diciotto
Beatrice sedeva sul divano. Un divano che aveva un odore di
casa estranea. Prese il telecomando. Accese. Rai Tre. Giro d’Italia.
Lui aveva riposto i calici sopra un tavolino e s’era seduto
al suo fianco. Era sudato, un sorriso imbarazzato.
Una sola cosa si augurò: che lui non chiedesse scusa.
***
“E per fortuna che era Togni il più spericolato in discesa.”
“Se tanto mi dà tanto, oggi Marchi si sta rivelando un
campione anche quando la velocità si impenna.”
“Settanta all’ora, signori. Giù dal passo del Mortirolo,
verso il fondo della Val Camonica, Marchi rischia il tutto per tutto.”
“Ma la Maglia Rosa non molla. Togni perde qualche secondo ma
è come se volesse calcolare i rischi, tenere Marchi sotto tiro, illuderlo,
farlo sfogare. O farlo rischiare troppo.”
“Anche perché occorre ricordare ai nostri telespettatori che
il traguardo è ancora lontano, ci saranno altri chilometri in salita, sino al
passo dell’Aprica.”
“Salita non impossibile ma al termine di una tappa
infernale, caldo asfissiante e la Cima Coppi, su al Passo dello Stelvio.”
“Dove
osano le aquile avrebbe commentato il grande Adriano De Zan, il maestro di
tutti noi telecronisti che amiamo il ciclismo.”
***
Beatrice
guardava le immagini e non provava rimorso. Indifferenza, e rabbia per
un’attesa incompiuta.
Aveva
già tradito.
Nel
teleschermo, più che i corridori in discesa dal Mortirolo studiava in
trasparenza il suo volto, una macchia scialba. Suo marito era lontano,
l’assente nei momenti necessari.
Lui
taceva.
Lei
cominciò a riabbottonarsi la camicia ma non ci riusciva. Tremava, le dispiaceva
tornare indietro, era ferita e confusa, persa in un dormiveglia dal quale non
voleva svegliarsi.
***
“Dunque,
aggiorniamo i distacchi. Marco Marchi, capitano della Toshibas Bike, ha
raggiunto proprio ora il fondovalle.”
“E
allora facciamo partire il cronometro, vediamo il vantaggio.”
“Ho
l’impressione che la Maglia Rosa abbia perso ancora, più dei trenta secondi di
due chilometri fa.”
“Impressione
corretta….venti secondi e ancora non si vedono….”
“Incredibile!
Chi l’avrebbe detto, Marchi che recupera in discesa, sul terreno favorevole al
bergamasco.”
“Eccoli,
il gruppetto che comprende la Maglia Rosa arriva e sono quarantacinque, sì,
quarantacinque i secondi di vantaggio del veneto.”
“La
domanda è presto fatta: Li manterrà? Li incrementerà? Li perderà?”
“Domanda
da un milione di euro.”
“Staremo
a vedere.”
***
Lui
la distese sul divano, lentamente, e lei si lasciò scivolare sotto di lui. Le
prese il telecomando, spense la tele e lei disse: “No. Lascia acceso.”
La
spogliò e si spogliò.
Lei
gli strinse la testa e guidò i suoi baci dove desiderava. Alzò una gamba sullo
schienale, l’altra pendeva a terra, il tallone sfiorava un tappeto a pelo
lungo.
La
spinse più in su, le porse un cuscino che sistemò sotto la nuca.
Ad
occhi chiusi lei si voltò verso la tele, allungò il braccio a sfiorare il
tappeto.
***
“Pochi
chilometri di pianura è già il vantaggio di Marchi s’è ridotto a venti
secondi.”
“Inevitabile…lotta
ìmpari….uno contro dieci.”
“Bisognerà
aspettare le pendenze dell’Aprica.”
“E
ho l’impressione che il veronese giù dal Mortirolo abbia speso di più, molto
più di Beppe Togni, o no?”
“Difficile
dirlo. Comunque vada, questo è spettacolo vero. Un Giro d’Italia in bilico sino
all’ultima tappa, una lotta a due, a tre che non si risolve, che tiene
incollato per ore ai televisori il nostro pubblico.”
“Senza
contare i tifosi lungo il percorso. Impressionante. Camper, roulotte, tende,
gente a piedi e in bicicletta, pur di esserci.”
“Anche
se qui dobbiamo rinnovare l’appello più volte lanciato dai nostri microfoni:
non spingete i corridori. Ormai resta la tappa di domani ma ci saranno altre
salite, e saranno quelle che decreteranno la classifica finale. Sul Cuvignone e
sul Campo dei Fiori, lo ripetiamo sino alla noia: non spingete, fate solo il
male dei vostri campioni.”
