ZUCCHINE
TRIFOLATE
di carlozanzi
Sto
rigirando con un lungo cucchiaio di legno una pentolata di zucchine, tagliate a
fette. Sono in cucina e sono sola. Mio marito è al lavoro, la mia unica figlia
studia, ma non qui. Le zucchine sono parte della solita cena che inevitabilmente
mi tocca preparare, come donna di casa dal lavoro part-time.
‘Già..l’aglio…’
e allora mi volto, prendo due piccoli spicchi d’aglio, li sbuccio e li aggiungo
alla verdura, che s’ammolla sul fuoco.
Rigiro
e mi viene una voglia insana, buttare quelle zucchine giù dal balcone, mettere
la pentola nel lavandino, insieme a lei il cucchiaio, sedermi, incrociare le
braccia in muta protesta. Come a dire: ‘Questa vita non mi sta bene.’
Respingo
il pensiero malandrino ma rifletto: potrei essere un’attrice da red carpet, una
manager con amanti e villone, una scrittrice da Pulitzer, anche loro hanno a
disposizione una sola vita come me, ma santoiddio, come la stanno sfruttando
bene. E io qui con le zucchine, con questo sapore di cibo appiccicato ai
vestiti, sciolto fra i capelli, io con questo futuro ripetitivo e modesto, con
questa vita fallita.
Mi
riprendo, torno al cucchiaio e alla pentola, abbasso la fiamma, qualche
zucchina sta prendendo un colore ambrato, un paio si stanno carbonizzando. Mi
rilasso, prendo fiato e mi rivaluto: ‘Suvvia, dai, non ti vorrai lamentare di
tua figlia! E tuo marito? Certo, siamo soltanto una coppia che viaggia su due
binari paralleli ma la meta è la stessa, in fondo non deragliamo…e poi loro
sono infelici…’ penso per qualche attimo che quelle zucchine valgono oro, vengo
abbracciata, baciata e consolata dal mito della santa quotidianità; parole
accondiscendenti che fanno eco al chi s’accontenta gode risuonano in me e mi
imbellettano. Un sorriso compiaciuto cambia morfologia al mio viso depresso,
dando nuova luce al locale dei cibi e dei piatti da lavare.
Ma
la mazzata mi stende fra capo e collo, quel proverbio che odio torna ad
avvelenarmi: ‘Sposa bagnata, sposa fortunata.’ Certo, si dice così per
consolare, certo, io dico che quelle sono infelici per consolarmi, ma chi lo
dice che non siamo felici? E la loro presunta infelicità è forse di grado superiore
al mio? Non credo, non lo credo proprio.
Risale
l’angoscia, il profumo di zucchina diventa rancido odore d’umana routine senza
sbocchi clamorosi, torna il bisogno di liberazione, la verdura giù dalla
finestra e via, con l’auto in centro, in un bar, a bere, un happy hour con
nessuno, in compagnia di una vita da ricominciare da capo.
‘Il
sale, dimenticavo il sale…’ Che non siano insipide anche le zucchine, e così
vedo il mio caro consorte e la mia dolce bambina che sorridono e apprezzano
‘buone le zucchine, brava…’ e allora guadagno punti, mi rivaluto, mi regalo un
senso e una posa; sto invecchiando sì, indubbiamente, ma il mondo si ricorderà
di me, delle mie verdure trifolate, del mio essere madre e moglie premurosa,
con doppio lavoro, il secondo con il salario della gratitudine.
Sta
arrivando mia figlia, su, che lei non veda, che lei non intuisca.
“Ciao,
mamma, che stai facendo di buono?”
“Sorpresa!”
“Ma
quelle sono le solite zucchine…”
“No,
sono zucchine speciali…”
“A
me sembrano le solite zucchine trifolate…”
Mi
guarda, sorride: “Ma sei fuori?”
Le
risponderei: ‘Come un balcone, dolcezza!’ ma cerco di sanare la ferita: “Solo
un po’ annoiata” rispondo.
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