Mio papà Mario, classe 1926, ha scampato per un pelo la chiamata alle armi. Soprattutto nell'ultimo periodo della guerra quelli del '29 venivano chiamati per andare a lavorare in Germania. Grazie a documenti falsi e a qualche giorno da sfollato nella bassa varesina, il Mario se l'è cavata. Ecco i suoi ricordi di quella fine di aprile del 1945.
Venerdì
25 aprile 2014
“Ricordo
un clima di euforia e di confusione, e anche di sospetto. Il tempo della grande
vendetta. Gente scendeva dai monti, gli internati ini Svizzera sarebbero
arrivati poco alla volta, mesi dopo, come i miei fratelli Francesco e Giuseppe.
Alcune
donne vennero prese e portate in piazza Milite Ignoto, a Sant’Ambrogio.
Dicevano che erano state coi fascisti. Vennero rapate a zero.
Sempre
in quella piazza il partigiano Augusto Bianchi, morto poi giovane di un tumore,
si faceva vedere con le armi in mano e un giorno cominciò a sparare dalla
piazza verso le ville. Uccise senza volerlo una bimba, figlia di sfollati.
Ricordo
che il 21 aprile un ragazzo discolo di Sant’Ambrogio, un monello diventato
partigiano, venne ucciso in una imboscata vicino alla Settima Cappella: lì c’era
una villa e lì si trovavano i partigiani.
Ricordo
poi i morti fascisti, uccisi nella zona dell’Ippodromo. Si era sparsa la voce
di questa esecuzione, la gente si muoveva in massa, fiumi di persone che
volevano assistere alla scena. Anch’io andai, avevo 19 anni, vivevo tutto come
un’avventura. Ricordo il podestà, un vecchietto arrivato forse il giorno prima
da Milano: lo vedo disteso a terra, con gli occhiali rotti e un pezzo di pane
in tasca. Provo ancora oggi una grande pena per lui.”
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