”.
Tutti e nessuno.
C’era stato uno scotto da pagare, in questo tuo operare, che ti portava a un comportamento, diciamolo pure egocentrico, che non ti faceva dare alla tua famiglia tutto il tempo e l’attenzione che avrebbe dovuto, che invece avrebbero meritato la tua donna e i tuoi figli, il tuo vero e autentico mondo.
Ora, tutto d’un tratto, ti è esploso addosso improvviso e implacabile un gran bel problemino di salute, spazzando via tutte le certezze che hai sempre avuto in una vita che avevi creduto perfettamente tua.
Una esistenza ancora tua?
Per questo stai scappando, come se i tuoi cari tu volessi tenerli lontani dalla tua sofferenza, come se tu volessi cancellare l’angoscia.
E’ giusto questo?
Bisogna lottare, insieme?
Era lì, lontano da casa, per ottenere una risposta.
22-continua
Rebecca Eminem
Devo dire che la mia nipotina Rebecca Zoe cresce bene, e si dà già arie da rapper. Eccola in versione Rebecca Eminem.
Il primo Campo dei Fiori del 2014
Prima salita dell'anno, in bici, al Campo dei Fiori. Ancora tanta neve al cannoncino e sulle Alpi. No, non ho intenzione di ripetere le salite record del 2013, 112 Campo dei Fiori in un anno, anche perché nel 2013 ero senza skiroll ma quest'anno li compro nuovi. Però nel 2014 avrei due desideri: salire una volta con il mio amico Albert (sempre un po' recalcitrante), e una volta con Ugo e Sauro. In cima ho trovato il mitico Andrea Minidio, ex collega Vidoletti e ora prof al Liceo Artistico, giocatore di rugby, eclettico musicista, attore eccetera. Un personaggio.
Herbert 21
Herbert
di franco hf cavaleri
Stai crescendo senza essere abbandonato dai sogni d’evasione, sì è vero che ti aiutano a passare oltre una realtà scomoda, ma ti portano a contrasti in famiglia, all’insuccesso a scuola.
Ti affascina l’idea di girare il mondo in cerca dell’amicizia universale, in moto e con la musica, addosso l’eskimo, avendo nello zaino l’indispensabile e nulla più.
Per fortuna le cose poi cambiano, impari a trasferire in lavoro e in attività quello che ti senti nel cuore, ti crei qualche timida conoscenza prima e poi un giro di amicizie.
Chissà, avrai forse sbagliato a dire di no quando ti chiesero di entrare in un gruppo, dal quale uscirono anni dopo politici e amministratori, eri “duro e puro” e temevi gli inevitabili compromessi del “fare politica”.
Amavi piuttosto l’impegno e il volontariato.
Avevi spalato qualche badilata di fango, in un tempo in cui una scientifica protezione civile neppure si immaginava potesse esistere.
Ti buttasti nello sport, anche con una squadretta il cui scopo principale era quello di perdere il meglio possibile.
Ora sedeva sulla poltroncina ancora mescolando presente e passato, guardando fuori dalla finestra lo scuro del cielo fiorentino.
Herbert riviveva tutta l’angoscia lacerante di quand’era giovane, quel senso di provvisorio che prevaleva su tutto, che lo obbligava a dilaniarsi nel dilemma se continuare a studiare o trovarsi un lavoro: scelse di cambiare corso di studi, un salto nel buio, che riuscì a portare le cose in meglio.
Eppure in quella società cristallizzata che cominciava a rompere gli argini, avevi piano piano trovato la tua dimensione, una accettazione abbastanza convinta da parte degli altri. Anche se non sei finito nel libri della storia locale, tu fosti il primo a organizzare e a portare avanti uno sciopero di studenti, quando il Sessantotto era di là da venire. Non ne ricordava neanche più il motivo, ma era sicuramente per ottenere qualcosa di pratico e di concreto.
Mettere insieme un intero corso di studi davanti alla scuola e senza entrare, scorgere uno stupefatto preside caracollare fuori a minacciare prima e a trattare poi…
La spuntarono loro, i ragazzi, perché avevano la giusta “chimica” con molti dei professori, senza parlare di Herbert stesso, che li frequentava (anche un po’ invidiato dai suoi compagni) fuori della scuola: uscitine serali con uno, il pomeriggio a casa di quella di matematica, gli inviti a pranzo con la signora di scienze, i contatti informali con quegli altri, che pur provenivano tutti dalla scuola del “lei” con cui gli insegnanti interpellavano d’abitudine gli allievi.
C’era anche l’invidia dei compagni, eppure Herbert ci passava sopra quasi senza accorgersene, forte di abitudini quasi da “leggenda”. Starsene fuori dalla classe e bene in vista nei corridoi scegliendo così le lezioni da seguire, fare il tecnico nelle ore di scienze, concordare pubblicamente l’appuntamento serale con il “prof”. Del resto era solito fare i compiti in classe senza portarsi dietro vocabolari e fogli, ci pensavano gli altri a dargli tutto, compresa quella carta carbone con cui poi lui faceva copie a ricalco, prima di farle sfilare dietro agli altri: cose difficili da credere, vero?
