dedico questo racconto al mio amico Enrico
L'uomo del ghiaccio
di carlozanzi
Quando
nella piana varesina e sui seni
prealpini scivolano il buio e il freddo, un uomo sale in mansarda e recupera da
un alto scaffale una scatola di cartone. Se la notte arriva presto, il vento
gelido scuote la quiete bronzea delle campane del Bernascone, se è il tempo del
cappotto, della sciarpa e dell’influenza, quest’uomo apre la scatola, fissa le
lame, prende un panno e le lucida.
Ormai,
per Varese, è il tempo della neve, della pioggia mista a neve, dell’aria tersa,
sole che non scalda ma avvampa i colori: allora l’uomo della scatola di cartone
scende dalla mansarda e si mette a curare lo stato dei laghi. Perché potrebbe
essere l’inverno buono, quando si scende di molto sotto lo zero, quando in Valganna
‘sa barbèla’, quando al Campo dei Fiori la poca neve diventa crosta
invincibile, quando all’improvviso l’acqua di lago perde ogni moto e si fissa
alle sponde.
Non
interessa il nome dell’uomo che cura il pelo dell’acqua, né l’età né se è sposato,
se ha figli, nipoti, se è del luogo o foresto. Interessa la sua storia, che si
rinnova negli inverni giusti, disgraziati per i più, benedetti per lui: l’uomo
del ghiaccio.
Attacca
al Pralugano questo personaggio dalla gamba soda, senza ventre prominente, con
un viso di solchi, cotto dal sole: carica in auto i suoi pattini d’argento, un
bastone e un disco da hockey. Apre le danze al Pralugano, che ghiaccia sempre
perché l’acqua è bassa, lì incide i primi intagli nel vetro, arabeschi nella
natura. E va, segue il corso del ghiaccio, ringrazia il gelo, toglie i pattini,
cambia scarpe, sale in auto, a volte in mountainbike, bastone sulla canna,
pedala alla ricerca di nuovo ghiaccio da assaggiare.
Venerato
dagli amanti dei pattini, viaggia circondato da leggende di paese. Una racconta
di quando, alla Schiranna, arrivò e nessuno pattinava, troppo pericolo sopra un
ghiaccio giudicato sottile. Giunse un pomeriggio di poca luce, calzò le lame,
salì, valutò, mosse le prime scivolate e dai canneti rigidi di brina uscirono,
come pesci in fregola, decine di pattinatori che attendevano lui per dare sfogo
al loro vizio. E quanti ne ha tirati fuori dall’acqua –si narra- gente
inesperta finita dove si potrebbe morire, rianimati dall’uomo del silenzio, pratico
e deciso, dolce a suo modo.
E
venne il giorno del giro grande, del freddo assoluto, della fissità che
abbraccia tutti i laghi varesini, quelli minori s’intende, non il Maggiore, non
il Ceresio ma gli altri certamente. Così l’uomo del ghiaccio partì quel
pomeriggio quando il sole ancora basso di gennaio viaggiava, fuoco freddo,
sopra Bodio. Partì dal Pralugano, come d’abitudine, bastone e disco, ma in
quella pozzanghera fece solo veloci evoluzioni, qualche dialogo con ragazzini
di Ganna e di Cunardo, e da lì passò svelto sul lago di Ghirla. Nel cielo tanta
luce, solchi di aerei lontani e qualche intuizione di stella, con le Prealpi
che s’oscuravano, in ombra, responsabili di nascondere il sole. A Ghirla passò
da sponda a sponda, con sicurezza, schivando sassi e detriti, popolando la sua
sera di atleti dell’hockey, campioni d’ogni nazione che conosceva nei dettagli.
Guardò
l’ora, valutò, salì in auto. Non ci mise granché per frenare e spegnere il motore
sulle sponde del lago di Comabbio, un blocco di ghiaccio. Scivolava felice ma pensava
a Cazzago, alla sua perfezione, al meglio. Volteggiando con pattini e disco
come Rudol’f Nureev sul palco della Scala, si lasciava indurre in commozione
dal tramonto di fuoco. Pensava che la vita gli regalava, ora, il suo ghiaccio, ma
non era stata sempre benevola, le donne avrebbero potuto comprenderlo con più
compassione, Dio avrebbe potuto dotarlo di un carattere più malleabile. Ma non
era un uomo di lamenti così tornò al vento e al fruscio delle lame.
Venne
presto il tempo di Cazzago Brabbia, del lago di Varese, dove s’aspettava il
ghiaccio prelibato: per specchiarsi, lui e gli ultimi bagliori del giorno. Ciò
che s’attendeva era realtà, un vetro senza impurità, diamante d’acqua. E in
quel luccichìo volle smarrirsi.
Le
prime scivolate ad occhi chiusi, come davanti ad un piatto gustoso si annulla
la vista per ravvivare il gusto. Pensò di immortalare quel giorno con una
fotografia, sfruttò l’ultima luce buona, posizionò la macchina con
l’autoscatto, calcolò i tempi e le distanze, partì, il meccanismo scattò, il
ricordò si fissò. E da quel momento cominciò la sua danza senza memoria e senza
tempo, fatta di godimento puro, come un uccello in cielo che distende le ali e
lascia fare al vento. Il piccolo paese di Cazzago s’allontanò; con percorso
ondulato, di curve ampie, l’uomo del ghiaccio fu presto al centro del lago,
dove si decide se andare dritti all’altra sponda, direzione Schiranna, se prendere
a destra o a sinistra, verso Capolago o all’isolino Virginia, dove la saggezza
imporrebbe di far e presto ritorno all’auto. Ci mise tutto il tempo del tramonto
quell’uomo misterioso, regalandosi cerchi su cerchi, prima di decidere che non
avrebbe deciso, lasciando fare al suo cuore. Che non temeva la notte.
Restò
sopra il ghiaccio, spingendo e lasciandosi andare, mentre il cielo nero, senza
luna, lo rallegrava di piccole luci. Quando capì che il suo corpo, consunto
dalla passione, non l’avrebbe condotto sino al porticciolo di Cazzago, e che
per mantenere il caldo vitale avrebbe dovuto continuare il suo gioco, preferì
lasciar fare alla sorte. Senza lottare. Si fermò, lanciò come un boomerang il
bastone e il disco nel buio, sentì il loro cozzare sul duro, si sedette. Si
presentò subito il freddo. E la paura, quella che aveva ben camuffato nella
dimenticanza: si rivelava nella notte come un urlo tremendo. Intese, l’uomo del
ghiaccio, che il gioco non era più nelle sue mani.
Come
ogni mortale in quell’attimo sacro trovò la preghiera.
Se
oggi chiedete di lui vi diranno che è anche un po’ folle, un patito, un uomo
generoso, senza parole, grandissimo esperto di laghi ghiacciati. Il migliore. E
se lo volete vedere si conservano le sue foto, scattate quando la voglia di
vivere correva felice insieme al giro del sangue. Ma più di tutto resta lui; se
passate da un lago ghiacciato, nella terra dei laghi, potreste incontrarlo.
questo racconto breve è stato pubblicato dalla rivista 'menta & rosmarino' - dicembre 2013
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