undici
Marco
Marchi scendeva dal Passo Sella verso Canazei, dopo aver saltato la gobba che
separa la Val Gardena dalla Val di Fassa. Faceva freddo. Un freddo
insopportabile, feroce. Sopra di lui un cielo duro e grigio come marmo; dal
fondovalle saliva la nebbia. Pioggia sottile, aghi gelati capaci di penetrare
il giubbino impermeabile. Le migliori fibre si sbriciolavano contro il fiato
pesante delle Dolomiti. Di fronte a lui la Marmolada, neve e nebbia. Alla sua
destra le sommità del Sassolungo, del Sassopiatto e delle Cinque Dita pungevano
nuvole che si andavano dilatando. Alla sinistra e alle spalle il massiccio del
Sella, massa incombente. Non poteva distrarsi, ma lesse un cartello di legno,
che indicava la Val Lasties.
“Gesù Madonna” disse Audisio, suo compagno di squadra.
“Dio bono…e siamo all’inizio” disse lui.
“Come va?”
“Di merda.”
Marco chiamò l’ammiraglia, si fece dare altro da coprirsi,
cercò di mettersi sopra qualcosa ma sentiva che il freddo, ormai, era dentro.
Solo la salita avrebbe potuto scaldarlo. Solo il sole, che per quel giorno non
era previsto. Davano piuttosto neve, su al Fedaja e al Giau.
Cercava di ripararsi stando dietro ai suoi uomini,
appiattendosi, fasciando la bici, abbracciandola ma quel metallo era freddo.
Il casco, gli occhiali ma l’aria dei sessanta all’ora
trapassava ogni protezione. E più adagio non si poteva andare. Nonostante la
pioggia. Nonostante il freddo. Nonostante un paio di cadute, appena dopo la
sommità del passo.
Marco cominciò a tremare, e c’era anche paura lì in mezzo,
la paura di cadere e farsi male sul serio, e la paura di non poterlo vincere
quel Giro.
Frenò andando incontro ad un nuovo tornante. La ruota
posteriore derapò, restò in sella ma il cuore diede una botta forte. Si pulì
gli occhiali, strinse le corna del manubrio quasi a strozzarla quella paura, ad
aggrapparsi ad un sostegno rassicurante.
Canazei era ancora lontana. Anche raggiunta non sarebbe
arrivato l’albergo ma altre salite e discese e salite e discese per tutto il
giorno. Come tirare sera senza mollare?
Il traguardo di Bolzano gli parve irraggiungibile.
Ora un lungo rettilineo, la velocità si impennava, non
bisognava farsi staccare. Il vento lo prendeva a schiaffi senza riguardo.
Frenò di nuovo, partendo da lontano. La pioggia in aumento
girava come una fontanella sulla ruota, gli solcava il viso e il culo.
“Mestiere da derelitti!” Era Gentiloni, della Niker.
Marco avrebbe voluto piangere. Zacchei rideva, nonostante
tutto: uno che avrebbe riso all’inferno, fatto divertire Belzebù.
Un
piccolo lago, alberghi e il bosco più fitto. Ai tornanti cartelli indicavano
l’altitudine: millesettecentotrenta metri sopra il livello del mare. Nessuno
s’era permesso di scattare, neppure gli avventurieri alla caccia di qualche
ripresa televisiva. Avevano tutti freddo lì in mezzo. Quando potevano,
s’avvicinavano per scaldarsi. Ma nel gruppo allungato, biscia colorata a picco
su Canazei, scoppiavano soprattutto imprecazioni, battute e, non dette,
ricerche di un senso a tutta quella sofferenza fra i monti.
***
Marco aveva chiamato Beatrice, come al solito, prima della
partenza della tappa. Tappone di montagna, partenza da Ortisei, un’infinità di
passi da valicare. Le aveva comunicato che il tempo era orribile, che sarebbe
stata una giornataccia ma che l’umore era buono, si sentiva in forma, avrebbe
retto alla fatica, avrebbe forse sfilato la Maglia Rosa a Togni.
