martedì 5 novembre 2013

Il racconto del mercoledì




PREGHIERA DAVANTI A UNA CULLA
di carlozanzi

Sono in piedi, in una camera semibuia. Filtra la poca luce di una giornata carica di nuvole, che abbassano il cielo e schiacciano a terra. Davanti a me una carrozzina, un fasciatoio, altri oggetti da bimbo e una culla, vuota, con tutto ciò che occorre a una culla: materasso, lenzuolo, coperta, cuscino, in dimensioni ridotte, come si addice a una culla da neonato.
Guardo la culla e penso alla donna che sta soffrendo, alla madre che deve provare dolore per regalare la luce a una nuova creatura. Questa necessità di natura mi intristisce, il soffrire mi dà malumore: non lo considero adatto all’uomo. Nella penombra penso a questo soffrire che si prolunga e scaccio –con grande pena e fatica- il pensiero che da questo soffrire intenso possa nascere un dolore ancora più profondo, invincibile, disumano. Sono un uomo avanti negli anni che conosce –almeno per sentito dire- gli abissi di un patire possibile. Per questo, chiudendo gli occhi, annusando il profumo di culla, immaginando il profumo di chi lì sopra si stenderà, non potendo far altro, prego:
“Signore della vita, nel mistero di bellezza  e di male che ci avvolge come uno scialle gradito, che ci strozza come un cappio al collo, voglio assolverTi comunque, in partenza, già prima che tutto accada. Non posso fare altro. Non posso che immaginarTi Dio di bellezza, rifiuto ogni idea che Tu possa negare al dolore di un parto la gioia ineffabile di una vita che noi, mai troppo poeti, definiamo sana e senza difetti. So bene che non saprei difendere questa posizione, audace filosofia di vita, se dalle doglie non generasse un sorriso, se il pianto morisse in rabbia, delusione, paura; lo so, avrei solo rabbia, delusione, paura e conti in sospeso con Te, che già mi hai sorpreso, per promesse non mantenute. Ma Ti perdonai allora, Ti scagionai: saprei farlo ora? Saprai Tu, sì, proprio Tu, non voltarTi, parlo con te: saprai stare al mio fianco? Perdona il mio tono confidenziale ma, come sai, tra noi ci può stare: quante volte ne parliamo, io e Te, di questo senso che appare e scompare?
E ora basta, regalami solo il Tuo volto di padre, di nonno che mai farebbe del male a un figlio, a un nipote. Perché dovresti regalarci il dolore e, insieme, la Tua misericordia, la Tua compassione? Non voglio mistero, voglio il Signore della vita, ma della vita che piace a noi, che piange, certo, un pianto fa bene, ma più che altro che ride appagata, che cerca il latte e lo trova, che chiede amore e lo incontra, che vuol vedere e vede, scoprire e scopre perché ne ha i mezzi.
Perdona, Signore, le mie pretese. E sia come Tu vuoi, cioè come vorrei io.”
Sono in piedi, in una camera che si sta illuminando. Frammenti di sole hanno bruciato le nuvole e cadono, polvere di stella, sulla mia città, sul mio palazzo, filtrano fra i vetri, svolazzano vicino ad una carrozzina, a un fasciatoio, ad altri oggetti da bimbo e ad una culla: vuota, per ora. Questo improvviso chiarore mi giova. Attendo che il telefono porti un messaggio. E’ un’attesa che si prolunga da ore. Sono esausto, molto meno della donna che soffre. Sono un uomo avanti negli anni e il tempo, che corre, busserà alla mia porta.

Avrò il coraggio di aprire.     

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