giovedì 10 gennaio 2013

Cicale al carbonio 24



Ventiquattro

Era stata una notte d’amore. S’erano addormentati che albeggiava.  Ogni sincerità e perdono s’erano abbracciati insieme ai loro corpi. 
Marco fu svegliato dalle campane di Bardolino. Contò i rintocchi. O undici o dodici. Si girò verso Beatrice e sentì dentro il brivido della normalità. Aveva mal di testa e un dolore allo stomaco, che cresceva. In fondo si risvegliava cornuto. Certe cose –pensò- forse è meglio nemmeno saperle. Poche ore prima aveva buttato giù tutto il boccone indigesto come fosse una leccata di gelato, ora lo ruminava a poco a poco, acido e amaro come fiele. Riuscì a tenere a bada la rabbia, pensando che anche lui le aveva messo le corna.
Andò in bagno. Piegandosi in avanti, sul lavandino, si vide riflesso dentro il tappo metallico. La convessità gli faceva un naso enorme, lo deformava; forse gli occhi era tristi per davvero.
Fece piovere l’acqua dalla bocca del rubinetto, solo un filo, per annegare senza fretta. La sua immagine scomparve. Si lavò i denti, il viso. Avvertì brividi strani, un malessere diffuso: ecco qua, minimo minimo un raffreddore, pensò.
Aveva bisogno di calore. Di un  corpo caldo. Tornò da Beatrice, che dormiva in equilibrio sopra il fianco sinistro. Prese la piega del suo corpo.  Cercò di combaciare il più possibile a lei, ma era troppo piccola. Non gli bastava. E l’aveva tradito.
Cercò di riaddormentarsi. Ora stava bene. Forse il secondo risveglio sarebbe stato più promettente.    

                                                                              24-fine

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