Suo marito era stato rassicurante, o almeno così aveva
inteso lei: freddo sì, pioggia sì, ma era nel conto di un mestiere che non
capiva, ma che considerava alla fine ben pagato, per tutto quel sudore.
Beatrice aveva in testa altro quel mezzogiorno. S’era fatta
prestare uno scooter, non ci saliva dai suoi sedici anni.
Laveno s’abbronzava al sole di maggio, già estivo. Il lago
pareva una cartolina dalla Sardegna, acqua increspata e pulita ma solo
all’apparenza, perché recenti analisi della Goletta dei laghi avevano negato la
balneabilità proprio ad alcune spiagge del lavenese. Fregandosene dei responsi
degli ambientalisti, aveva preso verso sud, sino a Santa Caterina del Sasso.
Guidava adagio, per ricordarsi emozioni di una decina d’anni
prima. Poi dava gas e allora l’aria si rinfrescava, quasi fredda, mai
fastidiosa. Piacevole come una carezza.
Aveva lui nella testa. E lui ingigantiva, schiacciando paure
e rimorsi. Non aveva fatto nulla al marito. Non l’aveva tradito. Per il
momento. E nulla avrebbe fatto, forse, però quel forse se lo teneva, guidando
sui confini del lago.
Passò la spiaggia di Reno, salita, discesa e lo sperone, nel
quale avevano incastonato come una pietra dura l’abbazia dedicata a Santa
Caterina del Sasso.
Fermando lo scooter al posteggio s’accorse che faceva
caldo. Sfilò il maglione, ripose il casco nel portaoggetti, rimise gli occhiali
da sole e decise che ci sarebbe stato il tempo di farsi tutta la scalinata. Né
era intimorita dal ritorno, centinaia di gradini contro la forza di gravità.
Arrivò in basso, entrò nel porticato che conduceva alla
chiesa. S’affacciò sul lago. Vele bianche sfidavano onde degne di rispetto; di
fronte le isole, la sponda piemontese, Stresa, Verbania, il braccio che
s’infilava verso Gravellona Toce, le montagne in crescendo sino ai ghiacci
delle Alpi. Aveva fatto molta neve quell’inverno.
Il
portone della chiesa era bloccato. Beatrice non ci rimase male, non aveva
voglia di pregare, solo un po’ d’ombra perché il sole alto e la scalinata in
discesa le avevano messo sete. Si sentiva sudata, impresentabile. Pensò ai
gradini da ripercorrere in senso inverso come ad una scocciatura. Avrebbe
dovuto pensarci bene, prima di lasciarsi scivolare dall’alto al basso, verso le
acque del Verbano. Non era una sportiva, ma da lì a Reno di Leggiuno ci sarebbe
stato il tempo di mettersi un po’ in ordine.
***
“Gentili
telespettatori, oggi potrebbe anche decidersi il Giro d’Italia. Tu che ne
pensi, Paride?”
“Anzitutto un saluto anche da parte mia al pubblico
televisivo, che ancora una volta, letti i dati auditel, nella tappa di ieri con
arrivo a Ortisei è rimasto per ore incollato davanti al teleschermo.”
”E oggi abbiamo ragione di credere che sarà lo stesso, perché con oggi iniziano tre giorni pazzeschi.”
”E oggi abbiamo ragione di credere che sarà lo stesso, perché con oggi iniziano tre giorni pazzeschi.”
“Al termine dei quali si saprà chi potrà vestire
definitivamente la Maglia Rosa.”
“Con pieno merito, perché solo un campione di razza può
reggere a queste tre tappe infernali.”
“Intanto oggi si comincia con una giornata di quelle che
hanno fatto la storia del ciclismo, reso eroi atleti ammirati da tutto il mondo
degli appassionati di questo sport.”
“E sì, oggi danno persino neve, al Passo Giau, al Pordoi.”
“Qui al traguardo di Bolzano
tira vento e scende un’acqua di ghiaccio. Freddo intenso, anche se non nuovo
per i tapponi dolomitici, che hanno contrassegnato le vicende dei Giri
d’Italia.”
“Ecco una notizia d’agenzia…la leggo così come mi è
arrivata…neve allo Stelvio, Cima Coppi di questa edizione del Giro. Quindi è in
forse il passaggio domani…c’è il rischio concreto di un ridimensionamento della
tappa.”