21-continua
Merda di gatta
Mentre svolgo giornalmente mansioni ripetitive, noiose ma essenziali (come ripulire la sabbionaia dalla merda della mia gatta Amelie) penso in grande, progetto e sogno.
domenica 23 febbraio 2014
Cimberio Varese-Banco di Sardegna Sassari: 20-31 dopo il 1° quarto
foto carlozanzi
Alle 16.30, ora insolita, palla a due fra Varese e Sassari. Il pubblico a Masnagoc'è, la curva dice subito per che allenatore tifa, e cioè per Meo Sacchetti (foto), coach di Sassari. Nei primi minuti c'è equilibrio, con canestri a raffica da una parte e dall'altra. Banks opta per le scarpette fosforescenti color arancione (le altre sono verde pisello), da noi manca Scekic ma non gridiamo allo scandalo, loro sono al completo, freschi di Coppa Italia, gasati più che mai. E si vede: dopo 5' sono già avanti 11 a 18.
Alle 16.30, ora insolita, palla a due fra Varese e Sassari. Il pubblico a Masnagoc'è, la curva dice subito per che allenatore tifa, e cioè per Meo Sacchetti (foto), coach di Sassari. Nei primi minuti c'è equilibrio, con canestri a raffica da una parte e dall'altra. Banks opta per le scarpette fosforescenti color arancione (le altre sono verde pisello), da noi manca Scekic ma non gridiamo allo scandalo, loro sono al completo, freschi di Coppa Italia, gasati più che mai. E si vede: dopo 5' sono già avanti 11 a 18.
Cimberio Varese-Banco di Sardegna Sassari: 44-54 a metà gara
foto carlozanzi
Ogni volta che vedo giocare Marques Green (a sinistra, eccolo di fianco a Drew Gordon, alto m 2,05), che è alto m 1,65, mi chiedo come faccia a giocare in serie A. Eppure ci riesce, e si fa vedere anche lui nel secondo quarto, facendo buone cose mentre il nostro lungo Johnson pasticcia, Ere non è in partita e Clark è troppo individualista. Eppure siamo lì, Sassari è avanti ma non fugge, 33 a 39 e poi 35 a 43 e infine 44 a 54.
Ogni volta che vedo giocare Marques Green (a sinistra, eccolo di fianco a Drew Gordon, alto m 2,05), che è alto m 1,65, mi chiedo come faccia a giocare in serie A. Eppure ci riesce, e si fa vedere anche lui nel secondo quarto, facendo buone cose mentre il nostro lungo Johnson pasticcia, Ere non è in partita e Clark è troppo individualista. Eppure siamo lì, Sassari è avanti ma non fugge, 33 a 39 e poi 35 a 43 e infine 44 a 54.
Cimberio Varese-Banco di Sardegna Sassari: 65-80 dopo il 3° quarto
foto carlozanzi
Siamo sotto di 15 ma c'è ancora qualche speranza. Il problema è che il cambio dei lunghi, cioè il passaggio da Hassel a Linton Johnson (foto sotto) è il classico dalla padella alla brace. Il Presidente pare spaesato, quando è sotto fa sempre un palleggio di troppo, non schiaccia, conclude e la palla sguscia, scappa, raramente fa canestro. Per fortuna c'è Adrian Banks (foto in alto, 24 di valutazione dopo il 3° quarto, chiuderà con 28 punti all'attivo) che tiene in piedi la baracca, tanto che a -4' dalla fine del quarto siamo 56 a 67. Ma Sassari ha la faretra piena di frecce, non sbaglia un colpo, è più tutto: più veloce in contropiede, prende più rimbalzi, più precisa da fuori, implacabile da sotto. Non c'è partita. E la curva se la prende con l'allenatore Frates, invocando Meo Sacchetti (allenatore di Sassari ed ex giocatore di Varese): che venga lui nella Città Giardino.
Siamo sotto di 15 ma c'è ancora qualche speranza. Il problema è che il cambio dei lunghi, cioè il passaggio da Hassel a Linton Johnson (foto sotto) è il classico dalla padella alla brace. Il Presidente pare spaesato, quando è sotto fa sempre un palleggio di troppo, non schiaccia, conclude e la palla sguscia, scappa, raramente fa canestro. Per fortuna c'è Adrian Banks (foto in alto, 24 di valutazione dopo il 3° quarto, chiuderà con 28 punti all'attivo) che tiene in piedi la baracca, tanto che a -4' dalla fine del quarto siamo 56 a 67. Ma Sassari ha la faretra piena di frecce, non sbaglia un colpo, è più tutto: più veloce in contropiede, prende più rimbalzi, più precisa da fuori, implacabile da sotto. Non c'è partita. E la curva se la prende con l'allenatore Frates, invocando Meo Sacchetti (allenatore di Sassari ed ex giocatore di Varese): che venga lui nella Città Giardino.
Cimberio Varese-Banco di Sardegna Sassari: 91-112 finale
foto carlozanzi
Si inizia l'ultimo quarto con la curva che canta: 'Frates, vattene!' oppure 'Alè Bizzozi, alè', il clima non è dei migliori e la partita si fa imbarazzante, con gli ultimi tre minuti nel silenzio della curva e Sassari che ci risparmia ulteriori umiliazioni, limitandosi nelle conclusioni. Drake Diener è un vero drago, ma il problema è che tutta la squadra sarda gira. La vedo bene per lo scudetto, dopo aver vinto la Coppa Italia. Per noi un 91 a 112 da dimenticare. Solo Banks si salva, per il resto c'è da lavorare e da salvare l'onore.
Sempre e comunque: forza Varese!
Si inizia l'ultimo quarto con la curva che canta: 'Frates, vattene!' oppure 'Alè Bizzozi, alè', il clima non è dei migliori e la partita si fa imbarazzante, con gli ultimi tre minuti nel silenzio della curva e Sassari che ci risparmia ulteriori umiliazioni, limitandosi nelle conclusioni. Drake Diener è un vero drago, ma il problema è che tutta la squadra sarda gira. La vedo bene per lo scudetto, dopo aver vinto la Coppa Italia. Per noi un 91 a 112 da dimenticare. Solo Banks si salva, per il resto c'è da lavorare e da salvare l'onore.
