quattordici
Di
mano in mano che Beatrice s’avvicinava alla fontana dei Giardini di Palazzo
Estense, si convinceva che quell’uomo seduto sul bordo di pietra era lui.
Arrivato in anticipo.
Il sole, alto, saliva oltre le punte dei pini che coprivano
il colle di Villa Mirabello. La grande fontana era ai piedi della montagnola,
il forte getto d’acqua era sputato dalla pompa per molti metri; ricadeva come
pioggia leggera, allargandosi in uno zampillo che dilatava il suo diametro con
minuscole gocce di vapor d’acqua.
Eccolo: casco in mezzo ai piedi, s’era tolto la giacca di
pelle, camicia azzurra aperta sino a metà petto, maniche rimboccate, jeans,
scarpe da tennis.
Si sentiva impotente, finita dentro una storia non sua, che
seguiva da spettatrice. Ma era l’attrice.
Lui che certezze poteva offrile? Era davvero stata capace di
far impazzire un uomo o lui era solo indispettito verso una moglie incapace di
dargli un figlio?
Sceso dalla bicicletta Marco era un mediocre, ma lui chi
era? Cosa voleva, arrivato come un ladro dopo cinque anni di matrimonio?
Camminava lentamente per tenere al riparo le domande, ma
alla fine arrivò alla fontana.
“Ciao” e s’alzò, prendendo il casco fra le mani.
Era già un ciao di vittoria? Trattenne il suo, che uscì
malamente, con una vocina poco spontanea.
“Andiamo su a Villa Mirabello?”
“Va bene…” Era deciso, persino troppo. Un uomo, e lei si stava
comportando da ragazzina.
Si sedettero su una panchina, all’ombra, non lontani da una
piccola costruzione; pareva un trullo di Alberobello, era l’ingresso di un
rifugio antiaereo sotterraneo. I varesini di quelle parti correvano lì sotto
durante la Seconda Guerra Mondiale, quando i bombardieri americani impestavano
il cielo della città e sganciavano bombe.
A intervalli regolari un trenino sferragliava a
pochi metri dai lori piedi; i vagoncini erano occupati da un piccolo
viaggiatore soltanto, due, tre al massimo; era una mattina feriale.
“Ti amo…ti amo…” ripeteva, e le accarezzava i capelli
biondi, li pettinava dietro l’orecchio con le sue dita da pianista.
Beatrice non aveva parole adatte alle sue certezze.
“Sono sincero…fanne ciò che credi…”
“Isa?”
“Sospetta.”
***
“E qui comincia il bello”
disse Mauro a Paride e a milioni di telespettatori.
“Già” disse Paride. “Quando
superi Trafoi e ti vedi davanti tutti quei tornanti, quel muro da scalare, ti
passano i brividi per la schiena.”
“E tu, caro Paride, di brividi ne hai sentiti da queste
parti” disse Mauro.
“Lo Stelvio mi ha sempre fatto paura. Ci sono arrivato
quattro volte nei miei Giri d’Italia. Ti assicuro che ogni volta sono emozioni
diverse ma la fatica è sempre quella, enorme. Uno sforzo immane.”
“Io posso solo descrivere la fatica degli altri, quella che
ho letto sul volto degli atleti, stando comodamente seduto, bhè, neanche tanto
comodo, per la verità, sulle moto della Rai. Posso intuire…del resto questo è
uno sport per duri e non sono certo io il primo a scoprirlo. Ma facciamo il
nostro lavoro. Andatura turistica lungo la Val Venosta, anche a causa del forte
vento contrario e ora, un chilometro dopo Trafoi, il gruppo è ancora compatto.”
“Ricordiamo la situazione di classifica alla partenza da
Bolzano” disse Paride. “Maglia Rosa sulle spalle di Giuseppe Togni, del Team
Tortex, secondo Casavola a cinquantacinque secondi, terzo Marco Marchi della
Toshibas Bike a un primo e due secondi, quarto Javier Saienz a due minuti e
dieci secondi, quinto Moies Aldape a due e quindici.”
“Tutto è possibile” disse Mauro “ma restringerei la cerchia
dei papabili al trionfo di Milano ai primi tre: Togni, Casavola e Marchi.”
“E se pensiamo alle tante salite ancora in calendario, direi
solo Togni e Marchi.”
“In effetti Casavola regge ancora, grazie ad uno stato di
forma a dir poco strepitoso, se si pensa alle sue caratteristiche.”
“Certo, perché Casavola è un passista che si sta scoprendo
scalatore.”
“Mentre per Togni e Marchi nessuna
sorpresa. Come da pronostico, sono lì a giocarsi la maglia sino all’ultimo
chilometro.”
14-continua
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