mercoledì 13 marzo 2013

Il racconto del mercoledì





BELLEZZA DI CARTONE

Era un pomeriggio d’aprile, cielo azzurro, nuvole bianchissime sfilacciate, allungate, sfrangiate da un vento risoluto e tiepido. Metà pomeriggio, una luce forte, gli ultimi petali dei fiori di alberi che non conosceva volteggiavano prima di finire a terra per essere schiacciati con noncuranza. Una bellezza maltrattata.
Stava andando dal medico per un dolore sospetto all’addome ma era in anticipo e procedeva con passo da perditempo. Una zona mediana fra il centro e la periferia, traffico a far rumore e impestare l’aria, a disturbare i suoi pensieri senza rigidità di logica, pensieri sguinzagliati in libertà, immagini che iniziavano e si perdevano, si diluivano in altre immagini, scatti di intuizione che non completavano il percorso e morivano dentro ricordi di episodi e ricerche del modo per stare meglio. Più che altro voleva scacciare l’ansia del terrore che nel profondo del suo addome ci fosse un cancro. Il vento strappava dal suolo cartacce, polvere, immondizia, agitava i rami, sollevava capelli ma non dava fastidio. Una giornata d’aprile fatta per incasellarsi nella primavera.
La vide da lontano, un cartellone pubblicitario di grosse dimensioni, in bianco e nero, ai piedi del quale stavano ritti tre giovani con una borsa sportiva appoggiata alla spalla. Si avvicinò aumentando la lunghezza del passo. Dalla scritta della borsa capì che si trattava di giovani promesse della squadra di calcio della sua città.
La vide, si fermò, esitò, attraversò la via dopo aver atteso che la coda di auto glielo permettesse. Era la pubblicità di una marca di biancheria intima, lei era una bellissima modella, enorme come quella parete di cartone che la reggeva sdraiata. Si affiancò ai giovani, uno lo guardò, i tre dopo qualche istante se ne andarono commentando. Non capì il senso delle loro parole. Restò solo, ammaliato da una bellezza formidabile, inverosimile, disumana. Una beltà angelica, che lo rapì facendolo scivolare dentro un’estasi gioiosa. E insieme malinconica: era una stupenda donna di carta che non avrebbe mai potuto accarezzare, baciare, abbracciare, possedere. Ma fra la disperazione e le lusinghe della vista le seconde ebbero il sopravvento.
La guardò con un’attenzione vorace e romantica: era distesa, in equilibrio sul fianco destro, il braccio destro si perdeva oltre i margini del cartellone, il braccio sinistro si allungava adagiato sul corpo, con la mano che cadeva dolcemente sopra la coscia. Era vestita della sola biancheria intima, nera, reggiseno, mutandine, lunghe calze scure con reggicalze. Ma delle gambe si vedeva solo l’ultimo tratto della coscia, non le ginocchia né il resto. Seni né piccoli né grandi, conformi al suo canone di bellezza. Una coincidenza che lo stupì. Ben lontana dall’anoressia, la ragazza della pubblicità distava anni luce dall’avere qualche chilo di troppo: le forme giuste, equilibrate, calibrate al grammo. Era la sua donna ideale. Se avessero chiesto a lui i parametri e lo avessero accontentato, non avrebbero ottenuto risultato migliore. E il viso…..lunghi capelli mori che cadevano dietro le spalle, il volto leggermente reclinato all’indietro che permetteva di gustare tutto il collo, i neri, indecifrabili fori delle narici, basi di un naso alla francese, labbra dischiuse. Sostò a lungo sulla bocca, la immaginò respirare, la vide respirare, le labbra frementi, l’impercettibile apertura della bocca e il movimento del torace, segni di vita. Gli occhi, scuri, lo fissavano; il gioco delle labbra e degli occhi parlavano di un desiderio d’amore, di una voglia di abbraccio che lui avrebbe potuto cogliere, abbandonandosi alla fantasia. E in quella fantasia precipitò, annullando ogni altro pensiero.
La ammirava, scivolava con la sguardo su di lei, immaginava le sensazioni che avrebbe potuto regalargli quella ragazza di una bellezza impareggiabile, esaustiva, assoluta. E davanti a quell’immagine si perse.

***

“Povero cristo, che fine” disse il dottor Mario Portaluppi, medico di primo pelo, dopo aver saputo che quell’uomo, ricoverato al Pronto Soccorso in codice di priorità assoluta, era morto.
“Povero cristo? Povero fesso” disse il più anziano dottor Giorgio Fogli. “Avevano urlato che stava venendo giù il cartellone. Con quel vento. Dicono che pareva in trance.”
“A me fa pena lo stesso. Morire così….”
Il dottor Giorgio Fogli trattenne un sorriso beffardo.
“Che c’è?” disse il dottor Mario Portaluppi.
“Niente niente..una stupidaggine.”
“Cioè?”
“M’è venuta una battuta..non mi pare il caso.”
“Ora la spari.”
“Sì, in fondo non mi sembra irrispettosa verso il defunto.”
“Spiega.”
“Sai che immagine c’era su quel cartellone?”
“No.”
“Un gran pezzo di gnocca.”
“Ah..quindi?”
“Una bellezza…travolgente.”
Il dottor Portaluppi prese tempo, calibrò le parole. Disse: “Penosa!”
“Hai ragione” ammise il collega. 

        

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