Il
martello di Karl
di carlozanzi
Una
mattina non meglio precisata dell’agosto milletrecentoquaranta, alle sette e
trenta, Karl Ploner, di Ortisei, mosse i primi passi lungo la scaletta in legno
che l’avrebbe condotto al suo lavoro, muratore impegnato nella costruzione del campanile
della chiesa di Santa Cristina, in Val Gardena. Dietro di lui saliva il figlio
Emil, di quindici anni, apprendista muratore. Arrampicandosi finì con lo
sguardo dalle parti del Piz de Cir e del Passo Gardena, da lì sorgeva il sole,
già da tempo incollato al Sassolungo e ai primi trenta metri di quel campanile:
un sole fresco, forte.
Accecato
dalla potenza dei raggi scese con lo sguardo verso il sagrato e notò che il
parroco di Santa Cristina, padre Joseph Schenk, aveva alzato il tono della
voce; di fronte al prelato stava, ritto in piedi con le gambe appena divaricate
e le mani ai fianchi, l’architetto Frank Perathoner. “Lo voglio alto, deve
essere alto il più possibile” diceva il sacerdote al Perathoner. “Deve salire,
abbiamo davanti il Sassolungo, alto come il Sassolungo lo voglio” e alzava le
braccia, quasi volesse toccare l’apice della punta Grohmann. E l’architetto:
“Sono qui per questo…ma c’è un limite…faremo l’estremità molto appuntita….si
può guadagnare qualche metro, certo che si può…”
Karl
Ploner riprese a salire, respirò e nei polmoni entrarono i profumi del fieno,
dei fiori, dei muschi e delle rocce di dolomia. Guardò il figlio, chiuse gli
occhi e si concentrò sui rumori del mattino: le parole dei due di sotto e i campanacci
delle vacche, al pascolo sui prati del monte Pic. Era un mutatore esperto, fra
i più ricercati di Ortisei, ma ciò non gli impedì di distrarsi, un piede gli scivolò
sul legno della scala, si aggrappò al piolo superiore, il sobbalzo fece cadere
il martello che teneva in vita. L’attrezzo volò da una ventina di metri verso
il fondo del sagrato, cadde a due metri dal prete e dall’architetto, il metallo
liberò scintille sulla pietra e un rumore secco di zoccolo di cavallo, che
rintronò nelle orecchie del parroco di Santa Cristina. Padre Joseph scattò lontano
dall’onda d’urto, spingendo in là anche l’architetto; compreso ciò che era
capitato, felice per lo scampato pericolo, guardò verso il muratore gridando:
“Stia più attento, vorrei vederlo finito il mio campanile.”
Karl
scese veloce per recuperare il martello e mentre calava dall’alto cercava le
parole per scusarsi, rosso in viso per la vergogna. Ma il prete fu benevolo.
“Torni al lavoro, siamo in ritardo stamattina” e gli allungò l’attrezzo.
“Grazie….stavo
scivolando…” e Karl Ploner si avvicinò alla scala, pensando che il parroco era
stato comprensivo con lui; si sentiva comunque un padre ferito nell’orgoglio:
non era stato d’esempio al figlio. E mentre saliva guardando il Sassolungo
dorato, pensò che era pericoloso avvicinarsi alle nuvole, quel martello giù da
quindici metri avrebbe senz’altro ucciso. E allora Dio? Immaginato nell’alto
dei cieli? Era da temere?
Raggiunse
Emil, che mai avrebbe osato dire qualcosa al padre. Fu Karl a parlare: “Non ti
devi distrarre… mai.”
Il
figlio annuì; non visto dal padre sbadigliò, avrebbe dormito ancora due ore.
Guardò verso il prete e l’architetto, immaginando la scena di un martello a
precipizio sul cranio di un uomo di Dio, riparato dal tricorno nero. ‘Quel
cappello ridicolo non sarebbe bastato a salvarlo’ pensò. ‘Mio padre l’avrebbe
fatto secco.’ Sbadigliò ancora e riprese a salire chiudendo gli occhi, perché
la luce che sbrodolava da oriente era veramente insopportabile. Poi guardò la
cima del Sassolungo, pensando che presto sarebbe salito sin lassù.
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