domenica 6 gennaio 2013

Cicale al carbonio 21



                                       ventuno


Quella notte fra la domenica e il lunedì Marco se l’era immaginata nelle ore più dure, nelle vittorie più esaltanti: conforto o conferma, a seconda. L’amore con Beatrice se l’era gustato nelle salite e nelle discese, quando non aveva più voglia di parlare, di soffrire, di pensare a qualcosa che non fosse il sesso con lei.
E la notte fra la domenica e il lunedì era arrivata. Eccola.
Marco stava seduto nel letto, la schiena appoggiata al cuscino, messo in verticale. Beatrice gli stava al suo fianco, con il cuscino orizzontale, seduta ma un poco più sdraiata.
Stavano seduti nel letto, ancora in silenzio. La mezzanotte era suonata da tempo.
“Allora?” Beatrice, con quella domanda, non aveva pretese. Era una supplica, affinché scavasse un buco nel muro del silenzio. Dal quel silenzio bisognava scappare fuori.
Marco era una statua. Respirava con affanno.
Beatrice si girò alla sua destra, lo guardò, teneva la testa bassa, le mani giunte a preghiera intorno al naso. Ogni tanto si grattava la testa, scendeva con le mani conserte, tornava con le mani sul naso. Tremava. Confermava, nel silenzio continuo, i suoi sospetti.
“Perché non me l’hai detto?”
Marco si schiacciò gli occhi dentro le orbite. Spostò i capelli dietro le orecchie.
“Perché? Tu mi dici tutto?”
Era una domanda urlata.

*** 

Beatrice era stata in bagno una decina di minuti. Tempo che era servito a Marco per pensare se dirle la verità.
La linea era di negare. Anche l’ipotesi di uno scambio di provette, di un sabotaggio sul suo sangue, di un errore dei medici. Ci sarebbero state nell’immediato le controanalisi. Lui aveva già nominato il suo perito. Non sputtanarsi con nessuno.
Nemmeno con lei? Intuiva che dare a Beatrice la sua verità e il suo tormento lo avrebbe liberato da un incubo, che non riusciva a ributtare indietro con la menzogna. Almeno a lei. La sua sola isola, in quel mare.
Beatrice tornò e si distese sul letto, pesante di bugie. Non riusciva a dormire. Non voleva dormire. E Marco ancora al suo fianco. Non s’era mosso, si torturava i capelli, il mento, mandava di tanto in tanto piccoli colpi di tosse, come per schiarirsi la voce, prima di parlare. Tosse nervosa, che non diceva nulla.
Beatrice guardò la sveglia. La una e dieci. Si girò sul fianco, non lo voleva vedere. Perché l’aveva messa in crisi due volte: l’epo e quel sospetto di un tradimento.
“Mi puoi abbracciare?”
Beatrice cambiò fianco, ora lo vedeva. Si mise seduta. Abbracciandolo sentì che era sudato, la fronte bagnata, i capelli umidi.
Marco cominciò a singhiozzare. La stringeva, nascondeva le lacrime sul suo collo, le baciava i capelli, si nascondeva sulla sua spalla.
Piangeva e stava bene.
“Perdonami.”
Beatrice sentì, come una pugnalata, che non poteva meritarsi nessun perdono.

                                                                                       21-continua



                                 




                 

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