“Intanto ricordiamo ai telespettatori cosa attende i
corridori. Questi i passi dolomitici di oggi: Sella, Fedaja, passi che i
corridori hanno già valicato in questo momento della corsa. Ora stanno scalando
il Passo Giau…purtroppo non abbiamo immagini in diretta, gli elicotteri che
garantiscono il ponte non hanno potuto levarsi in volo, non resta che
accontentarsi delle notizie via radio…”
“Come ai vecchi tempi, caro
Paride. Dunque, stavi elencando le fatiche di oggi: Giau, e poi Falzarego,
Pordoi, picchiata di nuovo su Canazei, passo di Costalunga, che non è un gran
passo rispetto agli altri, ma arriverà al termine di una giornata da tregenda,
quindi la picchiata conclusiva per la Val d’Ega, con arrivo a Bolzano.”
“Oggi niente arrivo in salita, quindi forse la classifica
potrebbe risultare immutata, ci sarà il tempo di recuperare in discesa, e
ricordiamo che Togni, a differenza di Marchi, in discesa è una moto. Rischia,
qualcuno dice anche troppo, ma lui risponde che il rischio è la benzina del
ciclismo, come la sofferenza è il suo ossigeno.”
“Nemmeno il tempo di prendere fiato e domani ancora in
sella, per una seconda tappa di montagna, con la Cima Coppi al Passo dello
Stelvio, duemilasettecentosessanta metri sul livello del mare.”
“Dove, come già detto, in questo momento sta nevicando a
larghe falde. C’è chi mette in dubbio la regolarità della tappa di domani, ma
le previsioni meteo fanno ben sperare. La perturbazione che oggi rende la vita
difficile ai corridori, domani sarà nella ex Jugoslavia, e da ovest è previsto
sereno.”
“Non possiamo che augurarlo ai campioni che domani avranno,
dopo la partenza da Bolzano, il passaggio a Merano, subito
salita lieve, svolta a sinistra a Prato allo Stelvio e poi via, verso la
Cima Coppi. Previsto un traguardo
volante a Trafoi, il paese del grande sciatore Gustav Thoeni.”
“Stelvio, picchiata su Bormio, l’alta Valtellina e poi di
nuovo svolta a sinistra, questa volta verso il Mortirolo.”
“Che non sarà lo Stelvio in quanto ad altitudine, ma non ha
nulla da invidiargli in quanto a difficoltà.”
“Discesa in Val Camonica e arrivo in salita all’Aprica, un
arrivo che spesso ha visto concludersi tappe del Giro d’Italia.”
“Infine dopodomani. Potrebbe essere considerata una tappa di
trasferimento, quella che dall’Aprica condurrà i girini a Varese. Se non fosse
che a pochi chilometri dall’arrivo gli organizzatori hanno voluto rendere la
vita difficile ai corridori, con la doppia ascesa del Cuvignone e con l’arrivo
in salita al Campo dei Fiori.”
“Ci comunicano che gli elicotteri si sono alzati,
approfittando di un buco fra le nuvole…dovrebbero vedersi le prime immagini,
probabilmente a metà del passo Giau…ecco, sì, quella è la testa del gruppo, un
gruppetto di una decina di uomini…ma si fa una gran fatica a distinguere le
maglie, le immagini ci giungono in bianco e nero…”
Sullo schermo apparvero ombre sbiadite di uomini che
pedalavano nella nebbia. La sequenza resse pochi istanti, poi il collegamento
venne nuovamente interrotto.
***
Beatrice aveva ripercorso a ritroso la scalinata con
leggerezza. Non pensava ai gradini, ai passi in successione, non sentiva la
fatica. Distratta da lui, che la attendeva verso le quattordici sulla spiaggia
di Reno.
“Se è bello vengo in moto” le aveva detto. Bello era bello,
e certo si sarebbe sorpreso di trovarsela in scooter.
