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Marco era stato invitato al vernissage di una mostra
dedicata al ciclismo. L’arrivo di una tappa del Giro d’Italia a Varese aveva
propiziato eventi di diversa natura, anche quell’esposizione di foto, dipinti e
sculture.
Lui era di Lazise, maritato a Bardolino, ma s’era spostato
con la moglie in casa di amici per studiare passo passo alcune salite, inserite
nella penultima tappa del Giro. Alla mostra era andato volentieri, in giacca e
cravatta, per dimostrare che i ciclisti di mestiere non erano tutti del tipo
‘Mamma, ciao, sono arrivato uno’.
Marco non era pratico né di fotografie né di quadri né di
sculture ma aveva pensato che si poteva anche stare zitti, caso mai non
sbilanciarsi e dire proprio due parole, se richieste. Entrarono: le attenzioni
andarono subito, come un punteruolo, su di lui, il campione atteso al varco.
Applausi, strette di mano, foto, presentazioni, discorsi.
“In questa fotografia di Fausto Coppi, il campionissimo”
disse ad un certo punto uno dei relatori, un critico che non si sarebbe detto
un critico perché era alto, magro, bello, capelli brizzolati e non calvo, senza
occhiali spessi due dita e senza barbetta caprina, “l’autore ha colto la
straordinaria bellezza della posizione di un ciclista, in cima ai pedali,
aggrappato al manubrio, in salita, un arco superiore, la schiena incurvata
dell’atleta, che va a congiungersi con l’arco inferiore delle ruote….quasi un
cerchio…la magrezza delle gambe, dei muscoli tesi e la magrezza del
metallo….una bellezza erotica.”
Marco ebbe paura che chiedessero un suo parere, ma agli organizzatori bastò la sua presenza.
3-continua
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