Sempre e comunque: forza Varese!
Il battesimo di Riccardo
foto carlozanzi
Questo pomeriggio, nella chiesa di Avigno, Riccardo, figlio di Mari e Mirko (foto in alto) nonché nipote dei miei cari amici Carla e Paolo è stato battezzato. Qualche foto ricordo c'è. E anche le mie preghiere.
Questo pomeriggio, nella chiesa di Avigno, Riccardo, figlio di Mari e Mirko (foto in alto) nonché nipote dei miei cari amici Carla e Paolo è stato battezzato. Qualche foto ricordo c'è. E anche le mie preghiere.
Sotto il sole di satana
foto carlozanzi
Quando uno s'approssima ai sessant'anni, o possiede le due o tre cose davvero essenziali nella vita, oppure difficilmente può recuperarle. Non dico sia impossibile, ma piuttosto arduo. La ragione della mia gioia più consistente sta proprio nella considerazione che tali cose non mi mancano. Fra queste ci metto anche la fede in Dio, una fede striminzita, dubbiosa, precaria come la neve, pronta a sciogliersi sotto il sole di satana (come direbbe Bernanos).
Quando uno s'approssima ai sessant'anni, o possiede le due o tre cose davvero essenziali nella vita, oppure difficilmente può recuperarle. Non dico sia impossibile, ma piuttosto arduo. La ragione della mia gioia più consistente sta proprio nella considerazione che tali cose non mi mancano. Fra queste ci metto anche la fede in Dio, una fede striminzita, dubbiosa, precaria come la neve, pronta a sciogliersi sotto il sole di satana (come direbbe Bernanos).
Vita vissuta e vita inventata
foto silvia d'ambrosio
Abbiamo narratori che prendono spunto soprattutto dalla propria vita, e chi soprattutto dai libri altrui, dalle storie di altri. C'è chi camuffa, imbelletta o drammatizza i propri eventi, chi li immagina, se li inventa, li copia da altri. C'è chi sta nella realtà e la descrive, chi fugge e ne descrive una illusoria. C'è chi resta e chi scappa. Io sono del primo genere. Non dico che l'uno sia meglio dell'altro. L'importante è che ci sia una storia e che coinvolga il lettore, anche perché ci sono lettori che vogliono restare e altri che vogliono sognare. Dico che l'uno soprattutto vive e ogni tanto scrive, l'altro soprattutto scrive e ogni tanto si ricorda di vivere.
Abbiamo narratori che prendono spunto soprattutto dalla propria vita, e chi soprattutto dai libri altrui, dalle storie di altri. C'è chi camuffa, imbelletta o drammatizza i propri eventi, chi li immagina, se li inventa, li copia da altri. C'è chi sta nella realtà e la descrive, chi fugge e ne descrive una illusoria. C'è chi resta e chi scappa. Io sono del primo genere. Non dico che l'uno sia meglio dell'altro. L'importante è che ci sia una storia e che coinvolga il lettore, anche perché ci sono lettori che vogliono restare e altri che vogliono sognare. Dico che l'uno soprattutto vive e ogni tanto scrive, l'altro soprattutto scrive e ogni tanto si ricorda di vivere.
Herbert 20
Herbert
di franco hf cavaleri
Forse ti basterebbe di fare un po’ più di telefonate, di relazioni più o meno strumentali, magari anche per frivolezze.”
Ripose la pipa nella sua borsetta di pelle, scosse le spalle in un gesto di indifferenza.
“Sei stato fortunato a crearti la tua famiglia, hai un vero amore, che ti comprende nel profondo, ma non riesci a uscire per davvero dal tuo stare in te stesso.”
Proprio questo, diventato padre, è come l’avesse sganciato dai suoi stessi figli e dalla loro confidenza. Non era tanto una questione di amore, di affetto e di vicinanza.
“E’ che avresti dovuto essere un padre davvero coinvolgente e non solo un esempio più o meno buono. Come fai poi a giudicare il fallimento di altri padri, davvero tu avresti le carte in regola?”
Stava salendo in camera, ora i suoi passi frusciavano nel silenzio dell’albergo.
Gli venivano in mente alcune frasi di un articolo di giornale, che gli sembravano scritte apposta per lui, ritagliate su di lui.
Era un articolo di un tale Cosimo Piovasco di Rondò, dedicato a una persona ormai scomparsa, con stralci davvero degni di attenzione. Anche costui sempre alla ricerca di un qualcosa, di un progetto.
“Cinque anni fa Ninni Gattuso cessava la sua vita terrena, (…). Una vita difficile la sua per aver scelto di essere dritto come un fuso, in senso morale naturalmente. E tale scelta rispettò sempre, in un contesto dove la doppiezza e il tartufismo risultano arte consumata per mentire anche a se stessi. Con buona pace di ogni visione di progresso da condividere con il prossimo, per il buono e onesto vivere. Ninni era cosciente di dover lavorare sodo per raggiungere i suoi traguardi. Anche quelli minimi. E lo faceva con lucidità, con spirito illuminista, cercando di contaminare chi gli stava intorno con una forza di persuasione che definirei “cartesiana”. Unita a una sensibilità proverbiale, che i superficiali scambiavano per eccesso di riservatezza o addirittura di malcelato imbarazzo. Dunque -negli anni- ebbe un po’ a disamorarsi per quel suo proporsi (ma non era una posa, al contrario!) quale “vox clamantis in deserto”. (…) il disamore trascolorò in disimpegno. In coincidenza di tali sventure incappò in uno stupido incidente fisico (…). Ninni tuttavia conservò tutta la sua lucida coscienza, condividendo con gli amici di sempre i vivaci entusiasmi che coltivava in campo letterario, artistico e soprattutto sociale (..)."
