dieci
Quando
Marco Marchi svoltò a destra, lasciando la valle dell'Isarco e affiancando il
rio Gardena, a Ponte Gardena, sentì che l'ansia dilagava, rendendo vani i
tentativi di stare tranquillo. Tutti quei chilometri, dalla partenza di Verona,
a ripetersi come una fissa che stava bene, che avrebbe retto sino ad Ortisei,
che la salita finale sarebbe stata dura ma anche gli altri cominciavano ad
essere intossicati dalla fatica. Lo stesso Togni non era più quello di Atri.
Maglia Rosa, ancora Maglia Rosa da quella volta, ma lui qualcosa aveva
recuperato, già ai Prati di Tivo, anche se quasi nevicava su al Gran Sasso,
quel quindici maggio di gelo. Aveva preso fiato nella Gran Sasso-Roma e nella
Roma-Arezzo, cercato di recuperare un po' anche nella Arezzo-La Spezia.
La giornata di riposo del diciassette
maggio gli era parsa poco benefica. Era partito per la cronometro di La Spezia
da favorito, con l'impellenza di rosicchiare secondi a Togni e agli altri che
lo precedevano in classifica. Ma era depresso. Anzitutto le ferite della caduta
di Manfredonia; le cicatrici sanguinavano soprattutto nel cervello, e poi la
vista, un occhio destro ancora annebbiato; le abrasioni s'erano seccate al sole
dell'Italia centrale, ma stava male dentro. Poi la tappa a cronometro era
guarita da sé, lungo il tracciato, e Marchi aveva vinto, portando via anche più
del previsto a Beppe Togni, a Casavola, al messicano che tutti davano pieno di doping
come una calza. Qualche rischio lo aveva corso nella decima tappa, La
Spezia-Parma, ma i suoi compagni di squadra erano stati fantastici. Una gran
stanchezza, poi, nella Parma-Verona, ma aveva occupato lo stesso la sua zona
d'ombra fra i primi, sperando che a star lì avanti, respirando l'aria della
testa del gruppo, faticando molto ma mostrando gli occhi freschi e il viso
disteso, la sua convinzione si sarebbe ripresa. E che aveva fatto per tutte
quelle ore, da Verona verso le dolomiti, se non ripetersi come un'ossessione
che il Giro sarebbe stato suo, che quella corsa doveva vincerla, anche a costo
di crepare? E costeggiando l'Isarco anche a quello aveva pensato, quando lo
sforzo lo invadeva come un nemico: buttarsi là sotto, basta con quel mestiere
impossibile. Ed eccolo adesso, alla svolta di Ponte Gardena, tredici chilometri
sino ad Ortisei-St.Ulrich tutti in salita. Avrebbe mantenuto la quinta
posizione nella generale? Primo Beppe Togni, poi il messicano Aldape a uno e
ventitré, terzo Casavola a uno e trenta, quarto Javier Saienz a uno e trentuno
e quinto lui, a uno e quarantacinque. Quell'ansia che gli faceva bruciare il
petto nessuno doveva vederla.
Risalì il gruppo. Davanti a lui i suoi tre
gregari per le montagne: il russo Dimitri Nikanov davanti, Luigi Zacchei e
Gabriele Audisio.
Togni lo affiancò, non si voltò, lo superò
andando davanti al russo. Non s'era voltato ma anche a indagarlo così, di
profilo, gli era parso per nulla in affanno; tirava agile un sedici, e lui
faticava con un diciotto. Intanto la salita, senza impennate, aumentava i gradi
di pendenza. Togni: la sera prima, gli aveva lanciato una frecciata cattiva.
Che aveva trovato, come risposta bergamasca, una bestemmia e un "Taci,
gardesano di merda!" Se esisteva qualcosa di più ostile dell'odio, quello
era il nome del loro rapporto.
In quei primi otto chilometri, sino a San
Pietro, partirono a turno Casavola, Aldape e il lettone Belok, ma il treno di
Marchi aveva sempre riportato sotto il capitano. Luigi Zacchei pagò quelle
rincorse. "Sono cotto" confessò a Marco, rese più agile la sua
pedalata e si lasciò ingoiare da chi seguiva i protagonisti, una ventina in
tutto i ciclisti nel ridotto gruppo di testa. Ora Marchi aveva un gregario in
meno, a San Pietro, cinque chilometri dall'arrivo di Ortisei, quando la
pendenza s'ingrugniva e gli scatti sarebbero stati cattivi. E lui faticava a
tenere la ruota di Gabriele. Una fuga a quel punto...Ma anche ammesso di
arrivare coi primi al traguardo, come sopportare le tre tappe di salita, una
dietro l'altra, senza riposo, in calendario dopo quella?
Gabriele
lo affiancò, uno sguardo come a dirgli 'Come va?', Marco simulò uno stato
decente, Audisio superò l'altro gregario Nikanov e si portò davanti. 'Gesù
Santo, non ce la faccio...' e non riusciva a capire come avrebbe fatto a
sopportare una sofferenza maggiore. Poi qualcosa scoppiò dentro di lui, a
dirgli di varcare la linea di confine di un atto sensato. Chiese a se stesso un
sacrificio superiore: senza domandarsi il perché, se valesse la pena, se avesse
un senso, se i soldi meritassero tanto. Pur di crepare, come Tony Simpson sul
Mont Ventoux al Tour del 1967, ma avrebbe sofferto sino a farsi spappolare il
cuore.
