Ventiquattro
Era stata una notte d’amore. S’erano addormentati
che albeggiava. Ogni sincerità e perdono
s’erano abbracciati insieme ai loro corpi.
Marco fu svegliato dalle campane di Bardolino.
Contò i rintocchi. O undici o dodici. Si girò verso Beatrice e sentì dentro il
brivido della normalità. Aveva mal di testa e un dolore allo stomaco, che
cresceva. In fondo si risvegliava cornuto. Certe cose –pensò- forse è meglio
nemmeno saperle. Poche ore prima aveva buttato giù tutto il boccone indigesto
come fosse una leccata di gelato, ora lo ruminava a poco a poco, acido e amaro
come fiele. Riuscì a tenere a bada la rabbia, pensando che anche lui le aveva
messo le corna.
Andò in bagno. Piegandosi in avanti, sul lavandino,
si vide riflesso dentro il tappo metallico. La convessità gli faceva un naso
enorme, lo deformava; forse gli occhi era tristi per davvero.
Fece piovere l’acqua dalla bocca del rubinetto,
solo un filo, per annegare senza fretta. La sua immagine scomparve. Si lavò i
denti, il viso. Avvertì brividi strani, un malessere diffuso: ecco qua, minimo
minimo un raffreddore, pensò.
Aveva bisogno di calore. Di un corpo caldo. Tornò da Beatrice, che dormiva
in equilibrio sopra il fianco sinistro. Prese la piega del suo corpo. Cercò di combaciare il più possibile a lei,
ma era troppo piccola. Non gli bastava. E l’aveva tradito.
Cercò di riaddormentarsi. Ora stava bene. Forse il
secondo risveglio sarebbe stato più promettente.
24-fine
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