Già, ecco dal presente nebuloso di dubbi vedersi ritornare ragazzo, con il ricordo del fiondarsi nella nuova città e nella tua nuova vita.
Di sbandate all’inizio ne hai avute e le hai pagate, quando sei finito a studiare nella sezione crudele dei figli di papà.
Non ci fai grandi figure, ti “imbrani” nel capire gli altri e allora trovi affascinante scoprire la città, strada per strada, sentendo sempre di più il peso d’essere estraneo a scuola e in una società che ti appare molto chiusa e che frustra tutte le buone intenzioni di volersi integrare.
20-continua
di franco hf cavaleri
Forse ti basterebbe di fare un po’ più di telefonate, di relazioni più o meno strumentali, magari anche per frivolezze.”
Ripose la pipa nella sua borsetta di pelle, scosse le spalle in un gesto di indifferenza.
“Sei stato fortunato a crearti la tua famiglia, hai un vero amore, che ti comprende nel profondo, ma non riesci a uscire per davvero dal tuo stare in te stesso.”
Proprio questo, diventato padre, è come l’avesse sganciato dai suoi stessi figli e dalla loro confidenza. Non era tanto una questione di amore, di affetto e di vicinanza.
“E’ che avresti dovuto essere un padre davvero coinvolgente e non solo un esempio più o meno buono. Come fai poi a giudicare il fallimento di altri padri, davvero tu avresti le carte in regola?”
Stava salendo in camera, ora i suoi passi frusciavano nel silenzio dell’albergo.
Gli venivano in mente alcune frasi di un articolo di giornale, che gli sembravano scritte apposta per lui, ritagliate su di lui.
Era un articolo di un tale Cosimo Piovasco di Rondò, dedicato a una persona ormai scomparsa, con stralci davvero degni di attenzione. Anche costui sempre alla ricerca di un qualcosa, di un progetto.
“Cinque anni fa Ninni Gattuso cessava la sua vita terrena, (…). Una vita difficile la sua per aver scelto di essere dritto come un fuso, in senso morale naturalmente. E tale scelta rispettò sempre, in un contesto dove la doppiezza e il tartufismo risultano arte consumata per mentire anche a se stessi. Con buona pace di ogni visione di progresso da condividere con il prossimo, per il buono e onesto vivere. Ninni era cosciente di dover lavorare sodo per raggiungere i suoi traguardi. Anche quelli minimi. E lo faceva con lucidità, con spirito illuminista, cercando di contaminare chi gli stava intorno con una forza di persuasione che definirei “cartesiana”. Unita a una sensibilità proverbiale, che i superficiali scambiavano per eccesso di riservatezza o addirittura di malcelato imbarazzo. Dunque -negli anni- ebbe un po’ a disamorarsi per quel suo proporsi (ma non era una posa, al contrario!) quale “vox clamantis in deserto”. (…) il disamore trascolorò in disimpegno. In coincidenza di tali sventure incappò in uno stupido incidente fisico (…). Ninni tuttavia conservò tutta la sua lucida coscienza, condividendo con gli amici di sempre i vivaci entusiasmi che coltivava in campo letterario, artistico e soprattutto sociale (..)."
Già, ecco dal presente nebuloso di dubbi vedersi ritornare ragazzo, con il ricordo del fiondarsi nella nuova città e nella tua nuova vita.
Di sbandate all’inizio ne hai avute e le hai pagate, quando sei finito a studiare nella sezione crudele dei figli di papà.
Non ci fai grandi figure, ti “imbrani” nel capire gli altri e allora trovi affascinante scoprire la città, strada per strada, sentendo sempre di più il peso d’essere estraneo a scuola e in una società che ti appare molto chiusa e che frustra tutte le buone intenzioni di volersi integrare.
20-continua
sabato 22 febbraio 2014
Che tristezza
Oggi il nuovo governo, a guida Renzi Matteo, ha giurato. Leggo che nel passaggio delle consegne, Letta e Renzi non si sono neppure guardati. Che tristezza!!!! Capisco Letta. Continuo a non capire la scelta di Renzi. Come tutti gli italiani, avrei solo piacere di scoprire che la sua avventura sarà per il bene del cosiddetto Bel Paese, ma perché mai dovrebbe riuscire lui, dove ha fallito Letta, nel poco tempo a disposizione? Sinceramente non ho speranze. Non basta abbassare l'età anagrafica dei ministri per risolvere i problemi. Non bastano i volti nuovi. L'entusiasmo ci vuole, ma non sufficit. Renzi si è buttato in un'avventura più grande di lui. Spero di sbagliare. Me lo auguro. Sarei felice di ricredermi, ma non vedo i presupposti della vittoria.
Ragazze d'oro
Non hanno meritato nessuna medaglia nel pattinaggio artistico a Sochi 2014, men che meno l'oro, ma sono davvero due ragazze d'oro, e una si chiama oro anche di cognome. Mi ero sbilanciato, decretando la statunitense Gracie Gold (foto in basso) come la più bella del reame, ma in effetti ora torno sui miei passi. Se la gioca con la connazionale Ashley Wagner (foto in alto). Una bella lotta davvero!
