RED
CARPET
di carlozanzi
Sopra
il red carpet di una famosa mostra internazionale cinematografica infine
scivolò, dopo lunga attesa dei molti presenti, una stupenda donna, attrice
notissima: bionda, alta, magra, formosa dove le forme occorrono, niente affatto
anoressica, denti lustri e sani, labbra rossofuoco, occhi brillanti, fari luccicanti
fra i luccichii dei flash. Camminava sopra tacchi dodici con una naturalezza
imbarazzante, avvolta in un abito che la faceva sembrare nuda e insieme vestita,
una Venere del cinema resa inarrivabile dall’enorme successo che la accompagnava.
Alzava la mano, salutava, si fermava, posava per i fotografi, ringraziava con occhiate
e sorrisi, pareva scusarsi per essere stata baciata dalla dea della fama.
Sapeva di essere invidiava e in fondo ne capiva le ragioni: era affascinante,
in salute, senza nemmeno un dolore, era ricca oltremisura, con proposte di
lavoro per almeno dieci anni e non viveva nemmeno quel senso di depressione,
spesso compagno di personaggi del suo calibro che, al contrario, dovrebbe solo
ringraziare padreterno per i doni che ha loro elargito, del tutto
immeritatamente.
Chi
gridava il suo nome, indicando che avrebbe dovuto sostare guardando di là, chi
allungava un foglio per un autografo che non avrebbe mai potuto avere, chi
guardava con un’invidia così palese che, fosse stato un suono, avrebbe stordito
tutto l’universo. Ma anche la bella diva se ne andò verso il salone della cerimonia
di premiazione. Gli applausi s’afflosciarono, brusio e il nome sussurrato del
nuovo, atteso attore, uno fra i più belli di quel mondo di celluloide. E invece
chi si presentò all’orizzonte? Una donna di mezza età, ben vestita, diremmo
persino elegante ma lontana anni luce dal lusso esagerato di chi l’aveva
preceduta; la signora teneva sottobraccio un’anziana anch’ella decorosa negli
abiti, ben pettinata, che zoppicava e mostrava un certo imbarazzo nel trovarsi
sopra un rosso tappeto, accerchiata da tutta quella gente sorpresa, tanto che
ad un certo punto si fermò e disse qualcosa all’orecchio di chi la accompagnava.
Il brusio si interruppe, molti guardarono verso gli addetti al controllo: era
palese che quelle due avevano sbagliato indirizzo. E invece la signora, con
piglio venato di certezza, disse: “Ebbene? Niente foto a noi?”
Qualcuno
rise, altri strabuzzarono gli occhi, un bodyguard fece per avvicinarsi ma si
trattenne, conscio della non pericolosità di quella coppia strampalata in quel
contesto; sfiatarono fischi e pernacchie ma le foto arrivarono, non certo in ossequio
al divismo ma al clamore di quella incursione, che avrebbe fatto notizia,
quindi vendite, quindi danaro.
Fu
a quel punto che la donna più giovane, probabilmente la figlia dell’anziana,
tenne il suo discorso: “Non sono fessa, so bene che non dovrei essere qui ma
non ho affatto sbagliato strada. Ci sono di proposito.”
“E
per fare che?” urlò un fotografo, con pochi capelli e una ridicola coda di
cavallo tutta sfilacciata e grigia.
“Per
dire che mi sento realizzata e non invidio affatto la strafiga che è passata
prima di me. Anzi, dirò di più, sono molto meglio io di quella attrice, perché
lei vive una vita di finzione, io la sola vita vera. La sua felicità è finta,
come la vostra. Di vero c’è solo il vostro dolore…Andiamo dal dottore, mamma,
che la tua gamba mi preoccupa.”
“Ma
che stai a dì, fija mia” disse la vecchietta, con chiaro accento romanesco.
“Poi
a casa te lo spiego…su,andiamo…e giù ‘ste manacce!” disse infine la signora,
rivolgendosi a due gorilla del servizio d’ordine, che si erano avvicinati e le stavano allontanando con maniere non certo galanti.
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