sei
Il raggio di sole, un laser sputato dai
cieli di Calabria, rimbalzò sulla catena della bicicletta e gli ferì gli occhi.
La vista s'appannò. Marco Marchi, capitano della Toshibas Bike, virò
l'eccitazione della partenza in rabbia. Asciugò con il dorso della mano gli
occhi lacrimevoli. Ci vedeva doppio, triplo, macchie di nero, un abbaglio che
rischiava di compromettere il delicato momento dell'avvio: cronometro a
squadre, prima tappa del Giro d'Italia.
Calò la visiera del casco aerodinamico,
come un cavaliere la celata. Fece scattare il blocco dello scarpino sul pedale
destro. Tac, e tac si sentì alle sue spalle, ripetuto: i suoi
compagni di squadra, nove, avevano ripetuto il gesto del loro capitano. Strinse
ancora di una tacca il laccio del suo caschetto, si voltò, alzò il pugno verso
il cielo, poteva essere un saluto ma soprattutto un augurio di buona gara ai
colleghi di lavoro, strinse le mani sul manubrio.
Partì il conto alla rovescia: dieci, nove,
otto...lo starter alzò la mano destra, dita distese, poi piegò il
mignolo, l'anulare, il medio, l'indice, il pollice, e allora Marco inchiodò
anche il piede sinistro alla bici e pigiò sui pedali.
Dal lungomare di Cropani partiva il suo
Giro d'Italia. Marchi era tra i favoriti. Fuori dall'abitato, un paio di
chilometri più a nord, lasciò che i compagni lo superassero e sfilò in coda al
gruppetto, come pattuito. Una trentina i chilometri, sino a Crotone. Lì
avrebbero dovuto meritarsi il miglior tempo, o il secondo, peggio no perché
l'avevano accontentato potenziando la squadra, investendo denari nell'acquisto
di un paio di professionisti del pedale, abili soprattutto nelle crono. Sentì
sulla schiena anche il peso di quella responsabilità. Concentrato, non poteva
permettersi di gustare il panorama. Avrebbe perso poco, non tanto se guardava a
destra, dove lo Jonio blu cobalto farfugliava nella brezza di maggio, ma alla
sua sinistra. I colli piatti che salivano verso la Sila Piccola erano spelacchiati,
ulivi e poco più, tante zolle sterili, erba secca e le diverse tonalità della
terra calabra. I boschi ordinati della Sila erano lontani, le zolle alitavano
un fiato caldo, troppo caldo per essere maggio, e Marco veniva dal vento fresco
del lago di Garda.
Tenevano
i cinquanta di media, bocche spalancante per dare aria allo sforzo. Dalla coda
appuntita del casco di Marchi spuntava, come un codino, l’antenna della radio;
i gomiti erano appoggiati al manubrio, le mani, vicine, stringevano le corna,
appendici utilizzate per le bici da crono; pareva in preghiera, con le mani
giunte. Sul cannotto sotto il sellino brillava al sole una piccola bandiera
italiana. Le schiene e i culi dei dieci uomini della Toshibas ondeggiavano
all’unisono, come un mare appena mosso che correva verso il traguardo.
***
Partì
il collegamento televisivo, con la cronaca della prima tappa del Giro. I due
telecronisti Rai non lasciavano parlare mai il silenzio. Più che altro montava
la polemica sulla scelta di una crono a squadre, ad aprire il Giro d'Italia.
Era una consuetudine del Tour de France.
Beatrice
era in cucina, ospite nella bella villa dei suoi amici lavenesi. Sentì che la
formazione della Toshibas Bike era in testa alla crono. Corse in sala. Sul
lungomare di Crotone, della Toshibas arrivarono in otto, ma il tempo era preso
sul settimo.
"Miglior
tempo per la Toshibas Bike" commentò Paride, il commentatore tecnico,
telecronista ex professionista.
"Meglio non poteva
iniziare per Marco Marchi. Ha già rosicchiato venti secondi a Giuseppe Togni,
addirittura quarantadue a Giacomo Casavola" disse Mauro, il dipendente Rai
un po’ sovrappeso.
"Era previsto. La Toshibas oggi
raccoglie i frutti dell'investimento."
"Ma siamo all'inizio del Giro, caro
Paride."
"Certo, però chi bene inizia..."
e quel però venne fuori con la erre alla francese.
Marco Marchi finì con il microfono sotto il
mento.
Arrivò un messaggio al cellulare: Beatrice
aspettava quell’assenso più della voce affaticata del marito, più intrigante di
quel suo fiato lontano.
6 - continua
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