Auguri, Yaya
Felice compleanno a Claudia detta Yaya, amica, compagna di scuola, prof. di ginnastica che ha preferito dedicarsi ad altro. E, visto il sorriso, con soddisfazione!
venerdì 21 febbraio 2014
Herbert 19
Herbert
di franco hf cavaleri
Come sempre succede nei piccoli ambienti, che ti proteggono sì, ma che anche esigono molto, specialmente quando appartieni a una famiglia in vista e stai sotto una pressione sociale, alla quale non puoi sottrarti e che a volte troppo pretende da te.
Amici e compagni, erano in parecchi a giocare per le strade senza asfalto, a spingersi temerari alla scoperta di boschi e di torrenti, di pozze d’acqua invitanti e insidiose.
Tutto un agitarsi per bande, a volte botte, con le gerarchie di gioco che lo volevano gregario, quasi a pagare lo scotto di dover primeggiare a scuola.
Sì, era stupendo quel suo vivere tra la sua gente, il profumo del legno lavorato dal nonno, il pesante tabarro nero che sapeva di pioggia dell’altro nonno, lo sfrigolìo del ferro incandescente annegato nell’acqua marcia, l’odore aspro dello zoccolo del cavallo quando veniva ferrato, l’ansimare concorde degli operai che cerchiavano con il fuoco le larghe ruote del calesse.
Non gli era sufficiente, tutto questo. Herbert amava leggere, ogni scusa era buona per rintanarsi a scorrere avidamente le righe suggestive di avventurose vicende.
I libri non bastavano mai per la sua fantasia sempre alla ricerca di un eccitante mondo lontano, nel quale estraniarsi sospendendo le ore della sua giornata.
A cambiar vita, comunque già ci pensavano anche papà e mamma, ai quali evidentemente era stretto il paese. Il padre di Herbert tra l’altro aveva deciso di non continuare il lavoro che la famiglia aveva sempre esercitato, aveva studiato e vantava a quel punto una professione che lo poteva far spaziare ovunque, altrove.
A costo di duri sacrifici, pensando alle opportunità che la città avrebbe potuto dare, si trasferirono. Per Herbert fu l’inizio di un nuovo modo di essere e di vivere.
Ne avevano parlato in famiglia e la decisione era chiara: non ci si dimentica delle nostre origini, ma si comincia a vivere, parlare, comportarsi per integrarsi nel nuovo ambiente. Si ricomincia daccapo.
Herbert ruppe il silente frusciare lento dell’acqua battendo il fornello della pipa sul muricciolo di sostegno, si fermò a pulire le briciole di tabacco bruciato e intanto pensava a quel suo essere d’istinto un solitario, forse un egoista, già da bambino.
Ora, diventato adulto (vecchio?) si era consolidato quel suo lavorare sottotraccia sia pure in mezzo alla gente, essere forse un “protagonista del backstage” sempre alle prese con le più svariate attività di lavoro e di volontariato, senza alla fine comparire, senza avere la scena che pure avrebbe meritato, anche non appartenendo al mondo dei “migliori” e dei campioni. Già, a lui bastava pensare e progettare, proporre e lavorare duro per vedere realizzate le sue idee. Era sufficiente che ci fosse il successo e poco importava se altri si appropriassero di quei risultati.
Che contraddizione, in questa pur semplice questione.
“Tutto quest’agitarsi che ti crea conoscenze anche belle, rare amicizie profonde, forse non riesci a integrarti perché eri arrivato da fuori e non sei cresciuto con chi oggi ti circonda. Lavori, ma non conti nei giri che contano. Dove se ne va tutto questo tuo attivismo, se non nel solo tuo piacere di star dietro ai tuoi ideali?
19-continua
di franco hf cavaleri
Come sempre succede nei piccoli ambienti, che ti proteggono sì, ma che anche esigono molto, specialmente quando appartieni a una famiglia in vista e stai sotto una pressione sociale, alla quale non puoi sottrarti e che a volte troppo pretende da te.
Amici e compagni, erano in parecchi a giocare per le strade senza asfalto, a spingersi temerari alla scoperta di boschi e di torrenti, di pozze d’acqua invitanti e insidiose.
Tutto un agitarsi per bande, a volte botte, con le gerarchie di gioco che lo volevano gregario, quasi a pagare lo scotto di dover primeggiare a scuola.
Sì, era stupendo quel suo vivere tra la sua gente, il profumo del legno lavorato dal nonno, il pesante tabarro nero che sapeva di pioggia dell’altro nonno, lo sfrigolìo del ferro incandescente annegato nell’acqua marcia, l’odore aspro dello zoccolo del cavallo quando veniva ferrato, l’ansimare concorde degli operai che cerchiavano con il fuoco le larghe ruote del calesse.
Non gli era sufficiente, tutto questo. Herbert amava leggere, ogni scusa era buona per rintanarsi a scorrere avidamente le righe suggestive di avventurose vicende.
I libri non bastavano mai per la sua fantasia sempre alla ricerca di un eccitante mondo lontano, nel quale estraniarsi sospendendo le ore della sua giornata.
A cambiar vita, comunque già ci pensavano anche papà e mamma, ai quali evidentemente era stretto il paese. Il padre di Herbert tra l’altro aveva deciso di non continuare il lavoro che la famiglia aveva sempre esercitato, aveva studiato e vantava a quel punto una professione che lo poteva far spaziare ovunque, altrove.
A costo di duri sacrifici, pensando alle opportunità che la città avrebbe potuto dare, si trasferirono. Per Herbert fu l’inizio di un nuovo modo di essere e di vivere.