***
Tastando
il pelo del tappeto trovò la scatola che cercava, schiacciò i tasti a caso, il
volume si alzò, s’abbassò, cambiarono i canali. Il video s’annerì.
Lui
le baciava la fronte, lei cercò le sue labbra.
Lui
si fermò. Lei trattenne il respiro; gli accarezzò la schiena, le dita sudate,
la schiena sudata, scese e guidò con le mani la sua lenta ripresa. Movimenti
circolari, in crescendo, veloci e profondi, come il respiro.
“Aspetta”
disse lui. L’accompagnò. Lei si lasciò cadere sul tappeto. Chiuse gli occhi. Il
pelo lungo era morbido, allontanò una scarpa che le feriva la schiena. Attese
coprendosi i seni con le braccia conserte.
“Vieni”
Sentì
le mani di lui cercare le sue, invitarla a salire sopra il divano. Aprì gli
occhi. Sedeva con le gambe distese, la aiutava a sedersi sopra di lui, che ora
risaliva piegando le gambe e lei spingeva con le ginocchia contro i cuscini.
Lui
allargò le braccia, la testa abbandonata nel vuoto, chiusi i suoi occhi colore
del cielo.
Lei
si ancorò al collo. Il tempo era assente.
“Non
ora.” Lui s’alzò e la prese per mano. Andò verso una porta accostata, l’aprì
con la spalla, pochi passi ed un letto. Le lenzuola erano accartocciate, odore
di chiuso, penombra. Si sdraiarono. Le sue gambe aperte pendevano dalla sponda
del letto.
“Saliamo”
gli disse, ma lui non capiva. Veloce e violento. “Saliamo” e lui si quietò ma
era appena una sosta. “Saliamo, saliamo…” ma la richiesta si spense, come si
spegne il buio quando il fuoco s’accende.
***
Marco
aveva rischiato tutto in discesa. Un paio di frenate brusche, uno scodinzolo
della ruota posteriore, s’era visto a mangiare l’asfalto o come un sasso
lanciato nel burrone ma pigiava sulle pedivelle come un ossesso. Contava solo
la vittoria: era il primo comandamento del suo mestiere. In pianura il
gruppetto degli inseguitori gli avevano rosicchiato quasi tutto il vantaggio. A
Edolo era quasi certo di mollare, impossibile sperare di mantenere anche dieci
secondi di vantaggio. Piazzata al centro di una rotonda, una ragazza gli aveva
urlato in faccia tutta la sua ammirazione e così aveva deciso di andare avanti.
E se lo riprendevano, non avrebbe mai vinto in volata. Poi era ritornata la
salita, pendenza minima ma costante verso il passo dell’Aprica. Infine era
arrivato il triangolo rosso dell’ultimo chilometro, che penzolava sotto una
volta di plastica gonfiata. Non doveva voltarsi. Li aveva dietro, pochi metri,
lo braccavano ma se si fosse girato, se avesse visto il luccichio di quelle
bici nel sole, avrebbe perso. Doveva solo pedalare. Un gesto facile, alla
portata di un bimbo. E pedalava con la bocca aperta, con le mani che
strozzavano il collo del manubrio. Avrebbe bevuto tutta l’acqua dell’universo.
Era cotto dal sole e dalla fatica. Ma pedalava e pedalò immaginandosi ombre di
sorpassi che non arrivavano e non arrivarono mai.
***
Beatrice
era sotto la doccia. Si lavava e si accarezzava. Tanta acqua nei capelli,
ruscelli giù a seguire le onde del suo corpo. Non si sentiva ferita. Sopra di
lei scivolava solo acqua, non sangue. Vide la sua immagine oltre la porta di
vetro smerigliato. Lui bussò. Lei aprì.
“Posso?”
“Vieni.”
La
sua schiena sentì il freddo della parete di piastrelle bianche, con disegni di
fiori: per lasciargli il posto sotto quella pioggia tiepida.
“No
no…insieme.”
Si
avvicinò, rischiò di cadere sopra chiazze di bagnoschiuma, lui la trattenne.
L’acqua pioveva nel mezzo, rimbalzava. Baci di acqua e di shampo. E quel
piede, infilato fra i suoi, che spingeva a destra e a sinistra. Era facile
lasciarsi guidare nel gesto dal bagnoschiuma, scivolare nelle piccole bolle
colorate sul fondo della doccia.
18-continua
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