Diciotto
Matilde imboccò vicolo Canonichetta
a passo veloce. Davanti a lei, nessuno. Sulla sinistra notò, seduto, un
accattone, un volto rovinato non nuovo da quelle parti. Camminati una trentina
di passi nel vicolo, se si fosse girata, avrebbe riconosciuto la sua alunna
Sofia, insieme al giovane albanese. Camminavano mano nella mano, in silenzio.
Ma non s’era voltata. Ormai c’era: restava la fine del vicolo, piazzetta San
Lorenzo, piazza San Vittore, l’Arco Mera, infine corso Matteotti, sino al 45,
numero dell’ufficio dell’avvocato Angelo Caravati.
Intuì che qualcuno, alle spalle,
correva nella sua direzione. Si girò. Riconobbe Giulio, affannato, a pochi
metri da lei. Non ebbe il tempo di dire nulla.
"Ti devo parlare" e le
afferrò la mano.
L’uomo aveva preso per vicolo
Canonichetta ma avrebbe potuto scegliere altre strade per arrivare allo studio
dell'avvocato. Almeno tre le alternative. Quando l'aveva riconosciuta s’era
messo a correre.
Matilde non capiva. "E il
lavoro?"
"Ti spiego...andiamo."
“Dove?”
“Ai giardini.”
***
La prima
cosa che Sofia si domandò, imboccando vicolo Canonichetta insieme ad Altin,
riguardava il poveretto, che sedeva, schiena contro il muro. a mendicare: era
un albanese anche lui? Ma fu subito distratta dalla donna che li precedeva. Ne
era quasi convinta.
"Secondo me quella è la mia
prof."
“Dici?”
“Forse. Dove andiamo?”
“Ai giardini?”
“Ai giardini” e la ragazza pensò
subito a Bingo. Ai tempi del loro amore, dei pubblici giardini di Palazzo
Estense sceglievano le prime panche: entravano dall’androne principale, qualche
metro a calpestare i sassi dell’aia nobile e subito a destra, uno spazio con
quattro panche e quattro aiuole ben curate. Non era zona di coppiette, che di
quei giardini preferivano ambienti più riservati, panchine solitarie, zone in
ombra, boschetti dalle parti di Villa Mirabello. Lì si sedevano soprattutto
anziani o giovani madri con bimbi che avevano da poco imparato a camminare.
Con Bingo era stata anche felice.
Mai quando diventava violento. Le aveva fatto scoprire il basket, il tifo,
l'emozione di quello sport; ma era stato proprio al termine di una partita di
pallacanestro che le aveva dimostrato per la prima volta la sua inaffidabilità.
S'era scazzottato con alcuni coetanei di opposta tifoseria. S'era fatto
spaccare il naso per un gioco. Era andato dietro agli altri come un automa,
urlando e sbracciando. E lei aveva preso paura. Al Palazzetto non aveva voluto
più mettere piede. Bingo aveva acquistato credito fra gli ultras, sempre
meno nel suo cuore.
Ma ora c'era Altin.
A questo pensava, e intanto seguiva
quella donna, raggiunta da un uomo; andavano più svelti di loro, era sempre più
difficile capire se fosse o non fosse la sua professoressa di lettere.
Forse anche loro erano diretti ai
Giardini Estensi.
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