Ne avevano parlato in famiglia e la decisione era chiara: non ci si dimentica delle nostre origini, ma si comincia a vivere, parlare, comportarsi per integrarsi nel nuovo ambiente. Si ricomincia daccapo.
Herbert ruppe il silente frusciare lento dell’acqua battendo il fornello della pipa sul muricciolo di sostegno, si fermò a pulire le briciole di tabacco bruciato e intanto pensava a quel suo essere d’istinto un solitario, forse un egoista, già da bambino.
Ora, diventato adulto (vecchio?) si era consolidato quel suo lavorare sottotraccia sia pure in mezzo alla gente, essere forse un “protagonista del backstage” sempre alle prese con le più svariate attività di lavoro e di volontariato, senza alla fine comparire, senza avere la scena che pure avrebbe meritato, anche non appartenendo al mondo dei “migliori” e dei campioni. Già, a lui bastava pensare e progettare, proporre e lavorare duro per vedere realizzate le sue idee. Era sufficiente che ci fosse il successo e poco importava se altri si appropriassero di quei risultati.
Che contraddizione, in questa pur semplice questione.
“Tutto quest’agitarsi che ti crea conoscenze anche belle, rare amicizie profonde, forse non riesci a integrarti perché eri arrivato da fuori e non sei cresciuto con chi oggi ti circonda. Lavori, ma non conti nei giri che contano. Dove se ne va tutto questo tuo attivismo, se non nel solo tuo piacere di star dietro ai tuoi ideali?
19-continua
Buon anniversario di nozze
Buon anniversario di nozze ai miei cari amici Lidia e Antonio che presto, dal 3 aprile, vedremo al cinema nel film 'Il pretore'. Eccoli nella finzione scenica.
Herbert 18
Herbert
di franco hf cavaleri
...com’eri tu, da figlio?
Tra arabescati stendardi, lunghi vessilli fluttuanti al vento leggero, con il suono stridulo dei pifferi e il rombo ritmato dei tamburi, così scendeva il solenne corteo reale dal lungo passo che veniva dalle montagne straniere, già se ne scorgevano i colori, si intuiva l’eco squillante della carovana.
Ecco il multicolore e nobile procedere di dame e damigelle agghindate a festa, ecco il seguito dei forti cavalieri nelle loro armature, con gli spadoni inguainati, le picche e le alabarde pronte alla contesa del prossimo torneo.
Venivano in visita al principe della contrada amica.
Appollaiato tra le merlature del castello, Herbert guardava l’avvicinarsi dei nobili ospiti, prevedendo la festa solenne, le gare, i balli variopinti, il grandioso banchetto.
Così lo trovò suo padre. Non aveva tardato più di tanto nel cercarlo, lo conosceva, sapeva che suo figlio si sarebbe come rintanato a fantasticare, a ricreare nel sogno le immagini che rubava in ogni momento dai libri che divorava, ansioso di svelare la trama e di giungere al “lieto fine”.
Era la bellezza e il sogno atteso di quelle visite in città.
Per quanto Herbert amasse il suo villaggio pieno di amicizie e la sua casa, era festa ogni volta che suo padre decideva di portarselo dietro, per i suoi affari.
Era il momento di creare eroi e cavalieri, pirati e avventurieri, dame gentili e sovrani autorevoli da incastonare nella bellezza dei luoghi idealizzati.
Era l’occasione per immergersi dentro una vita alternativa, allora come oggi.
Ora, appoggiato all’alto muricciolo che delimitava il lungarno, lanciando lente e gonfie nuvole dalla sua pipa, l’uomo che era stato una volta bambino pensava al suo esistere: già, ma come si può spiegare, descrivere la storia della vita di un uomo, quella vera, parlare dei suoi pensieri, delle emozioni e dei sentimenti?
Dicono che in fondo la vita di un uomo valga solo quando vive nei pensieri, nelle emozioni e nei sentimenti di coloro che ne hanno ricordo e memoria.
Tutto il resto, sono nude e crude date segnate su un qualche calendario.
Forse per quel suo sconfinare in un mondo immaginario vi era timidezza o forse anche quel suo essere altissimo già prima dell’adolescenza e nello stesso tempo magro, esile come un fuscello in balia del vento.
Impossibile non distinguerlo dai suoi compagni.
Quand’era nato gli echi della guerra non erano del tutto sopiti: manifesti con i disegni delle bombe da non toccare nel caso se ne vedesse una per i campi, il favoleggiare di una America dei bengodi, vaccinazioni a graffio, l’olio di fegato di merluzzo a generose cucchiaiate nelle scuole.
Un’infanzia comunque felice, quasi fosse un “principino”, vissuta con due giovanissimi genitori, con una famiglia allargata ai quattro nonni, a zii e cugini e cugine, a una sorella, in cortili e in strade ai cui occhi non potevi sfuggire.
18-continua
di franco hf cavaleri
...com’eri tu, da figlio?
Tra arabescati stendardi, lunghi vessilli fluttuanti al vento leggero, con il suono stridulo dei pifferi e il rombo ritmato dei tamburi, così scendeva il solenne corteo reale dal lungo passo che veniva dalle montagne straniere, già se ne scorgevano i colori, si intuiva l’eco squillante della carovana.
Ecco il multicolore e nobile procedere di dame e damigelle agghindate a festa, ecco il seguito dei forti cavalieri nelle loro armature, con gli spadoni inguainati, le picche e le alabarde pronte alla contesa del prossimo torneo.
Venivano in visita al principe della contrada amica.
Appollaiato tra le merlature del castello, Herbert guardava l’avvicinarsi dei nobili ospiti, prevedendo la festa solenne, le gare, i balli variopinti, il grandioso banchetto.
