BELLEZZA DI CARTONE
Era un pomeriggio d’aprile, cielo azzurro, nuvole
bianchissime sfilacciate, allungate, sfrangiate da un vento risoluto e tiepido.
Metà pomeriggio, una luce forte, gli ultimi petali dei fiori di alberi che non
conosceva volteggiavano prima di finire a terra per essere schiacciati con
noncuranza. Una bellezza maltrattata.
Stava andando dal medico per un dolore sospetto all’addome
ma era in anticipo e procedeva con passo da perditempo. Una zona mediana fra il
centro e la periferia, traffico a far rumore e impestare l’aria, a disturbare i
suoi pensieri senza rigidità di logica, pensieri sguinzagliati in libertà,
immagini che iniziavano e si perdevano, si diluivano in altre immagini, scatti
di intuizione che non completavano il percorso e morivano dentro ricordi di
episodi e ricerche del modo per stare meglio. Più che altro voleva scacciare
l’ansia del terrore che nel profondo del suo addome ci fosse un cancro. Il
vento strappava dal suolo cartacce, polvere, immondizia, agitava i rami, sollevava
capelli ma non dava fastidio. Una giornata d’aprile fatta per incasellarsi
nella primavera.
La vide da
lontano, un cartellone pubblicitario di grosse dimensioni, in bianco e nero, ai
piedi del quale stavano ritti tre giovani con una borsa sportiva appoggiata
alla spalla. Si avvicinò aumentando la lunghezza del passo. Dalla scritta della
borsa capì che si trattava di giovani promesse della squadra di calcio della
sua città.
La vide, si
fermò, esitò, attraversò la via dopo aver atteso che la coda di auto glielo
permettesse. Era la pubblicità di una marca di biancheria intima, lei era una
bellissima modella, enorme come quella parete di cartone che la reggeva
sdraiata. Si affiancò ai giovani, uno lo guardò, i tre dopo qualche istante se
ne andarono commentando. Non capì il senso delle loro parole. Restò solo,
ammaliato da una bellezza formidabile, inverosimile, disumana. Una beltà
angelica, che lo rapì facendolo scivolare dentro un’estasi gioiosa. E insieme
malinconica: era una stupenda donna di carta che non avrebbe mai potuto
accarezzare, baciare, abbracciare, possedere. Ma fra la disperazione e le
lusinghe della vista le seconde ebbero il sopravvento.
La guardò con
un’attenzione vorace e romantica: era distesa, in equilibrio sul fianco destro,
il braccio destro si perdeva oltre i margini del cartellone, il braccio
sinistro si allungava adagiato sul corpo, con la mano che cadeva dolcemente
sopra la coscia. Era vestita della sola biancheria intima, nera, reggiseno,
mutandine, lunghe calze scure con reggicalze. Ma delle gambe si vedeva solo
l’ultimo tratto della coscia, non le ginocchia né il resto. Seni né piccoli né
grandi, conformi al suo canone di bellezza. Una coincidenza che lo stupì. Ben
lontana dall’anoressia, la ragazza della pubblicità distava anni luce
dall’avere qualche chilo di troppo: le forme giuste, equilibrate, calibrate al
grammo. Era la sua donna ideale. Se avessero chiesto a lui i parametri e lo
avessero accontentato, non avrebbero ottenuto risultato migliore. E il
viso…..lunghi capelli mori che cadevano dietro le spalle, il volto leggermente
reclinato all’indietro che permetteva di gustare tutto il collo, i neri,
indecifrabili fori delle narici, basi di un naso alla francese, labbra
dischiuse. Sostò a lungo sulla bocca, la immaginò respirare, la vide respirare,
le labbra frementi, l’impercettibile apertura della bocca e il movimento del
torace, segni di vita. Gli occhi, scuri, lo fissavano; il gioco delle labbra e
degli occhi parlavano di un desiderio d’amore, di una voglia di abbraccio che
lui avrebbe potuto cogliere, abbandonandosi alla fantasia. E in quella fantasia
precipitò, annullando ogni altro pensiero.
La ammirava,
scivolava con la sguardo su di lei, immaginava le sensazioni che avrebbe potuto
regalargli quella ragazza di una bellezza impareggiabile, esaustiva, assoluta.
E davanti a quell’immagine si perse.
***
“Povero
cristo, che fine” disse il dottor Mario Portaluppi, medico di primo pelo, dopo
aver saputo che quell’uomo, ricoverato al Pronto Soccorso in codice di priorità
assoluta, era morto.
“Povero
cristo? Povero fesso” disse il più anziano dottor Giorgio Fogli. “Avevano
urlato che stava venendo giù il cartellone. Con quel vento. Dicono che pareva
in trance.”
“A me fa pena
lo stesso. Morire così….”
Il dottor
Giorgio Fogli trattenne un sorriso beffardo.
“Che c’è?”
disse il dottor Mario Portaluppi.
“Niente
niente..una stupidaggine.”
“Cioè?”
“M’è venuta
una battuta..non mi pare il caso.”
“Ora la
spari.”
“Sì, in fondo
non mi sembra irrispettosa verso il defunto.”
“Spiega.”
“Sai che
immagine c’era su quel cartellone?”
“No.”
“Un gran
pezzo di gnocca.”
“Ah..quindi?”
“Una
bellezza…travolgente.”
Il dottor
Portaluppi prese tempo, calibrò le parole. Disse: “Penosa!”
“Hai ragione”
ammise il collega.
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