Ce
l’aveva nel petto eppure lo teneva a bada. Perché, superato l’inizio, quando
stava per annegare nell’emozione, le cose procedevano sotto il suo controllo. Ogni tappa era
preparata. Con il crescere del rapporto, saliva un muro fra la sua vita di
moglie e quella nuova di amante non ancora compromessa. Un muro che le
permetteva di reggere i due ruoli. Quella bugia non era così grave da darle
sensi di colpa. A lui il compito di interpretare una donna indecifrabile.
Ci mise poco a raggiungere la periferia di Reno. Era in anticipo.
Pensò di fermarsi in un bar, mezzo chilometro non di più da una delle spiagge
più frequentate di tutto il lago.
Nel bar la tele era accesa, gracchiavano notizie di un
telegiornale. Beatrice ordinò un’aranciata amara, non fredda. Si sedette a un tavolino
e finse di seguire le notizie dal video ma pensava all’ora che
s’approssimava.
“Perché non metti sul Giro?” disse uno che stava seduto
vicino al flipper, rivolgendosi al gestore del locale.
“C’è già il collegamento?” fece l’altro.
“Ma non sai che tappa c’è oggi?”
“Te ghè resùn...Dolomiti…”
“Tanto se lo porta a casa il Marchi il Giro…sabato sono su
al Cuvignone…”
“Io vado al Campo dei Fiori.”
Arrivarono le immagini in diretta dalle Dolomiti.
“Fischia, che tempo da lupi” disse uno dei presenti. “Mi sbaglio
o sta nevicando?”
“Se stai zitto, magari sentiamo…”
Beatrice chiese scusa e uscì dal bar.
L’ansia la stava opprimendo.
Lo chiamò al cellulare. Concordarono di trovarsi da un’altra
parte.
***
Al passo di Costalunga, ultima asperità di quella giornata
d’inferno, le nubi sfioravano la sommità delle creste del Catinaccio. Si
stavano alzando, non pioveva più, chiazze di sereno macchiavano l’orizzonte
verso ovest, ogni tanto raggi di sole bucavano la coltre e scaldavano l’aria.
Solo scintille perché i buchi presto si tappavano, tornava il vento e il freddo
impossibile.
Marco concentrava ogni sforzo per evitare di pensare al
giorno dopo. Restava lo scollinamento e il budello della Val d’Ega, con
l’arrivo a Bolzano.
Aveva
dentro un freddo vorace, le salite erano finite, forse si sarebbe scaldato un
po’ nei lunghi rettilinei a pochi chilometri dal traguardo, ma intanto restava
tutta quella discesa. Da un tifoso a bordostrada ebbe La Gazzetta dello
Sport da infilarsi sotto la maglia, ma era carta velina.
Dall’ammiraglia gli allungarono una mantellina. Cercò di
infilarsela ma non poteva permettersi di farlo con calma. Togni era una furia
in discesa, Marchi aveva penato a non farsi staccare lungo tutti i tornanti
precedenti. Forse il bergamasco aveva in animo di braccarlo ancora, di ferirlo
proprio in quell’ultima pendenza. Tutti gli uomini di classifica erano insieme,
in quel gruppo, forte di una trentina di atleti sfiniti, irriconoscibili.
Nikanov, suo gregario, cercò di dargli una mano ma quella
manica non entrava. Quindi la scelta: fermarsi per infilarsela con calma,
togliersela del tutto e morire di freddo, fermarsi col rischio che l’altro
partisse a tutta, tenersela su a metà, scomoda, col rischio di cadere; scelse
la sosta, ci avrebbe messo pochi secondi, sarebbe rientrato subito, Togni non
sarebbe stato così bastardo. Quella sua Maglia Rosa avrebbe perso ogni dignità.
E perché? Altre volte non era forse successo che un ciclista carogna aveva
approfittato per partire? E lui che avrebbe fatto, al posto di Togni? Aveva la
coscienza a posto?
Si fermò, le mani erano insensibili, tremava, provò a
sbatterle l’una contro l’altra, a sfregarle, subito sentì la frenata
dell’ammiraglia della Toshibas Bike, il direttore sportivo allarmato che
sacramentava.
“Ma che stai facendo?”