Così lo trovò suo padre. Non aveva tardato più di tanto nel cercarlo, lo conosceva, sapeva che suo figlio si sarebbe come rintanato a fantasticare, a ricreare nel sogno le immagini che rubava in ogni momento dai libri che divorava, ansioso di svelare la trama e di giungere al “lieto fine”.
Era la bellezza e il sogno atteso di quelle visite in città.
Per quanto Herbert amasse il suo villaggio pieno di amicizie e la sua casa, era festa ogni volta che suo padre decideva di portarselo dietro, per i suoi affari.
Era il momento di creare eroi e cavalieri, pirati e avventurieri, dame gentili e sovrani autorevoli da incastonare nella bellezza dei luoghi idealizzati.
Era l’occasione per immergersi dentro una vita alternativa, allora come oggi.
Ora, appoggiato all’alto muricciolo che delimitava il lungarno, lanciando lente e gonfie nuvole dalla sua pipa, l’uomo che era stato una volta bambino pensava al suo esistere: già, ma come si può spiegare, descrivere la storia della vita di un uomo, quella vera, parlare dei suoi pensieri, delle emozioni e dei sentimenti?
Dicono che in fondo la vita di un uomo valga solo quando vive nei pensieri, nelle emozioni e nei sentimenti di coloro che ne hanno ricordo e memoria.
Tutto il resto, sono nude e crude date segnate su un qualche calendario.
Forse per quel suo sconfinare in un mondo immaginario vi era timidezza o forse anche quel suo essere altissimo già prima dell’adolescenza e nello stesso tempo magro, esile come un fuscello in balia del vento.
Impossibile non distinguerlo dai suoi compagni.
Quand’era nato gli echi della guerra non erano del tutto sopiti: manifesti con i disegni delle bombe da non toccare nel caso se ne vedesse una per i campi, il favoleggiare di una America dei bengodi, vaccinazioni a graffio, l’olio di fegato di merluzzo a generose cucchiaiate nelle scuole.
Un’infanzia comunque felice, quasi fosse un “principino”, vissuta con due giovanissimi genitori, con una famiglia allargata ai quattro nonni, a zii e cugini e cugine, a una sorella, in cortili e in strade ai cui occhi non potevi sfuggire.
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Auguri, Fabiana
Felice compleanno alla mia amica ed ex collega Vidoletti Fabiana, grande sportiva, musicista nonché attrice!
giovedì 20 febbraio 2014
Carolina...e le altre
Mi sono gustato l'esibizione delle ragazze del pattinaggio artistico. E dico la mia. Felice per il bronzo di Carolina Kostner, naturalmente (foto in alto), però c'è qualcosa nel suo fisico che non mi convince, e non riesce a trasmettermi quel senso di grazia e di leggerezza essenziale per le pattinatrici. Meravigliosa Yuna Kim (seconda dall'alto), la sudcoreana alla quale è stato rubato l'oro, ed è arrivata seconda. Purtroppo il fattore giuria condiziona queste gare. Bravissima la vincitrice, la russa Adelina Sotnikova (terza dall'alto), che però a mio avviso doveva arrivare seconda. Mi ha impressionato favorevolmente anche la quindicenne russa Julia Lipnitskaia, il futuro...e poi la più bella, che per me è la statunitense Gracie Gold, giunta quarta.
Lo Ski Arc di Fiorella
Guardando le gare di biathlon a Sochi ho rivisto la mia amica Fiorella Noseda (foto), grande prof e grandissima sportiva, morta tragicamente anni fa mentre si allenava in bicicletta. Fiorella allora era fra le migliori in Italia nello Ski Arc, specialità che univa sci nordico e tiro con l'arco, che fu lì lì per venire accolta nel novero delle specialità olimpiche, poi non se ne fece nulla. Niente Ski Arc ma soprattutto la mancanza di Fiorella. Ma io non la dimentico.
Un bronzo che mi somiglia
Mi ha fatto molto piacere la medaglia di bronzo conquistata dall'Italia nel biathlon staffetta mista, con Karin Oberhofer, Dorothea Wierer, Lukas Hofer e Dominik Windisch, una bella e giovane squadretta che darà alla nostra Italia altre soddisfazioni. Mi ha fatto piacere anche perché il biathlon (sci nordico + tiro con la carabina) mi si addice, amando lo sci da fondo e avendo praticato tiro (con la pistola) a militare, con buoni risultati. Ma ho sparato altre cartucce, facendo spesso cilecca!
Herbert 17
Herbert
di franco hf cavaleri
“Starci! Purtroppo è vero così ed è per questo che voglio parlarti. Intanto hai visto tu stesso come è fatta, quello che ha combinato con te e con parecchi altri lo pretende anche da me, approfitta che non ho un posto dove andare. Quando siamo sole in casa non trovo pace e mi sento proprio messa alle strette.”
“Guarda Chicca, che il mondo cambia e certe cose non possono rovinarti la vita. Certo che non me n’ero mai accorto, non sapevo niente con tutte le cose che abbiamo fatto insieme. Ma proprio da lei dovevi andare?”
“Ma Herbert, tu fai in fretta a parlare, ma io dovevo scapparmene di casa, non ci resistevo più e la sua offerta di ospitarmi mi sembrava la cosa giusta. Solo che ora non so come uscirne, credimi, sono disperata ed è per questo che quando ti ho visto ho pensato che potresti aiutarmi.”
“Non ci sono problemi, dimmi che ti serve.”
