diciassette
Avvenne quanto aveva sperato e sognato per più di una notte.
Quando lui, alle sue spalle, la fasciò con la cintura delle
braccia e se la strinse contro, Beatrice chiuse gli occhi. Solo il piacere: non
pensare, non capire, non giudicarsi.
Lasciò che le sue mani salissero, che arrivassero ai seni,
piccoli seni all’ombra della camicia. Che sbottonava con calma, all’inizio, ma
il controllo moriva con il morire di Balla Linda. Sarebbe arrivata Un’avventura.
La camicia s’apriva.
La prese alle spalle, la girò verso di sé. Balla Linda andava
di sottofondo. Beatrice sentiva il suo respiro né quieto né folle. Perché
quell’attesa? Che fa? Se ne va? Torna al frigo?
Voltò un poco il capo sulla destra, no, era lì: timoroso?
Attendeva che si manifestasse a pieno la sua voglia? Che fosse lei a dover
dire: ‘Perché l’ho fatto?’ A pentirsi, senza nemmeno poter accampare la scusa
di non aver saputo resistere alla sua intraprendenza?
Non si mosse e lui tornò verso i fornelli, stappò il
prosecco.
Finì Balla Linda e nell’attesa che arrivasse Un’avventura
sentì il vino che sciabordava nel calice. Venne la canzone e subito lui si
riavvicinò.
“Tieni” e le porse il suo calice.
Beatrice ora era meno felice. La sua indecisione le rendeva
impossibile dimenticare chi stava tradendo.
“Brindisi… a chi?” disse lui, avvicinando il calice.
“A chi...o a che cosa?”
Rimase sorpreso. “A noi”
“Lascia perdere” e si sedette sul divano.
Avevano perso l’attimo. La magia s’era confusa fra le note
di Battisti. Smarrita. Per sempre?
***
Tutto quel caldo che trasudava dalla strada veniva
direttamente dall’inferno, o dal centro di una terra infuocata e ostile. La
gomma del copertone pareva incollarsi al suolo; il manto nuovo d’asfalto
s’ammorbidiva al calore e liberava una bava di terra che aderiva alla ruota e
rallentava la marcia. Un sudore acido gli feriva le guance e gocciolava sopra
il manubrio. La fatica ovattava ogni cosa: i tifosi che berciavano, il dolore
alle cosce, un senso di oppressione al torace. Marco respirava ma l’aria non
entrava.
Solo. Stremati tutti i suoi uomini, solo con la sua ombra
che si confondeva con il rivale di tutto quel Giro d’Italia. Nei tratti più
duri saliva sui pedali, mani a cavalcioni sui freni e tirava il manubrio verso
di sé, rabbioso. Avrebbe voluto sollevare la ruota anteriore da terra, far
volare la bici, sbugiardare la forza di gravità che lo obbligava a strisciare
come una serpe.
Fra Piazzu di Dentro e Piazzu dell’Acqua, dopo essersi guardato
il groviglio delle sue vene sull’avambraccio, torrenti in piena, pensò che
sarebbe stato impossibile faticare di più ma tentò la pazzia. Non cambiò
rapporto, aumentò il ritmo restando col culo incollato al sellino. Chiuse gli
occhi. Pensò a quanto sarebbe stata orgogliosa Beatrice. Soffriva lì, con lui,
davanti alla tele.
“E’ partito.”
“Scatto secco di Marco Marchi, a tre chilometri dal passo
del Mortirolo, spartiacque fra la Valtellina e la Val Camonica.”
“E Togni non reagisce.”
“Niente da fare, la Maglia Rosa è in crisi. In debito
d’ossigeno.”
“E il vantaggio dell’uomo della Toshibas aumenta, saranno
almeno venti, trenta metri a questo punto.”
“Il veneto l’aveva promesso, aveva anticipato che sarebbe
partito qui e qui è stato, promessa mantenuta.”
“Togni ci prova a recuperare, ora sale sui pedali ma Marco
Marchi ha tutta un’altra pedalata.”
“Ma che fatica, signori.”
“E che caldo. Non posso non ripetere la frase che mi regalò
anni fa il grande Lance Armstrong –E voi telecronisti non dite che noi ci
involiamo in salita. Noi in salita mordiamo l’asfalto-“
17-continua
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