NEBBIA
di carlozanzi
La
nebbia arrivò con lentezza, si materializzò da lontano, prima con un cartello
segnalatore (Attenzione, banchi di nebbia. Guidare con prudenza), quindi con
una muraglia bianca, quasi che le nuvole avessero perso gli ormeggi e si
fossero afflosciate sulla nostra crosta asfaltata, intossicata dai veicoli,
malcurata. L’alba, giunta da poco a indorare l’autostrada, segnalata da un sole
tondo e basso all’orizzonte, venne offuscata. L’impatto venne accelerato dalla
velocità dell’auto, che s’avvicinava lesta (a cento all’ora, poi a novanta e
quindi, per prudenza, a ottanta) alla massa di vapore; infine ci cozzò contro,
la perforò, vi si immerse come in un mare impalpabile.
Fuori
dal confortevole salottino ambulante vide campi innevati, tetti con scarsa
neve, fabbriche, antenne per la telefonia cellulare, cartelli stradali, automobilisti
inscatolati nelle lamiere come tonni che –immaginò- mostravano una
preoccupazione paragonabile alla sua. La nebbia è un fastidio, nessuno direbbe il
contrario.
Il
sole annegò, divenne opaca lampadina, luna diurna davanti ai suoi occhi. Sollevò
il parasole, che aveva abbassato con gioia perché con gioia aveva accolto il
sole nascente. Disse in silenzio: ‘Non ci voleva.’ Una grossa torre alla sua
destra, che finiva in cielo con una costruzione circolare illuminata da scritte
pubblicitarie, gli parve un disco volante che atterrava fra i vapori dei suoi
razzi.
Molti
abitanti delle auto lo sorpassavano superando in abbondanza il limite imposto a
chi percorreva la tangenziale, novanta all’ora. Incuranti della nebbia, ora
densa, tenevano quel maledetto piede destro contro l’acceleratore, non lo
sollevavano pur sapendo che rischiavano loro e mettevano a rischio la salute altrui.
Si portò sulla corsia più a destra, si accodò ad un TIR che rumoreggiava,
traballava, sputava veleno nero contro il suo parabrezza.
La
nebbia si diradò, il sole prese vigore, decise il sorpasso del TIR, strinse le
mani al volante, freccia a sinistra, uscita in seconda corsia, spilli in
fronte, un colpo di tosse, a metà si pentì ma tenne duro e tornò vittorioso in
carreggiata, allentando la morsa delle mani. Il sole scomparve, diminuì la
velocità, guardò nello specchietto retrovisore, il TIR lontano si stava
avvicinando, pensò in silenzio ‘Mi vedrà…ho anche la luce antinebbia
posteriore…anche i fendinebbia, ma al TIR quelli non interessano…’ Ebbe
comunque paura.
Nell’abitacolo
il clima era accettabile, immaginò il freddo di fuori, l’umido. Il mondo si era
fatto grigio, opprimente, insicuro, il viaggio un’avventura con esiti
drammatici in costante aumento di probabilità.
Ma
presto tornò il sole innanzi ai suoi occhi, si presentò come riflesso a forma
circolare, poi come ostia alzata in cielo da un Dio benevolo, quindi faro dalla
luce sempre più intensa, infine fuoco capace di sciogliere quelle nubi
improprie, fuggite dal cielo per fare dispetto agli uomini.
E
quando tornarono i colori, e persino la neve gli parve un arcobaleno, si voltò
verso di lei e le disse: “Ti amo.”
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