IL
LIBRO
di carlozanzi
Sono
un libro di duecentotrentasei pagine. Un romanzo. Sono in piedi, compresso fra
altri libri, sopra lo scaffale di un’elegante libreria del centrocittà, una
cittadina né grande né piccola, fatta di uomini né troppo buoni né troppo
cattivi: una città come tante, nella media, senza eccessi. Ho centinaia di
fratelli gemelli sparsi sopra altre scaffalature di differenti librerie della
città, di alcuni paesi limitrofi ma i più stanno inscatolati, al buio, nel
magazzino dell’editore e nell’abitazione del mio autore. Il quale sostiene che
io sia un libro serio, pagine di una storia che ha a che vedere con
l’esistenza, che può determinarla, indirizzarla, un romanzo che fa pensare. E
penso abbia ragione. Non sono un libro fatto per rilassarsi, svagarsi,
eccitarsi in una storia di sesso, perdersi sulle vie della fantascienza; non
sono un giallo, non ci sono assassini da stanare, il lettore non deve attendersi
alcun lieto o triste finale perché la storia inventata dal mio papà non ha come
obiettivo invogliare ad andare avanti, intrigare dentro una trama avvincente, lasciare
con il fiato sospeso, ingolosire. Niente di tutto ciò. Il mio creatore vuole
aiutare l’uomo a vivere meglio, prendendo coscienza del suo ruolo, ponendosi le
domande che alla fine fanno la differenza. Fatto sta che qui sono solo, non
perché prima fossimo in tanti e poi gli altri sono stati acquistati, no, perché
il libraio uno ne ha voluto e uno c’è, sfilato di quando in quando dall’autore,
che arriva, mi accarezza, mi consulta, se ne va. Pur essendo un libro non capisco
nulla di libri, ma vedo il mio procreatore infelice. E sinceramente provo per
lui ciò che gli uomini chiamano malinconia.
So
quale sarà il mio destino, in caso di non acquisto: lo scatolone dell’editore e
infine il macero. Le mie parole ricercate, le mie frasi ben coordinate diventeranno
poltiglia. Certo, altra carta nascerà e altri romanzi verranno scritti, ma
guardate che io non puzzo: toccatemi, annusatemi. Amatemi.
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