“Io ho bisogno di scrollarmi di dosso questa etichetta di “schiavetta” della Lea, ma anche non me la sento di farmi guardare come una strana, non lo so, non ci riesco. Tu adesso stai con qualcuna? Perché potremmo farci vedere in giro, per far capire che anche io il ragazzo ce l’ho. In fondo ci vedono sempre insieme, quando siamo andati volontari e nelle assemblee e in giro, insomma sarebbe quasi una cosa naturale.”
“Forse non lo sai, ma sono libero come l’aria e poi con tutto quello che abbiamo fatto insieme, figurati se non ti aiuto…”
“Grazie, allora restiamo così?”
“Certo, comunque in una cosa dobbiamo metterci d’accordo, che quando siamo con altri e dobbiamo farglielo credere bisogna farlo bene. Non metterti a ridere, però una limonatina anche per finta ma dobbiamo farcela, sennò non ci credono.”
Chicca sembrava annuire, la cosa anche per lei era logica, poi d’improvviso schizzò giù dalla scrivania, farfugliò poche parole.
“Però ci devo pensare ancora, ora lasciami andare, ti darò una risposta, comunque ti ringrazio, sei un vero amico.”
Passando, gli accarezzò una guancia, corse via.
Herbert non la vide più.
Fu solo qualche settimana dopo che si seppe che Chicca aveva lasciato la scuola, si diceva che si fosse trasferita lontano, forse per mettersi a lavorare.
Ora, così tanti anni dopo, chissà se abbia mai potuto trovare la felicità magari con una brava persona, una vera compagnia per la vita.
Ancora oggi, distante nel tempo e nei luoghi lì a Firenze, nel pensarci Herbert provò lo stesso sentimento di rabbia sorda, come ripetendo davanti allo specchio della sua camera d’albergo tutti i sentimenti di allora.
Chicca, una ragazza splendida e generosa, un’amica che forse si era persa.
Pensare che suo padre era un grand’uomo, personaggio importante, di quelli che sembrano i soli a indicarti la strada maestra, a salvare il mondo e poi non sanno tenersi vicina una figlia e aiutarla a trovare la strada giusta.
Già, una sensazione scaturì dal nulla, tu caro il mio Herbert che stai a giudicare gli altri, tu che padre sei stato, lo sei ora per il tuoi figli?
Com’eri tu, da figlio?
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di franco hf cavaleri
“Starci! Purtroppo è vero così ed è per questo che voglio parlarti. Intanto hai visto tu stesso come è fatta, quello che ha combinato con te e con parecchi altri lo pretende anche da me, approfitta che non ho un posto dove andare. Quando siamo sole in casa non trovo pace e mi sento proprio messa alle strette.”
“Guarda Chicca, che il mondo cambia e certe cose non possono rovinarti la vita. Certo che non me n’ero mai accorto, non sapevo niente con tutte le cose che abbiamo fatto insieme. Ma proprio da lei dovevi andare?”
“Ma Herbert, tu fai in fretta a parlare, ma io dovevo scapparmene di casa, non ci resistevo più e la sua offerta di ospitarmi mi sembrava la cosa giusta. Solo che ora non so come uscirne, credimi, sono disperata ed è per questo che quando ti ho visto ho pensato che potresti aiutarmi.”
“Non ci sono problemi, dimmi che ti serve.”
“Io ho bisogno di scrollarmi di dosso questa etichetta di “schiavetta” della Lea, ma anche non me la sento di farmi guardare come una strana, non lo so, non ci riesco. Tu adesso stai con qualcuna? Perché potremmo farci vedere in giro, per far capire che anche io il ragazzo ce l’ho. In fondo ci vedono sempre insieme, quando siamo andati volontari e nelle assemblee e in giro, insomma sarebbe quasi una cosa naturale.”
“Forse non lo sai, ma sono libero come l’aria e poi con tutto quello che abbiamo fatto insieme, figurati se non ti aiuto…”
“Grazie, allora restiamo così?”
“Certo, comunque in una cosa dobbiamo metterci d’accordo, che quando siamo con altri e dobbiamo farglielo credere bisogna farlo bene. Non metterti a ridere, però una limonatina anche per finta ma dobbiamo farcela, sennò non ci credono.”
Chicca sembrava annuire, la cosa anche per lei era logica, poi d’improvviso schizzò giù dalla scrivania, farfugliò poche parole.
“Però ci devo pensare ancora, ora lasciami andare, ti darò una risposta, comunque ti ringrazio, sei un vero amico.”
Passando, gli accarezzò una guancia, corse via.
Herbert non la vide più.
Fu solo qualche settimana dopo che si seppe che Chicca aveva lasciato la scuola, si diceva che si fosse trasferita lontano, forse per mettersi a lavorare.
Ora, così tanti anni dopo, chissà se abbia mai potuto trovare la felicità magari con una brava persona, una vera compagnia per la vita.
Ancora oggi, distante nel tempo e nei luoghi lì a Firenze, nel pensarci Herbert provò lo stesso sentimento di rabbia sorda, come ripetendo davanti allo specchio della sua camera d’albergo tutti i sentimenti di allora.
Chicca, una ragazza splendida e generosa, un’amica che forse si era persa.
Pensare che suo padre era un grand’uomo, personaggio importante, di quelli che sembrano i soli a indicarti la strada maestra, a salvare il mondo e poi non sanno tenersi vicina una figlia e aiutarla a trovare la strada giusta.
Già, una sensazione scaturì dal nulla, tu caro il mio Herbert che stai a giudicare gli altri, tu che padre sei stato, lo sei ora per il tuoi figli?
Com’eri tu, da figlio?
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