Il mio amico Franco detto accaeffe sta vivendo un momento di sofferenza. Il dolore affina, rende più sensibili, più attenti. Franco regala spesso ai suoi amici riflessioni interessanti. Eccone una.
Γνῶθι σεαυτόν: conosci te stesso… anche attraverso gli altri. Pensando alla nostra società, l'antica visione della "Torre di Babele" mi viene in mente con grandissima forza: non abbiamo tanto un problema di "traduzione" da una lingua all'altra, quanto l'aggressione di messaggi molteplici e contraddittori, di così tante parole volutamente urlate a carpire il nostro consenso, senza curarsi di spiegare e di convincere, programmate solo a portarci "fuori di noi stessi". Torno alle semplici parole di scolastica memoria: Γνῶθι σεαυτόν (gnôthi seautón) conosci te stesso. Troppo semplice? Eccessivamente banale, qualunquistico? Un buon messaggio ci parla di incontro, ci aiuta a riflettere e a verificare nel discorrere con altri il nostro senso della vita, quella concezione e percezione profonda che -senza mai poter giungere a un momento finale- segna il nostro agire e il nostro destino. Proprio la disponibilità a incontrare gli altri ci aiuta a tenere in mano le redini della nostra vita. Un viaggio attraverso l’altro, o se vuoi attraverso la nostra vita, ci fa incontrare una umanità reale, concreta, fatta di singoli individui, che nel discorrere reciproco divengono persone. Ci aiutano nel divenire di quella persona che noi siamo. Un'affermazione e a una domanda. La prima per dire che un ideale di civiltà non può che passare attraverso la comprensione, reciprocamente condotta, tra persone, che è "incontrare". La seconda per chiedersi se saremo davvero capaci di conoscere noi stessi, di "incontrarci". HF
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