Era a tre spanne dalla ruota del russo
Nikanov, risalì sino allo sfioro dei copertoncini. Quattro chilometri al
traguardo. I tifosi cominciavano a farsi sotto, riducendo la sede stradale.
Marchi ebbe l'idea che in quella parte d'Italia, un po' troppo austriaca,
tifassero soprattutto per la Maglia Rosa, qualcuno per lui ma il tifo esagerato
e le scritte sull'asfalto erano per Emil Insam, enfant de pais, di Santa
Cristina; correva in casa, fra le sue montagne, e stava lì davanti contro ogni
previsione, spintonato verso Ortisei dal vento delle urla dei suoi fans.
Proprio Insam tentò la fuga, a tre chilometri. L'altoatesino guadagnò una
decina di metri, Togni fu il primo a reagire, seguito dal messicano Aldape, da
Casavola.
Gabriele
Audisio riuscì a non farsi scappare il vento buono della ruota di Casavola, il
russo davanti a Marchi aveva perso brillantezza, Marco capì che anche un
secondo senza reagire sarebbe stato di troppo. Superò Nikanov, respirando come
un asmatico si riportò su Gabriele.
Dallo Sciliar, dall'Alpe di Siusi, dalla
Val Gardena soffiavano verso i corridori alitate di vento caldo. Marchi ormai
non stava quasi mai seduto. In posizione Pantani, con il culo che ondeggiava su
e giù nella danza della fatica e le mani strette nella parte bassa del
manubrio, come un toro con le banderillas nella carne, Marchi seguiva la
ruota di Audisio. Non era più il tempo di bere, di pisciare, di far calcoli, di
parlare via radio con il team manager. Fatica allo stato puro, rabbiosa,
disperata. Sotto lo striscione dei due chilometri, quando la folla si faceva
invadente, con le moto troppo vicine, la vista sempre più annebbiata
(scaraventò gli occhiali da sole sull'asfalto), Marco intuì che Gabriele non
reggeva più la ruota di Casavola, un metro, due, tre. Cotto anche lui. Restava
solo. Come è solo il capitano, che ostinatamente non vuole abbandonare la nave
succhiata dal mare. Era il tempo di tirar fuori le palle.
Se Marchi, a quel punto, avesse pensato
alle tre tappe che lo attendevano da lì alla fine del Giro, non ce l'avrebbe
fatta a continuare. Ma la fatica almeno questo regalava: la dimenticanza.
Superò Gabriele e riuscì a raggiungere Casavola. Qualche metro più innanzi
intuì la sagoma di Aldape. Più avanti ancora erano in due, la Maglia Rosa e
l'altoatesino, esaltato dall'impresa di giornata.
***
“Eccoci sotto lo striscione dell'ultimo
chilometro, gentili telespettatori. In pochi metri ci sono tutti i migliori. E
resiste anche Emil Insam, della Niker. E' lui che passa per primo ai mille
metri, con a ruota la Maglia Rosa Giuseppe Togni detto Beppe. A tre secondi
Moies Aldape...Sette secondi, questo il distacco dell'altra coppia, Giacomo
Casavola della Landre-Didal e Marco Marchi della Toshibas Bike. Più indietro
Audisio e il russo Nikanov. Siamo agli ottocento metri...”
“Ultimi ottocento metri e tutte le carte
sono ancora coperte. In teoria, se Casavola riesce a raggiungere i due di
testa, è il più veloce in volata, ma in un arrivo in salita tutto è possibile.
Nessuna teoria vale più. E poi Togni vorrà i secondi dell'abbuono.”
“Certo non farà vincere Insam, il gardenese
che corre fra la sua gente...”
“Non può permetterselo...ecco, scatta
Togni”
“Ai
trecento metri è partita la Maglia Rosa...Emil Insam non ce la fa, non ha le
gambe per stargli dietro, ma arriva Aldape...al suo traino Casavola e
Marchi..finale stupendo, al cardiopalma...Primo Togni, Insam è risucchiato da
Aldape, ripreso anche da Casavola e Marchi...Togni mantiene qualche metro...ai
cento metri è sempre primo ma i tre sono in rimonta, Casavola, Casavola...sa di
poter sfruttare un miglior spunto in volata, il messicano non reagisce, Insam è
battuto, Marchi tiene la ruota del capitano della Landre-Didal...”
“Lo riprendono, lo prendono...”
“Casavola è su Togni, Marchi è lì anche
lui...Casavola, Casavola, Marchi, Casavola, Marchi, se la giocano spalla a
spalla...Casavola, Marchi, Marchi, Marchi...vittoria di Marchi, mezza ruota su
Casavola...vittoria stupenda del capitano della Toshibas.”
“Marchi, ancora lui, dopo la crono di La
Spezia...”
“Marco Marchi...il veronese meglio di così
non poteva inaugurare le tappe di salita, il trittico della fatica...del resto
è questo il suo terreno.”
“Sarà lui l'uomo da battere, anche se oltre
un minuto e trenta da recuperare sulla Maglia Rosa non sono uno scherzo.”
“Un Giro
apertissimo...appassionante...”
10-continua
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