“La mantella…dammi una mano…presto, presto…”
Per farlo ripartire più alla svelta, uno dello staff lo
spinse verso valle, facendo pressione sulle sue natiche, dure come un’incudine.
Passò dal lago di Carezza, e subito dopo Togni era già ripreso.
Era stato un signore.
Marco mise in bocca qualcosa, barrette e liquidi, ogni
sostanza lo nauseava, aveva la bocca infiammata, non poteva dire d’aver sete
eppure soffriva.
Il gruppetto era una freccia lanciata velocissima in
direzione di Bolzano. Passarono a tutta una galleria malamente illuminata.
Alla loro sinistra un guard-rail poco affidabile,
rocce, boschi e, al limitare inferiore di quella vallata stretta, il torrente Betaler
ruminava sassi e schiuma.
Pochi i tornanti ma la strada era stretta, il fondo bagnato
con qualche chiazza d’asciutto, segno che la temperatura era in rialzo.
Marco prese fiato: Beppe Togni non dava l’idea di voler
scattare ancora, dopo che l’aveva fatto per tutta la giornata, e dopo che anche
lui ci aveva provato sul Giau e sul Pordoi. Del resto spettava a Marchi l’ònere
della prova, toccava a lui sfilargli di dosso la Maglia Rosa, che l’altro si
teneva bene abbottonata.
Prese fiato anche perché vedeva azzurro all’uscita della Val
d’Ega. Ci sarebbe stato il sole, domani, lungo le rampe dello Stelvio e del
Mortirolo.
***
Arrivata di nuovo alla deviazione per Santa Caterina del
Sasso, Beatrice fermò lo scooter. Non riusciva a scacciare dagli occhi
le immagine televisive del Giro d’Italia. Cercò una zona in ombra. Il sole la
infastidiva.
Pensò alla fatica di Marco. Gli buttava addosso altro fango?
Lo chiamò di nuovo al cellulare: “Non me la sento…facciamo
domani…”
“Ma che hai?”
“Niente…vedo l’arrivo della tappa…”
“Non capisco…prima prometti….”
“Se non capisci sono affari tuoi…se ti va bene, domani…”
“E adesso t’arrabbi…”
“Scusa, facciamo domani, non cambia nulla…ti richiamo
stasera…”
Ci mise poco a rientrare in casa. Entrò e accese la tele
prima ancora di togliersi il casco. Si sedette. Sintonizzò su Rai Tre. Posò il
casco, le chiavi e gli occhiali da sole sopra il tavolino con il piano di
cristallo. Alzò il volume. Il gruppetto dei fuggitivi era all’ultimo
chilometro. Né Marco né i migliori stavano lì. I telecronisti le fecero sapere
che non era in pericolo né la Maglia Rosa né il secondo posto di Marco Marchi,
della Toshibas.
Altre immagini; questa volta lo vide, un’ombra a ruota di
Togni. Ebbe la tentazione di chiamarlo per la terza volta, di annullare tutto.
Si trattenne, vide l’arrivo, sospirò.
Attese lo spazio delle interviste, si versò una bibita
fresca.
Nel ristoro della bevuta, risentì la piacevolezza delle ore
trascorse con lui. Non stava facendo nulla di male. A Marco cosa rubava?
Intervistato dal cronista Rai, Marco aveva detto: “E’ stata
dura. Domani non sarà da meno, speriamo nel sole, oggi il freddo ci ha preso
alla gola.” E l’altro: “Attaccherà sullo Stelvio o sul Mortirolo?” E Marco:
“Saranno le gambe a comandare.”
Beatrice girava per casa scalza, inquieta. Andò in cucina ma
non aveva voglia di pensare alla cena.
Suonò il telefono. Era lui.
“Ciao…stai meglio?”
“Ciao, perché hai chiamato qui?”
“Non sei sola?”
“Sì.” Pausa. “Che vuoi? Ti avrei chiamato io. Più tardi.”
“Non ho resistito.”
Beatrice sentì una vampata sul viso.
“Voglio vederti…adesso…” Silenzio. “Mi ascolti?”
Beatrice era nel panico.
“Ti amo…dobbiamo decidere…devi decidere…Io la mia scelta
l’ho già fatta.”
11-continua
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