domenica 23 dicembre 2012

Cicale al carbonio 7

                                          la cima Pedum     foto Carlo Zanzi


sette


Infilandosi la Maglia Rosa, in albergo, prima di scendere sul lungomare di Crotone, Marco pensò a come perderla. Momentaneamente, certo. Un passaggio delle consegne a tempo determinato. Mollarla subito, già alla seconda tappa, la Crotone-Taranto, giornata per velocisti, o più avanti?
Il giorno prima aveva fatto la sua parte, tirato quando gli toccava, ma altri avevano dovuto sobbarcarsi gli straordinari per lui. Un gregariato chiaro, contrattuale, accettato e regolato da leggi scritte e non scritte. Aveva comunque trovato il modo di ringraziarli per la professionalità del loro sudore. E ogni vittoria erano soldi, per tutti.
Crotone, cioè anche qualche piattaforma appena oltre l'insenatura del porto: Marco ci fece caso e notò all'orizzonte, quasi a raccontargli dove finiva il mare e iniziava il cielo, due grosse navi, forse petroliere. Firmò qualche autografo, strette di mano a corridori amici e si concentrò sulla tappa.
Suonò mezzogiorno. Guardò verso il castello e la città vecchia. Poi lo starter abbassò la bandierina e la mandria multicolore lasciò Crotone ad andatura turistica. In meno di cinque ore avrebbero percorso oltre duecento chilometri, approdando ad un altro porto, quello di Taranto. Duecento chilometri di pianura assoluta, sempre nella pancia del gruppo. Un modo di pedalare che Marco temeva. Si viaggiava a quaranta-cinquanta all'ora risparmiando sulla fatica, ma in caso di caduta si moltiplicava il quoziente di danno. Bisognava fidarsi. Si correva alla cieca, senza punti di riferimento in avanti, a parte le ruote dei colleghi. Però era bello, quando il gruppo sonnecchiava, ascoltare il canto dei cuscinetti a sfera, un frinire di cicale in amore, nascoste in quella prateria di carbonio.
Marco si lasciava trasportare dal gregge e intanto pensava al messicano Moies Aldape, a sorpresa ben messo in classifica generale. Era un buon velocista ma senza speranze in salita. Avrebbe potuto lasciare a lui la maglia, con l'abbuono avrebbe potuto superarlo in classifica. Tramite microfono e auricolare scambiò due parole con il suo direttore sportivo. Ci fu una caduta ma dietro di lui, coinvolti non più di una decina di corridori.
Dove i colli calabri venivano inghiottiti dalla piana di Sibari, partì una fuga e Moies Aldape era nel drappello. Marco non se l'aspettava, era impreparato alla sofferenza di una rincorsa. Un cenno e partirono all'inseguimento un paio della Toshibas. Aldape fu ripreso, scatti e controscatti ma infine il grosso del gruppo vide, unito, le alte gru del porto di Trapani.
Vinse Nocini, secondo il polacco Mienec, terzo il danese Hotger. Marchi conservò la Maglia Rosa.

***

Beatrice era sola nella casa che s'affacciava sul piccolo golfo di Laveno. 
Uscì sul terrazzo, prese una sedia a sdraio, regolò lo schienale, aveva il sole centrato sul volto. Prima di sedersi per meglio appropriarsi del tramonto, s'appoggiò alla ringhiera e guardò il lago. Amava quella villa non sua perché le regalava il medesimo panorama che gustava dal suo balcone, a Bardolino. Due laghi differenti e simili.
Marco era mille chilometri più a sud, in tre settimane sarebbe risalito sino a lei. Oggi l'acqua li aveva avvicinati: il mare del golfo di Taranto, l'acqua dolce e quieta del lago Maggiore.
Si sdraiò. Chiuse gli occhi. Il sole filtrava dalle palpebre dando sfumature rossastre al buio.
Cosa le mancava? C’erano i soldi e un'impressione di meta raggiunta. Un figlio? A giorni sì a giorni no; non era comunque argomento permesso nelle rare conversazione con suo marito. 
Riaprì gli occhi, vinse l'appannamento del ritorno alla luce, l'abbaglio la costrinse a mettere gli occhiali da sole. Da quel comodo punto di vedetta riusciva a leggere tutto il bello dell'acqua appena increspata, sguardo che raggiungeva, sulla riva opposta, Intra e Pallanza; occhi che volentieri risalivano la china verso il monte Cicogna, il pizzo Marona, sempre più in alto, sino allo Zeda, alla Laurasca, al Pedum anneriti dal controluce. Era una serata afosa, più d'agosto che di maggio, i colori smunti, non ritoccati dal vento. La brezza era piacevole, riservata. Come in fondo si giudicava lei: una ragazza appagata, che avrebbe potuto darsi più arie, modesta più per sua imposizione che per natura.
S'era accorta, via via che i successi nella professione di Marco si sommavano, che le attenzioni intorno alla loro famiglia potevano dare persino fastidio, che certe sue frasi erano state intese male dalla stampa. Pettegolezzi cafoni. Prezzo da pagare alla fama del marito.
I battelli s'incrociarono a metà lago: Laveno-Intra, Intra-Laveno. La loro scia incideva la pellicola dorata, regalata alle basse onde del Verbano dal sole al tramonto.
S’addormentò.
           

                                                                                                  7-continua                

                                                                





                                      





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